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ANTENNE APERTE SULLA CITTA'

P. Luigi Cantoni, giovane missionario del Pime a Hong Kong, ci conduce in un affascinante viaggio tra i grattacieli della città. In un contesto apparentemente fatto solo di tecnologia, consumismo e ritmo frenetico scopriamo con lui un mondo nascosto in ricerca del sacro e di un senso dell’esistenza. Per cui, “antenne aperte”…
 
Caro p. Luigi, spesso associamo l’idea di missione ad un contesto di povertà in Paesi in via di sviluppo. Ci immaginiamo il missionario al volante di una jeep nel bel mezzo di un sentiero fangoso, sperduto nella foresta… Tu, invece, in una città ultramoderna. Come hai reagito quanto ti hanno comunicato la tua destinazione a Hong Kong?
 
Ho accolto da subito con grande piacere la proposta dei superiori di andare a Hong Kong. In realtà si trattava per me di un gradito ritorno. Già nell’estate del 1998, da se­minarista, avevo trascorso là un mese, visitando le comunità dove lavoravano i padri del Pime. La me­ta doveva essere la Guinea-Bissau in Africa, ma a causa dello scoppio della guerra civile si decise per Hong Kong. Quella “full immersion” nella vita urbana a contatto con i missionari mi affascinò molto e mi sarebbe tanto piaciuto ritornarci non più per una veloce visita ma per rimanerci. Così è avvenuto.
 
Raccontaci brevemente questi 5 anni vissuti a Hong Kong.
I primi due anni li ho dedicati esclusivamente allo studio del cantonese, la lingua parlata in città. Sono stati due anni molto impegnativi alle prese con toni e caratteri sconosciuti. Il primo anno è come essere sotto una campana di vetro dove vedi tutto ma fai fatica ad interagire con gli altri. Ad aiutarmi nello studio c’è stata la comunità dei Padri del Pime che mi hanno sostenuto e accompagnato con molta fraternità. Anche la gente locale incoraggia gli sforzi di chi si cimenta nella difficile avventura della lingua: balbettare qualche espressione in cantonese mista ad altre parole in inglese trova spesso apprezzamento e simpatia da parte dei cinesi.
Nel secondo anno mi sono trasferito nella parrocchia Our Lady of the Rosary continuando a frequentare la scuola durante i giorni feriali. Per conoscere più da vicino i giovani cinesi e fare pratica della lingua mi sono iscritto all’associazione di calcio dell’università di Hong Kong. C’era solo un altro cattolico nella squadra, ma questo non costituiva affatto un problema per la mia integrazione con il gruppo, anzi. Nel terzo anno, terminata la scuola, ho incominciato il mio servizio presso la parrocchia di St. Andrew nel quartiere Tseung Kwan O dove mi trovo tuttora. E’ un quartiere nuovo che ora ospita più o meno mezzo milione di abitanti. Molte sono le famiglie giovani.
 
Portaci con te tra le strade di Hong Kong. Descrivi ai nostri giovani lettori e lettrici la città di Hong Kong.
Ci provo volentieri anche se parlarvi di una città in costante aumento con 7 milioni di abitanti non è affatto facile. Guardate bene le fotografie, io mi soffermo sul contesto. Ci troviamo in un ambiente multiculturale dove alla maggioranza cinese si affiancano numerose comunità straniere; in particolare filippini, indiani, pakistani, occidentali e anche africani.
Non è facile neppure circoscrivere i contorni del­la cultura ci­nese di Hong Kong perché la città ha as­sor­bi­to moltissimi elementi oc­ciden­tali.
Anche dal punto di vista delle religioni, Hong Kong è un grande contenitore che vede accanto alla religione tradizionale, anche la compresenza di buddhisti, taoisti, musulmani, cristiani (circa il 3%). Gli spazi molto ristretti (pensate che famiglie di 5-6 persone vivono in micro-appartamenti di 30-40 metri quadrati) costringono la gente a vivere “gomito a gomito” ma questo paradossalmente non sempre contribuisce alla crescita nelle relazioni tra di loro. Ci sono tolleranza e rispetto ma i tentativi di integrazione sono sporadici. Manca il tempo per tutto questo. Potete im­maginare il clima di frenesia e competizione che si respira in una so­cietà dove ciò che conta sono produttività e guadagno.
 
Cosa vuol dire vivere la fede in un contesto di minoranza?
Vuol dire prima di tutto “aprire le orecchie”, visto che la bocca, almeno all’inizio può fare ben poco. E' importante sintonizzarsi con la realtà nella quale ci troviamo, conoscere la gente, la loro storia, trascorrere tem­po con loro ed en­trare nel loro mon­do. è  solo dopo questo lungo esercizio di ascolto che uno può incominciare a condividere qualcosa della propria fede perché avrà le categorie giuste per poterlo fare.
 
Che cosa condividere in particolare?
La poca padronanza della lingua ci obbliga a raccontare ciò che è essenziale, cioè che Gesù è morto ed è risorto e ha spalancato ad ogni uomo e ogni donna un orizzonte di vita per sempre. Credetemi: la gente cerca il senso dell’esistenza. Davanti ai drammi della sofferenza e della morte nessuno può offrire facili o soddisfacenti risposte. Un Dio che condivide il nostro dolore e si fa solidale con noi è senza dubbio una novità inaudita.
 
Quante domande ancora vorrei farti ma mi fermo qua. Ti ringrazio di cuore per quanto hai condiviso e arrivederci, magari proprio a Hong Kong.
Bella idea. Grazie anche a te e agli amici di IM.
 
a cura di Fabio Motta

Fonte:  IM