"(...)
far partecipare le creature
all'essere di Dio
(...)"
Messaggio di pace di Papa
Benedetto
(1°
gennaio 2010)
(...)
Il mondo trae origine dalla
libera volontà di Dio, il quale ha voluto far partecipare
le creature al suo essere, alla sua saggezza e alla sua
bontà».
Il Libro della
Genesi, nelle sue pagine iniziali, ci riporta al progetto
sapiente del cosmo, frutto del pensiero di Dio, al cui
vertice si collocano l’uomo e la donna, creati ad immagine
e somiglianza del Creatore per «riempire la terra» e
«dominarla» come «amministratori» di Dio stesso (cfr Gen
1,28).
L’armonia tra il
Creatore, l’umanità e il creato, che la Sacra Scrittura
descrive, è stata infranta dal peccato di Adamo ed Eva,
dell’uomo e della donna, che hanno bramato occupare il
posto di Dio, rifiutando di riconoscersi come sue creature.
La conseguenza è che si è distorto anche il compito di
«dominare» la terra, di «coltivarla e custodirla» e tra
loro e il resto della creazione è nato un conflitto (cfr
Gen 3,17-19).
L’essere umano si
è lasciato dominare dall’egoismo, perdendo il senso del
mandato di Dio, e nella relazione con il creato si è
comportato come sfruttatore, volendo esercitare su di esso
un dominio assoluto.
Ma il vero
significato del comando iniziale di Dio, ben evidenziato nel
Libro della Genesi, non consisteva in un semplice
conferimento di autorità, bensì piuttosto in una chiamata
alla responsabilità. Del resto, la saggezza degli antichi
riconosceva che la natura è a nostra disposizione non come
«un mucchio di rifiuti sparsi a caso», mentre la
Rivelazione biblica ci ha fatto comprendere che la natura è
dono del Creatore (...).
Come rimanere
indifferenti di fronte alle problematiche che derivano da
fenomeni quali i cambiamenti climatici, la desertificazione,
il degrado e la perdita di produttività di vaste aree
agricole, l’inquinamento dei fiumi e delle falde
acquifere, la perdita della biodiversità, l’aumento di
eventi naturali estremi, il disboscamento delle aree
equatoriali e tropicali? Come trascurare il crescente
fenomeno dei cosiddetti «profughi ambientali»: persone
che, a causa del degrado dell’ambiente in cui vivono, lo
devono lasciare – spesso insieme ai loro beni – per
affrontare i pericoli e le incognite di uno spostamento
forzato? Come non reagire di fronte ai conflitti già in
atto e a quelli potenziali legati all’accesso alle risorse
naturali? Sono tutte questioni che hanno un profondo impatto
sull’esercizio dei diritti umani, come ad esempio il
diritto alla vita, all’alimentazione, alla salute, allo
sviluppo.
Va, tuttavia,
considerato che la crisi ecologica non può essere valutata
separatamente dalle questioni ad essa collegate, essendo
fortemente connessa al concetto stesso di sviluppo e alla
visione dell’uomo e delle sue relazioni con i suoi simili
e con il creato.
Saggio è, pertanto,
operare una revisione profonda e lungimirante del modello di
sviluppo, nonché riflettere sul senso dell’economia e dei
suoi fini, per correggerne le disfunzioni e le distorsioni.
Lo esige lo stato di salute ecologica del pianeta; lo
richiede anche e soprattutto la crisi culturale e morale
dell’uomo, i cui sintomi sono da tempo evidenti in ogni
parte del mondo. L’umanità ha bisogno di un profondo
rinnovamento culturale. (...)
La crisi
ecologica mostra l’urgenza di una solidarietà che si
proietti nello spazio e nel tempo. È infatti importante
riconoscere, fra le cause dell’attuale crisi ecologica, la
responsabilità storica dei Paesi industrializzati. I Paesi
meno sviluppati e, in particolare, quelli emergenti, non
sono tuttavia esonerati dalla propria responsabilità
rispetto al creato, perché il dovere di adottare
gradualmente misure e politiche ambientali efficaci
appartiene a tutti. Ciò potrebbe realizzarsi più
facilmente se vi fossero calcoli meno interessati nell’assistenza,
nel trasferimento delle conoscenze e delle tecnologie più
pulite. (...)
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il messaggio
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