Radici Cristiane n. 39 - Novembre 2008 - di Francesco Agnoli  

Padre Alberico Crescitelli, santo e martire in Cina

 

“Stamane ho celebrato la mia prima Messa cantata. Diami forza Iddio di celebrare sempre con fervore in tutta la mia vita”: con queste parole Padre Alberico Crescitelli comunicò al fratello Luigi la gioia di esser stato ordinato sacerdote. Era il 4 giugno 1887.

In quella giornata ricca di soddisfazione e speranza, forse il giovane padre Alberico ancora non aveva il minimo sentore del futuro che avrebbe avuto dinanzi a sé. Eppure i Cieli gli avrebbero riservato un destino che sarebbe rimasto per sempre nella storia della Chiesa.
Il 1° ottobre del 2000, infatti, anno del Grande Giubileo di fine secolo, Papa Giovanni Paolo II lo dichiarò Santo, insieme a 119 martiri che come lui prestarono missione in Cina.

 

La chiamata di Dio: da Altavilla Irpina a Roma

Alberico Pietro Pellegrino Crescitelli nacque ad Altavilla Irpina, in provincia di Avellino, il 30 giugno 1863, quarto di dieci figli. I genitori, Beniamino e Degna Bruno, lo educarono fin da bambino alla fede di Cristo e alla preghiera, assecondando la sua naturale vocazione che lo portò, nel 1880, ad essere ammesso al Seminario delle Missioni Estere di Roma.

Benché la sua corporatura fisica non fosse delle più possenti e molti medici gli avessero sconsigliato di viaggiare, il desiderio di diventare missionario era troppo forte per rinunciarvi. E, con la costanza e la fede che sempre lo contraddistinsero, egli riuscì nel suo proposito.
Nel luglio del 1887, prima di partire per la Cina, la destinazione che gli era stata assegnata, Padre Alberico tornò per pochi giorni al paese natio, rimanendovi però più del previsto, perché durante la sua permanenza scoppiò ad Altavilla Irpina una feroce epidemia di colera che colpì duramente la popolazione. Padre Alberico assistette i malati sia spiritualmente che materialmente, fino allo stremo delle forze, senza curarsi dei rischi che correva per la sua salute.

Superata l’epidemia, tornò a Roma dove, nel 1888, mentre fervevano i preparativi per la sua missione, ebbe l’onore di essere ricevuto dal Pontefice Leone XIII, che gli impartì la sua benedizione.

 

Alla scoperta della Cina per diffondere la fede

Dopo un viaggio lungo e pieno di insidie per mare e per terra durato oltre quattro mesi, il 18 agosto 1888 Padre Alberico giunse finalmente a Xiaozhai, la meta prevista, nella regione dello Shaanxi meridionale.
Anche se l’impresa a lui affidata si rivelò subito ardua, il giovane missionario era fermamente convinto che sarebbe riuscito, con l’aiuto del Signore, a convertire molta parte della popolazione al Cristianesimo. Imparò la lingua locale per stare più vicino alla gente sia col sentimento che con le parole e si dimostrò sempre attento non solo alle questioni religiose, ma anche a quelle di ordine morale e sociale.

Padre Alberico inoltre soffriva molto nel constatare che tante bambine, proprio a causa del loro sesso, erano considerate dalle famiglie d’origine una vera sfortuna e spesso venivano abbandonate, se non addirittura soppresse. Per questo cercava in ogni modo di favorire quella che oggi viene comunemente chiamata “adozione a distanza”. In una lettera al fratello Luigi scrisse: «A zia dirai che se ha danaro me lo mandi, così quando sarà esposta qualche bambina la raccoglierò, le porrò il suo nome e la farò allattare a sue spese…».

 

Tra i poveri nonostante l’avversione del governo cinese

Nel marzo del 1900 Padre Alberico giunse con alcuni confratelli nel distretto di Ningqiang, territorio a ovest di Hanzhong. In quelle zone, nessun sacerdote era mai rimasto a lungo ed egli non era a conoscenza dei tumulti che avevano avuto inizio a Pechino.
Impreparata ad affrontare la modernità, la Cina stava infatti attraversando uno dei momenti più difficili della sua storia recente. L’arrivo per ragioni commerciali di numerose potenze straniere aveva creato non poco scompiglio e molti funzionari, ignoranti e incompetenti, erano divenuti facili prede della corruzione.

Il Paese doveva scegliere se rimanere ancorato al passato o aprirsi al futuro. Scelse il nuovo, ma l’affannoso tentativo di ammodernamento delle strutture imperiali fallì sotto il colpo di Stato del 1898, quando il potere tornò in mano a un gruppo di reazionari che in poco tempo eliminò le frange moderate e riformiste inducendo l’Imperatrice madre Cixi a considerare la presenza straniera come l’unica responsabile di tutti i mali.

In questo clima padre Alberico si trasferì nel distretto di Ningqiang, dove trovò solo disperazione, miseria morale, quasi totale assenza di cibo e condizioni igieniche drammatiche. Molto presto egli si rese conto che quotidianamente metteva a rischio la propria vita, eppure decise di rimanere.
Quando infatti i familiari, intuendo l’incombente pericolo che correva in Cina, lo implorarono di rientrare in Italia, il sacerdote molto duramente scrisse al fratello: «Forse che le missioni stanno a Roma? E tu, invece di incoraggiarmi a stare fermo e fare la volontà di Dio, fai tutto l’opposto. Io ho giurato di stare dove sarei mandato e basta. (…) Ora, io non so come il Signore vorrà disporre di me, ma dal momento che mi dà la salute, è segno che vuole che io seguiti a stare qui. Se poi morirò, ci vedremo in Paradiso».

 

Coraggio di fronte al dolore e alla morte

Il 5 luglio del 1900 la Corte emise il fatidico Decreto imperiale responsabile dello scoppio della “rivolta dei boxer”, o “dei pugni chiusi”, uomini ignoranti e violenti dediti alle arti marziali, che combattevano rifiutando l’uso delle armi. Nel decreto veniva sancita l’espulsione di tutti i missionari dalla Cina e l’invito ai cristiani all’apostasia, se avessero voluto aver salva la vita. In realtà venne ordinato un vero e proprio bagno di sangue che colpì tutti gli stranieri.
Le perdite tra i cristiani furono ingenti: cinque vescovi, decine di missionari e oltre trentamila cristiani cinesi vennero trucidati. Tra questi ci fu anche padre Alberico Crescitelli.

Nonostante alcuni amici catecumeni lo avessero avvertito dei pericoli imminenti, padre Alberico rimase troppo a lungo a Yanzibian, dove era giunto il 2 giugno, e a Qianjiaping, distante pochi chilometri, decidendosi a partire solo la sera del 20 luglio.
Mentre era in cammino, venne avvicinato dal doganiere Jao, che si offrì di ospitarlo nei locali della dogana. Jao era in realtà quello che Giuda fu per Cristo, un traditore. In pochi minuti la dogana venne circondata e padre Alberico fu ferito da due colpi di bastone, perdendo i sensi.

In seguito il missionario venne legato mani e piedi ad un palo di legno e portato fuori. Quando si riprese, fu spogliato e torturato con atroci supplizi.
A notte fonda, mentre ormai si stava diffondendo la notizia di ciò che era accaduto, padre Alberico venne di nuovo legato per i piedi e trascinato nudo nei pressi del fiume Jialing. Il 21 luglio del 1900 si consumò l’atroce martirio del sacerdote: vicino alla riva, la sua testa fu segata e separata dal corpo. I resti vennero poi fatti a pezzi e gettati nelle acque del fiume.

Padre Alberico, pur essendo un semplice servitore di Dio, si dimostrò un uomo eccezionale. La sua esistenza ha infatti molto da insegnare agli altri: l’umiltà, la tenacia, la generosità sono qualità che gli derivavano dall’aver posto Dio al di sopra di ogni altra cosa e costituivano la sua forza e la sua grandezza.

Sant’Alberico era un uomo sereno: sapeva bene che niente può far paura a chi porta Dio nel proprio cuore.

(www.radicicristiane.it)