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Un secolo di presenza missionaria
alla Montagna Spaccata
                                     

  All'entrata dell'Italia nella 1° guerra mondiale (1915-1918) i Pallottini officiavano nel santuario della SS. Trinità. Non fu l'unico ordine religioso ad avvicendarsi nel servizio divino. Durante la millenaria storia, dalla fondazione nel X° sec. d. C. ad oggi, si sono avvicendati Benedettini e Riformati, Alcantarini e Pallottini, finché il santuario è stato affidato ai sacerdoti del Pontificio Istituto Missioni Estere (P.I.M.E.).

  Cronologicamente i monaci di san Benedetto furono i primi a risiedere nel cenobio della Trinità costruito sulla spianata estrema del Monte Orlando e celebrare i riti sacri all'imboccatura delle pareti apertesi secondo la tradizione popolare per il terremoto nella morte di Cristo. Nel 1419 il convento fu dato in commenda al vescovo di Conza, poi a Giordano della diocesi di Capua. Col breve pontificio di Sisto IV° (1480) la cappella del Crocifisso eretta di recente nella piattaforma calcarea incastratasi tra le due fenditure principali passò con l'amministrazione del monastero all'ospedale dell'Annunziata. Ma nel 1490 Papa Innocenzo VIII° decretò che il luogo sacro fosse annesso come "grancia" al monastero benedettino san Michele Arcangelo in Planciano in Via della Breccia.

  Per quel decreto nel 1500 in Gaeta si curavano tre monasteri: quello della Trinità, l'altro di S. Teodoro presso la Porta, il terzo denominato Palanzano in cui risiedeva l'Abate. Nel 1545 a Trento si aprì il Concilio Tritentino a cui presero parte alcuni Abati della Congregazione cassinese: Luciano degli Ottoni del monastero di S. Maria Pomposa, Isidoro Clario da Pontida, Crisostomo Calvini nativo di Cimigliano (Cz) ma Abate di S. Angelo di Gaeta.

  Buon conoscitore di greco e latino, era noto per la pubblicazione delle opere ascetiche dello scrittore Doroteo di Gaza (VI° sec.) tradotte dal greco in latino. Nella prima fase del Tridentino (1545-47) intervenne più volte nel dibattito sui sacramenti e sull'Eucaristia, ma per l'interruzione dei lavori dal Papa Paolo III fu inviato in Dalmazia per riformare i monasteri dell'isola di Melena (Mliot). Non tornò più a Gaeta, essendo stato elevato alla dignità episcopale e nominato arcivescovo di Ragusa Dalmata (1564-1575).

  Al posto di don Agostino Pallamolla, l'ultimo religioso bendettino che aveva conservato la rettoria del Santuario come membro del monastero S. Arcangelo, furono chiamati a prendersi cura della Chiesa e Cappella del Crocifisso gli Agostiniani Scalzi della Congregazione monastica San Giovanni a Carbonara di Napoli fino al 1809. Col ritorno della dinastia Borbonica a Napoli (1835) furono i Francescani Alcantarini incaricati di risiedere nel convento della Trinità e attendere al culto del Santuario.

  Nel 1866 vennero nuovamente soppressi i conventi e gli Alcantarini dovettero abbandonare il luogo pio che divenne bene del Demanio di Stato. Dopo il 1870 il fabbricato fu ceduto al Comune che lo trasmise all'Ospedale dell'Annunziata per ricoverarvi gli ammalati cronici. Il Comune richiedeva solo un modesto canone annuo e in cambio assicurava che il servizio cultuale sarebbe stato svolto dai cappellani. Nel 1903 però, dopo il fallimento delle trattative fra gli amministratori comunali e i Padri Mercedari, furono i Pallottini ad accettare la custodia della struttura monastica e del Santuario nella prospettiva d'istituire uno Studentato della Congregazione della Buona Stampa cattolica. Il Provinciale d'Italia assegnò col tempo sette sacerdoti Pallottini al servizio del Santuario, tra i quali don Gennaro Frasalla e don Domenico Porrazzo.

  Nato a Pietradefusi (Av) il 16 luglio 1837, entrò tra i Pallottini a 17 anni, nel 1862 fu ordinato sacerdote e fu assegnato alla parrocchia della Madonna della Neve in Rocca Priora (Roma). Dopo il 1880 girò per le parrocchie di Terni e Benevento in cerca di adolescenti desiderosi di diventare sacerdoti.

  Su segnalazione di don Giovanni Fischetti, sacerdote di Altavilla Irpinia (diocesi di Benevento), indirizzò al Seminario dei Ss. Apostoli Pietro e Paolo di Roma il giovane Alberico Crescitelli (1863-1900) che andò Missionario in Cina e morì martire per la fede. Beatificato il 18 febbraio 1951 da Pio XII, è stato canonizzato dal Pontefice Giovanni Paolo II° il 1° ottobre del 2000 con altri 119 martiri cinesi.

  Don Porrazzo nel 1890 fu assistente degli emigrati in America del Nord, poi addetto all'Abbazia di Masio (Alessandria) e nel 1903 assegnato come rettore nel Santuario di Gaeta. Si distinse per zelo e direzione spirituale delle anime, rimanendo con l'incarico di rettore fino al 1917, quando i Pallottini restituirono il Santuario alla diocesi gaetana. Visse successivamente a Roma fino al 1930, all'età di 93 anni, ed è sepolto al Verano nella cappella dei Pallottini. La sua memoria è in benedizione nella storia del Santuario alla Montagna Spaccata per aver lasciato un manoscritto di 27 fogli in formato protocollo dal titolo: Cenni storico-descrittivi sul Santuario del SS. Crocifisso nella "Montagna Spaccata" di Gaeta.

     Memoria della Vergine Maria di Lourdes, 11 febbraio 2015,
      P. Alfredo Di Landa 
P.I.M.E.

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L'ISPIRATORE DELLA VIA CRUCIS
ALLA MONTAGNA SPACCATA

   Accogliendo i Rettori e Operatori di santuari il 29 novembre 2018, Papa Francesco disse nel suo discorso:

"Quanto abbiamo bisogno dei Santuari nel cammino quotidiano! […] Per molti versi i nostri Santuari sono insostituibili perché mantengono viva la pietà popolare, arricchendola di una formazione che sostiene e rafforza la fede" (L'Osservatore Romano, 30.11.2018, 8).

  Tra i santuari cattolici quello del SS. Crocifisso alla Montagna Spaccata di Gaeta racchiude fenomeni naturali, segni biblici e tradizioni secolari che l'arricchiscono di grande formazione liturgico-cultuale.

  Tra i testimoni, chi nel sec. XVIII ha lasciato un ricordo vivissimo è stato san Leonardo da Porto Maurizio. È vero che egli non fu il fondatore della pia pratica della Via Crucis, perché il merito spetta al frate domenicano Rinaldo di Monte Crucis (sec. XIV), che per primo ideò un percorso verso il Golgota attraverso le immagini dette "stationes".

  Ma il grande predicatore e divulgatore della Via Crucis deve essere considerato san Leonardo da Porto Maurizio, frate minore dell'Ordine Francescano Riformato. Egli ideò, propagò e creò personalmente una nutritissima serie di stazioni per la Via Crucis, detta anche "Via della Passione di Cristo".

  Fu chiamato a predicare a Gaeta dal Vescovo del tempo, che era S. E. Mons. Gennaro Carmignani, patrizio napoletano appartenente ai marchesi di Acquaviva delle Fonti. Era già Ordinario della diocesi di Ugento nel Salento, di nomina regia, ma venne trasferito a Gaeta il 24 novembre 1738. Guidò la diocesi gaetana ininterrottamente per più di un trentennio, distinguendosi per l'impegno nella formazione seminaristica e nel lavoro propriamente pastorale. Difatti nel 1741, in preparazione alla Quaresima, chiamò lo stesso san Leonardo a predicare una missione.

  P. Donato Vaglio del PIME scrive di lui che fu chiamato a predicare e "la sua predicazione fu tanto fruttuosa, quanto più contrastata, essendo capitata nel Carnevale […] quando si erano già fatti in città ben altri preparativi" (1).

  Ricordiamo che Frate Leonardo da Porto Maurizio fu proclamato santo dal beato Pio IX nel 1867, in ricordo memorabile del proprio esilio a Gaeta dopo la morte del Segretario di Stato Pellegrino Rossi.

  Adiacente al Santuario della SS. Trinità, è offerto alla contemplazione e alla pietà dei pellegrini un corridoio con le stazioni maiolicate della Via Crucis, opera dell'artista gaetano Raimondo Bruno, che si recò a Vietri sul Mare (Salerno) per realizzare il disegno tra il 1849 e il 1850.

  Fino a quell'epoca c'erano 14 cappelle costruite lungo la strada che da Gaeta antica conduceva al Santuario. Nel 1849 il re di Napoli Francesco II di Borbone le fece abbattere per motivi militari, perciò il Bruno le sostituì con le edicole del corridoio della Via Crucis, che terminano davanti al pannello formato da 192 formelle in cornice maiolicata.

  Tale pannello è tornato a risplendere dopo il recente restauro.

  In basso a ciascuna edicola sono leggibili i versi esplicativi attribuiti al poeta Pietro Trapassi, più noto come Metastasio.

1. Ved. P. Donato Vaglio, La Montagna Spaccata e il suo Santuario, Ed. Caramanica, 2001, pag. 13.

      P. Alfredo Di Landa  P.I.M.E.

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VITALITÀ DEL SANTUARIO

   Con la recente lettera apostolica "Santuarium in Ecclesia" il sommo Pontefice Francesco ha valorizzato la funzione che ogni santuario svolge nel settore della pietà, della cultura, dell'arte e della religiosità stessa. 

  Argomenta il Papa: "Il santuario possiede nella Chiesa una grande valenza simbolica, e farsi pellegrini è una genuina professione di fede" (N. 1). Dal Santuario della SS. Trinità a quello della Madonna della Civita presso Itri, al Santuario di S. Michele Arcangelo al Gargano. A quello dei Ss. Martiri Pellegrino ed Alberico di Altavilla Irpina (Avellino), dal Santuario del Latte Dolce a Sassari a quello delle Lacrime di Siracusa si sprigiona una forte attrazione "di preghiera, di devozione e di affidamento alla misericordia di Dio" (ivi). I nomi dei visitatori e pellegrini reperibili nei registri dei santuari formano una catena che si prolunga nei secoli.

  Tra i nomi presenti nel registro della Madonna del Colle a Lenola figurano anche quelli di p. Antonio Ghisaura (1903-1987) del P.I.M.E., e di don Domenico Porrazzo (1837-1930) della Società dell'Apostolato cattolico, già rettori del Santuario del SS. Crocifisso de Gaeta. Il Pallottino don Domenico durante il suo incarico di rettore predicò le missioni al popolo a Maranola, al rione Elena, alla Catena e a Lenola con zelo instancabile.

  P. Ghisaura, già Missionario in India dal 1932, come Superiore regionale nell'Italia Meridionale dal 1951 al 1964 dimorando alla Montagna Spaccata di Gaeta, raggiungeva il santuario della Madonna del Colle per le confessioni e la liturgia festiva. A Gaeta favorì l'installazione dell'altare centrale in marmo nella chiesa della Trinità, e con la nuova pavimentazione anche gli altari laterali della Desolata e del Sacro Cuore di Gesù. Ritornato nella missione di Vijayavada (India), continuò a diffondere la devozione mariana tra il clero indiano e i nuovi cristiani. Le sue spoglie mortali sono sepolte dal 1987 nel cimitero di Eluru, ma il suo nome rimane in benedizione come testimonianza dell'ininterrotta pastoralità missionaria.

Il Santuario luogo di evangelizzazione

  "Quando svolgi il tuo ministero richiama la devozione alla Madonna sia ai preti che ai fedeli". Con queste parole il missionario del PIME, p. Natale Fumagalli (1920-1995), manifestò il suo ringraziamento al suo confratello Antonio Ghisaura nel trigesimo del suo ritorno alla Casa del Padre in data 6 marzo 1987. In realtà era ben nota la devozione mariana che Padre Ghisaura coltivava per sé, per i neo-convertiti e per i sacerdoti tutti.

  Da Superiore della Circoscrizione Meridionale per due quinquenni (1954-1964), preferì nel secondo mandato seguire gli alunni di Teologia a Gaeta per essere più disponibile al ministero pastorale con la predicazione e direzione spirituale delle consacrate. Dal Santuario della Montagna Spaccata settimanalmente raggiungeva Lenola; il paese di collina situato nel cuore del Latium Adiectum famoso per il Santuario della Madonna del Colle, dove attendeva i devoti della Vergine.

  Tornato nella missione di Vijayavada in India, ebbe l'incarico di procuratore e con perizia certosina studiava il modo si sovvenire alle necessità di sessantacinque comunità parrocchiali senza omettere di accompagnare catecheticamente migliaia di catecumeni per il battesimo. E, come si era adoperato a diffondere la devozione alla Madre Addolorata nella Chiesa della SS. Trinità di Gaeta, così continuò in India a vivere sull'esempio della Madre celeste nell'impegno di stare accanto alle persone con "la cura e le premure di Maria" (dal necrologio in Il Vincolo, N. 152, 55-58).

  L'importanza dei Superiori nella conduzione dei santuari e fondamentale, secondo il motuproprio di Papa Francesco, perché "attraverso la spiritualità propria di ogni Santuario, i pellegrini sono condotti con la pedagogia di evangelizzazione ad un impegno sempre più responsabile sia nella loro formazione cristiana, sia nella necessaria testimonianza di carità" (n. 4).

  Se è lecito paragonare il presente con il passato, ciò si verificò anche al tempo del successore di Loyola, P. Claudio Acquaviva (1543-1615), che a Gaeta volle guidare il gesuita Fra Angelino de Albito nelle trattative con il Comune per erigere un Collegio dell'Ordine accanto alla cattedrale e al Santuario della SS. Trinità da affidare ai Padri gesuiti.

La Montagna Spaccata meta di pellegrinaggi

  Quando il monaco agostiniano G. Salomone alla fine degli anni 1500 compose il carme in distici latini, per commemorare lo straordinario fenomeno delle tre fenditure nella rocciosa Montagna del promontorio gaetano, era ispirato dalla pia tradizione del Santuario del SS. Crocifisso, eretto alla morte del Signore: "In forza delle parole di Cristo morente (…) si squarciò l'estremo lembo della Montagna dividendosi in tre parti distinte. Essa che conserva i sacri segni ha dato luogo alla denominazione della SS. Trinità".

  La storia conforta la tradizione. La Chiesa con la costruzione della Cappella sospesa tra la seconda fenditura e l'altra non solo ha segnato il passaggio tra il dominio bizantino e il ducato normanno, ha continuato la presenza dei monaci benedettini e ha anche ospitato il monaco basiliano S. Nilo (910-1004 d. C.) proveniente dalla regione calabro-lucana. Per le continue razzie dei saraceni quell'eremita abbandonò il luogo chiamato "Colonne", dove era eretto il tempio di Giunone Lacinia a sud della città di Crotone, e con un gruppo di discepoli si sistemò sotto la protezione di Pandolfo Caspodiferro e dell'abate Aligerno di Monte Cassino, nella località di Serperi-Serapide all'estremo della cosiddetta Catena. Ivi dimorò per dieci anni dal 994 al 1004 d. C. La distanza della spiaggia di Serapo non impedì che questi monaci basiliani visitassero il monastero benedettino della SS, Trinità.

  Scriveva nel secolo scorso tale notizia il monaco basiliano P. Germano Giovanelli, biografo del Fondatore S. Nilo al Sacerdote D. Paolo Capobianco del clero di Gaeta. Riporto le parole da lui scritte: "Ammiro e lodo il suo (del sacerdote storiografo) zelo per le ricerche sulle antichità della sua bella antica ed insigne Città, nella quale sono stato parecchie volte, visitando la celebre Montagna Spaccata".

  Nella scia dei sacerdoti monaci anche gli Amici nel sacerdozio, mons. Paolo Capobianco e mons. Adelchi Fantini della parrocchia di S. Nicola a Mondragone, accompagnarono schiere di fedeli ai vari Santuari diocesani, regionali, nazionali ed internazionali essendo stati educati giovanetti nel Seminario arcivescovile del Borgo Gaetano alle falde della Montagna Spaccata.

      P. Alfredo Di Landa  P.I.M.E.

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IMPORTANZA DEI PELLEGRINAGGI

   Si è tenuto nell'ultima settimana di gennaio 2018 un incontro a Sacrofano, vicino a Roma, per iniziativa dell'Opera Pellegrinaggi presso la Fraterna Domus, sul significato dei pellegrinaggi e delle modalità con cui i partecipanti devono prendere parte. Il vescovo ausiliare di Perugia, Mons. Paolo Giulietti, rivolgendosi ai convegnisti ha ricordato che ogni pellegrinaggio non solo appaga il desiderio che ciascuno ha di cambiare qualcosa in sé, ma anche contribuire alla formazione spirituale di ciascun pellegrino.

  Nell'introdurre l'incontro è stato recitato il salmo 121 che ricorda la gioia degli ebrei nell'accostarsi alla santa città di Gerusalemme. Il salmista guidava i correligionari cantando: "Quale gioia quando mi dissero / Andremo alla c casa del Signore / ed ora i nostri piedi si fermano / alle tue porte, Gerusalemme!".

  Anche nel Nuovo Testamento, dopo che Gesù è risorto da morte, ha esaltato il valore del pellegrinaggio alla tomba di Gesù da parte delle pie Donne, ma in modo più accentuato si dà risalto al significato del cammino intrapreso dai due discepoli verso Emmaus. Racconta l'evangelista Luca: In quello stesso giorno (dopo il sabato) due dei loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette migliaia da Gerusalemme, di nome Emmaus e conversavano di tutto quello che era accaduto. Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo… sono passati tre giorni quando è accaduto ciò… e Gesù disse loro: "'Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?'. E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui".

  Allora le dinamiche che devono spingere i pellegrini sono molteplici:

a) distacco necessario perché si entri in uno spazio, un tempo e un modo di vivere diversi dalla vita ordinaria;

b) fatica, che obbliga a mettere ogni pellegrino dinanzi alla verità di sé stesso;

c) solitudine e isolamento temporaneo dell'attività ordinaria;

d) stare insieme con altri non conosciuti prima e, possibilmente, in loro presenze amiche;

e) meraviglia di scoprire luoghi nuovi e ammirarli;

f) osservanza di tradizioni popolari che non scompaiono col tempo; infine 

g) la preghiera recitata, alternata con canti o accompagnata da strumenti musicali.

  Le dinamiche elencate offrono l'opportunità di vivere un profondo discernimento, anzi, come le rituali processioni dei tempi liturgici, danno un significato culturale ai pellegrini. Specialmente se come meta da raggiungere sono i santuari mariani, quelli dedicati ai Santi, altri eretti in onore del Crocifisso e della Santissima Trinità, come alla Montagna Spaccata di Gaeta.

  I Padri Missionari del Pontificio Istituto Missioni Estere (PIME) attendono molti pellegrini per mostrare loro il fascino potente delle fenditure apertesi sull'azzurro mare alla morte di Nostro Signore Gesù Cristo (Mt 21,51).

      P. Alfredo Di Landa  P.I.M.E.

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Il contributo della Montagna Spaccata
alla veridicità dei fatti

   Un paragrafo del Motu proprio di Papa Francesco recita che per la sua stessa natura un Santuario "si caratterizza come genuino luogo di evangelizzazione, dove dal primo annuncio fino alla celebrazione dei sacri misteri si rende manifesta la perenne azione con cui opera la misericordia di Dio nella vita delle persone" (1). I prodigi sono segni misericordiosi divini che attingono la vita spirituale e la salute corporale delle persone. 

  L'autore del volume in cui sono elencate le cose notabili della città di Gaeta, Pietro Rossetto, fin dal sec. XVII° elencava la guarigione di una pellegrina cieca dalla nascita e guarita dopo aver ingoiato una pozione ricavata da frammenti in polvere della roccia sulla quale poggia il santuario del SS. Crocifisso (2). A testimonianza del fatto prodigioso è ricordato Padre Damiano del Castiglio, Prefetto generale dell'Ordine fondato da S. Camillo de Lellis (M. 1614) (3). Il religioso di cui si tratta fu di poco successore del primo biografo del santo, P. Sanzio Cicatelli (1527-1627), nativo di Sant'Antimo (NA) e discepolo diretto di San Camillo. Egli attesta che accompagnò il Fondatore in pellegrinaggio a Roma, Loreto, Bologna, Padova, Milano, Mantova, Venezia, Napoli e… "molte città d'Italia" (4). Forse tra queste anonime città fu anche Gaeta per il Santuario della SS. Trinità.

  Il luogo non è espressamente menzionato negli atti del Convegno svolto a Roma in preparazione al IV° centenario del transito del Fondatore dei Camilliani (5), ma la presenza del successore di S. Camillo nello stesso sec. XVII° è un valido indizio per credere che il Padre Damiano abbia seguito le orme del Primo Ministro dei Chierici Regolari degli Infermi.

1. Lett. Apostolica - Motu Proprio "Sanctuarium in Ecclesia" (11 febbraio 2017), n. 4. Il testo consultato è tratto da L'Osservatore Romano 2 apr. 2017, 7

2. Ved. D. Vaglio, La Montagna Spaccata e il suo Santuario, Caramanica ed. ristampa 10° ed. 2013, pp. 82-83; rimando a P. Rossetto, Breve descrizione delle cose notabili della Città di Gaeta, Tip. Parrino Mutii, Napoli 1689, pg. 46.

3. D. Vaglio, La Montagna Spaccata… cit., P. Domenico del Castiglio è "persona quanto mai seria e competente", p. 83.

4. Cfr. R. Flagiello, Mons. Fr. Verde… tip. Lux Printing, S. Antimo (Na) 2016, relativamente a Sanzio Cicatelli pp. 192-201, qui 195.

5. Cfr. L. Salviucci Insolera - E. Sapori, San Camillo de Lellis e i suoi Amici. Ordini religiosi e arte tra Rinascimento e Barocco, ed. Rubbettino, Saveria Mannelli (Cz), 2016, pp. 306.

      P. Alfredo Di Landa  P.I.M.E.

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La Cona conchigliata rimessa a lucido                                     

  Risalendo dalla Grotta del Turco il pellegrino della Montagna Spaccata di Gaeta si ferma ad osservare la Cona parietale sul fondo di una conchiglia emergente dalla vaschetta che poggia sul gambo di una pietra.

  La direzione del Santuario ha provveduto nel 2016 a lucidarla riportandola, dopo 330 anni di sopravvivenza, alla bellezza originaria. Gli storici la fanno risalire al 1687. Autorevole testimone della plurisecolare esistenza del monumento secentesco è don Domenico Porrazzo, che fu rettore del Santuario del SS. Crocifisso nella Montagna Spaccata di Gaeta dal 1903 al 1917 affidato ai Padri Pallottini. Egli così lasciò descritta l'antica fontana nel manoscritto di 27 cartelle: "A sinistra di chi guarda la chiesa (della SS. Trinità) vi è addossata al muro del sovrastante giardino una fontana costruita nell'anno 1687 e presentemente rimasta ancora intatta per le due colonne di granito con capitelli corinzi" (1).

  Sulla personalità di questo primo sacerdote pallottino addetto alla cura spirituale del Santuario si è tramandata qualche notizia, me è opportuno richiamarne la memoria e conoscere le doti naturali che manifestò all'interno della "Pia Società delle Missioni" fondata da S. Vincenzo Pallotti.

  Il Porrazzo nacque a Pietradefusi (prov. Avellino, arcid. Irpina) nella festa liturgica della Madonna del Carmine (16 luglio 1837). Agli inizi del mese di marzo 2017 la località di Pietradefusi è stata ricordata dalla stampa cattolica perché ivi è morto il Nunzio apostolico S. Ecc. l'Arciv. Luigi Barbarito (2), che negli ultimi anni della sua lunga vita (1922-2017) è vissuto nell'Istituto San Giuseppe Moscati.

  Il Pontifico Istituto Missioni Estere (PIME) deve riconoscenza a don Domenico Porrazzo non solo perché fu lui a indirizzare S. Alberico Crescitelli (1863-1900) al Seminario romano dei santi Apostoli Pietro e Paolo, ma anche perché fece parte dell'Unione Missionaria del Clero e suggerì al Beato Padre Manna (1872-1952) di accettare in dono il Santuario della Madonna di Casaluce con annesso castello per la diffusione della Stampa missionaria (3).

     SOMMARIO DELLA BIOGRAFIA

  Domenico Porrazzo nacque a Pietradefusi il girono dedicato alla Madonna del Carmine (16 luglio 1837). Fin dalla fanciullezza mostrò una viva devozione mariana che da sacerdote comunicò ai fedeli che frequentavano la Chiesa "Madonna della Neve" a Rocca Priora (Roma), dove esercitò il suo primo ministro pastorale. A 19 anni entrò a far parte della Congregazione detta nel 1856 "Pia Società delle Missioni", fondata a metà sec. XIX da S. Vincenzo Pallotti, in seguito denominata Società dell'Apostolato Cattolico con sede centrale a Roma in Via Giuseppe Ferrari.

  Nel 1860 pronunciò la professione religiosa e il 19 aprile 1862 ricevette l'ordinazione sacerdotale. Per otto anni guidò la comunità della Madonna della Neve conservando la rettoria di quella Chiesa. A cominciare dal 1880 fu inviato dai Superiori a Terni per l'animazione vocazionale degli adolescenti. In un biennio raccolse un bel numero di ragazzi che mostravano vocazione al sacerdozio e li indirizzò al Seminario che i Pallottini avevano in Roma. Nella Città eterna fu rettore dell'Ospizio Cento Preti presso la Casa Generalizia della Congregazione.

  Nel '889 salpò i mari per l'America del Nord per assistenza agli emigranti degli Stati Uniti e per la guida pastorale della Chiesa Madonna del Carmelo. Al ritorno dagli Stati U.S.A. fu ancora impegnato a Rocca Priora (1897-99), poi addetto alla Casa dei Pallottini presso l'Abbazia di Masio (in prov. Di Alessandria).

  Nel 1903 la Congregazione ebbe ad affidare il Santuario della Montagna Spaccata di Gaeta, per questo venne scelto come rettore don Domenico, noto per la predicazione, le missioni al popolo e la direzione spirituale delle religiose.

  Rimase a Gaeta fino al 1917 quando il Santuario fu riconsegnato dai Pallottini al Vescovo. Durante il superiorato di Don Gissler Karl, di origine tedesca, negli anni 1909-19 il compito di don Porrazzo fu di realizzare Missioni popolari a Maranola, Elena e paesi intorni. Invece sotto il provincialato di Don Giacinto Cardi fu nominato Vicario provinciale. Morì a Roma, all'età di 93 anni, il primo giorno del 1930. È sepolto nella tomba (?) della Società dell'Apostolato cattolico al Cimiero del Verano di Roma, (4).

 NOTE

1. D. Porrazzo, Cenni storico-descrittivi sul Santuario del SS. Crocifisso nella Montagna Spaccata di Gaeta (manoscritto presso l'autore dell'art.), fog. 2.

2. L'arc. Luigi Barbarito, nativo di Atripalda (Avellino) in data 19 aprile 1922, fu in servizio diplomatico della Santa Sede dal 1953 al 1997. Vedere L'Osservatore Romano del 15 marzo 2017, p. 7; Avvenire di martedì 14 marzo 2017.

3. F. Germani, P. Paolo Manna, tip. Anselmi-Marigliano (Na) 1990, vol II p. 236.

4. Ved. Archivio centrale della Società Apostolato Cattolico, dir. D. Mario Proietti-Roma

      P. Alfredo Di Landa  P.I.M.E.

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Il pittore Scipione Pulzone nell'età postridentina

   Più giovane del letterato rinascimentale Antonio Sebastani Minturno, futuro Vescovo della Diocesi di Ugento e di Crotone (1500-1574), ma conterraneo della regione Latium adiectum comprendente la Pentapoli aurunca, Formia, Fondi, Gaeta, fu il pittore Scipione Pulzone (1540-1598) soprannominato il Gaetano.

  La riforma voluta da Martin Lutero iniziò nel 1517 con la pubblicazione delle 95 tesi a Wittenberg. Fautori dello scisma nella Chiesa cattolica furono i protestanti ed i simpatizzanti di Giovanni Valdes, Calvino e Zwinglio. Tuttavia a dare inizio nel 1527 al "Sacco di Roma" furono i Lanzichenecchi cioè gruppi di protestanti assoldati da Carlo V° di Spagna. Per nove mesi essi commisero atrocità senza fine contro le arti del Rinascimento cambiando sia il pensiero dei dotti umanisti, sia degli artisti che con l'architettura, scultura e pittura avevano ricreato l'età classica. 

  Scipione Gaetano, più del concittadino Sebastiano Conca, è stimato dagli intenditori d'arte uno dei più originali interpreti pittorico della restaurazione cattolica dopo il Concilio i Trento (1545-1563). Secondo il critico d'arte napoletano Bernardo De Dominicis (sec. XVIII), autore di "Vite dei pittori, scultori ed architetti partenopei" in tre volumi pubblicati dalla Stamperia Ricciardi nel 1742, lo stile del Pulzone non fu artificiosamente pio ma imitare dal naturale nei ritratti di persone e nei ritratti di persone e nelle tavole d più larga visione.

  Le opere del Pulzone sono state elencate in testi inglesi, che hanno dato le misure ed indicato i luoghi dove si trovano, mentre lo strico italiano dell'arte Federico Zeni nel 1957 scrisse un saggio sull'attività solta dal Gaetano a Roma. Sul finire del sec.XVI il Pulzone dipinse una tela ad olio raffigurante Urbano VIII° (Maffeo Barberini), anche se da alcuni studiosi la si attribuisce a Michelangelo Merisi o Caravaggio. Certamente Scipione visitò il Santuario del SS. Crocifisso alla Montagna Spaccata. S potrebbero far indagini per accertare se fra i quadri in possesso dei Benedettini figuravano dipinti del Pulzone. Sulla credibilità affacciata da Don Domenico Porrazzo (rettore della Montagna Spaccata nei primi decenni del Sec. XX°) nel manoscritto inedito, l'ipotesi sembra affermativa.

      P. Alfredo Di Landa  P.I.M.E.

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La beatitudine della sete

   Il missionario della Carità, P. Brian Kolodiychuk, ha composto una novena in onore di santa Teresa di Calcutta (1910-1997) servendosi delle parole pronunciate da lei durante il pellegrinaggio terreno. Nel terzo giorno del novenario ha introdotto un pensiero della Fondatrice manifestato alle sue Figlie consacrate: "Ascolta, figlia, Gesù che ti dice: ho sete! Sulla croce Egli era così sofferente (che) in quel momento ha proclamato di aver sete! Le persone (sotto la Croce) pensavano che avesse una sete fisica, e Gli hanno dato dell'aceto. Ma non era quello di cui aveva sete, era assetato del nostro amore, del nostro affetto (…). La sete di Gesù sulla Croce non è immaginazione!" (cfr. Novena a S. Teresa di Calcutta, Marano S. P. (M), 2005, 2^ ed. VI^ ristampa, p. 15).

  Non avrei fino ad ieri immaginato che un teologo, qual è José Tolentino de Mendonça, nel corso degli EE. SS. da dettare a Papa Francesco e Curia Romana trattasse per tema l'elogio della sete in dieci puntate. Invece devo ricredermi e stimarmi un "apprendista per lo stupore" de fronte alla litania composta dal cinquantatreenne predicatore. Egli inizia con la Scienza della sete, per l'occasione iniziando dall'espressione tradizionale che sitit sitire (Dio arde dalla sete che ha di essere desiderato) non dalla bocca ma dal cuore.

  Qui si sovviene Madre Teresa: "Figlio/a fino a quando non sperimenterai dentro di te che Gesù ha sete di te, non potrai iniziare a conoscere chi Lui vuole essere per te" (ivi, p. 15).

  La seconda meditazione riguarda il profondo dell'animo: Mi sono accorto di essere assetato, a cui segue la costatazione: Sete di niente oppure Bere dalla propria sete. Al centro della settimana: La sete di Gesù, cui fanno seguito "Le lacrime (che) raccontano una sete" in maniera variegata secondo le forme del desiderio.

  Verso la fase conclusiva precede il pensiero per "Ascoltare la sete delle periferie", e finalmente l'inno a "La beatitudine della sete". I giornalisti si sono limitati all'elenco delle prediche.

  I Missionari della Montagna Spaccata di Gaeta possono testimoniare che il profeta Isaia per primo nell'A.T. invitò i pellegrini assetati a bere l'acqua fresca, anzi molte altre acque non riescono ad estinguere la sete spirituale. I relativi versetti della Bibbia furono incisi sulle due fontanine erette nel cortile antistante la Chiesa della SS. Trinità (sec. XVII°).

      P. Alfredo Di Landa  P.I.M.E.

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Nella terra d'origine di S. Giovanni XXIII°

   È stato denominato un pellegrinaggio straordinario quello di Papa Giovanni XXIII°, nel sessantesimo anniversario della sua elezione come successore de Pietro e quinto decennio e mezzo della sua nascita al cielo. L'urna che contiene il corpo santificato giungerà a Bergamo, capoluogo della Diocesi, il 24 maggio e resterà esposta alla devozione dei fedeli per tre giorni.

  Sarà processionalmente accompagnata a Sotto il Monte, suo paese nativo, domenica 27 nella festa della SS. Trinità, fino alla domenica del 10 giugno. Le due date sono indicative per i Padri del PIME perché il Santuario della SS, Trinità è affidato alla cura pastorale dei sacerdoti missionari formati dal Beato Paolo Manna (1872-1952) fondatore dell'Unione Missionaria del Clero e che da Superiore Generale dell'Istituto visitò la Cappella del Crocifisso con il gruppo della Madonna Desolata.

  La data del dieci giugno precede la memoria liturgica dell'apostolo Barnaba, discepolo e collaboratore di S. Paolo nella predicazione del vangelo ai gentili. Fin da quando era segretario del vescovo Mons. Radini il giovane sacerdote Angelo Giuseppe Rocalli (1881-1963) aderì iscrivendosi all'Unione Missionaria. Nel 1921 fu chiamato da Pio XI° a dirigere il movimento missionario con l'incarico di unificare a Roma le Opere della s. Infanzia, dell'aiuto ai sacerdoti indigenti e di S. Pietro apostolo. In seguito fu ospite del Seminario vescovile di Avesa per incontrare P. Manna e i membri diocesani dell'Unione Missionaria capeggiati da Mons. Settimio Caracciolo che aveva incoraggiato il can. Grassia a donare a Prop. Fide il palazzo marchesale dei Folgori per istituire un Seminario Meridionale Missionario. Nel 1924 Mons. Roncalli tenne la relazione ufficiale nel I° congresso del U.M.d,C. a Caserta dove arrivò in treno alle 11 a.m..

  Eletto Papa, prendendo il nome di Giovanni XXIII° (1959), alimentò l'ardore missionario accettando un mappamondo illuminato dai PP. Verbiti e lo fece sistemare nell'aula della biblioteca privata perché avesse sempre presente la visione del mondo religioso e"degli araldi del vangelo" (cfr. in "Papa Giovanni XXIII°, pref. card. L.F.Capovilla, p.8).

      P. Alfredo Di Landa  P.I.M.E.

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Una sana emulazione genera santi

   Ad una giornalista che chiedeva al card. Angelo Amato se il Dicastero da lui presieduto si potesse definire "Fabbrica dei Santi", il porporato rispose che questo termine è accettabile in quanto la Congregazione romana assomiglia a un "cantiere laboratorio dove si produce merce buona" (cfr. Fam. Crist. 14 genn. M.S., 48). In passato si pensava che solo i martiri, gli eremiti del deserto, vergini consacrate potessero raggiungere la gloria degli altari.

  Invece tutte le categorie di persone possono raggiungere la santità perché Gesù ha detto: "Siate santi (perché) nella casa del Padre mio vi sono molti posti" (cfr. Gv 14,2). L'amore di Gesù, che è la vera luce del mondo, fa fiorire i boccioli delle virtù e rende autenticamente apostolica l'attività di ciascuno.

  Diceva Madre Teresa di Calcutta: "Dobbiamo diventare santi non perché vogliamo sentirci tali, ma per permettere a Cristo di vivere la sua vita in noi pienamente". Nella schiera dei santi canonizzati figurano due Amici dell'Oriente, Basilio (330-70 d. C.) e Gregorio nazianzeno (330-90 d. C.), che aspirarono al medesimo bene spirituale guidati da una santa emulazione.

  Sulla loro scia si sono messi due grandi Missionari del nostro tempo: il beato Paolo Manna (1872-1952) e l'amico Celso Costantini (1876-1958). L'uno mostrò grande zelo apostolico nell'annunciare il Vangelo in terra birmana dal 1895 al 1907 durante tre tappe interrotte per malattia, ma fondò in Italia l'Unione Missionaria del Clero per rinnovare il metodo di evangelizzazione dei non cristiani e con la stampa promosse l'unità dei battezzati. Egli è stato beatificato il 4 novembre 2001 dal Santo Padre Giovanni Paolo II°, interprete della missione di Gesù. L'altro, S. Em.

  Il card. Celso Costantini, prima Delegato apostolico in Cina e fondatore dell'Ordine presbiterale autoctono Descipulorum Domini a Pechino, poi Segretario a Roma di Propaganda Fide, sarà a breve beatificato. Tramite l'Agenzia Fides è stato comunicato che il 17 ottobre 2017 S. Ecc. mons. Giuseppe Pellegrini, Ordinario della Diocesi Pordenone-Concordia, ha proceduto all'apertura della fase diocesana della causa di beatificazione e canonizzazione. Novanta anni fa Mons. Costantino e Padre Manna si erano incontrati in Cina, richiamando l'attenzione di un altro meraviglioso missionario che era il Lazzarista P. Vincent Labre (1877-1940) buon conoscitore della situazione socio-religiosa del celeste impero, per procedere al rinnovamento del clero autoctono.

  Il dialogo proseguì anche dopo che il Manna rientrò in Italia e, su richiesta del Delegato Apostolico e, su richiesta del Delegato Apostolico, inviò una lettera con proteste ardite e temerarie circa l'uso della lingua cinese nella liturgia, la riforma da apportare nel metodo della evangelizzazione, in fine sul curricolo formativo dei sacerdoti nei Paesi di missione. Alla fine l'intesa sulla necessità di eliminare ogni aspetto di occidentalismo e di trarre le conseguenze per la ritardata evangelizzazione da parte della Chiesa cattolica fu univoca.

  Da segretario della Congregazione di Propaganda Fide Mons. Costantini si attivò per promuovere nei missionari il dovere dell'inculturazione e del rinnovamento della Chiesa nel 1953 fu elevato Cardinale e Cancelliere della Curia romana. In precedenza all'elevazione alla porpora cardinalizia egli suggerì, forse, al Papa Pio XXII° di indirizzare una lettera all'amico Padre Manna.

  Ecco le espressioni della lettera pubblicata il 6 dicembre 1941: "Fin da quando iniziasti la tua alacre attività per l'estensione del Regno di Dio in Birmania (oggi Myanmar n.d. r.), e poi attraverso molteplici vie con l'apostolato della parola e della penna (…) tu hai ben meritato della Chiesa contribuendo efficacemente a formare una più illuminata coscienza missionaria". Possiamo concludere che la reciproca emulazione tra le due figure delineate le ha condotte a gareggiare per la santità.

      P. Alfredo Di Landa  P.I.M.E.

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S. Alfonso de' Liguori al Crocifisso - Gaeta

   I visitatori del Santuario del SS. Crocifisso alla Montagna Spaccata di Gaeta se non hanno tra mano come guida il testo di p. Donato Vaglio (1916-2012), missionario del P.I.M.E. in Brasile, ignorano che nel corso dei secoli tra i pellegrini in preghiera si recò anche da vescovo S. Alfonso M. de' Liguori (1696-1787) (1).

  Il fondatore dei Redentoristi visitò la Montagna Spaccata non solo da giovane in compagnia del genitore che era capitano marittimo del Regno di Napoli, ma anche da vescovo su invito dell'Ordinario diocesano di Gaeta Mons. Carlo secondo Pergamo amicissimo del Santo e suo concittadino. Nel manuale della Passione di G. Cristo il Patrono dei teologi moralisti ricordò la pia tradizione dell'apertura della Montagna Spaccata nella morte del Signore (2), ma in un libretto di riflessioni dedicate ai vescovi per il governo pastorale dei propri fedeli scrisse che il primo mezzo è la preghiera seguito dal buon esempio e dal ricorso a Visita pastorale o Sinodo. Lo ha richiamato recentemente il teologo Mario Colavita ristampando l'opuscolo "Riflessioni di S. Alfonso M. De' Liguori utili ai vescovi per ben governare le loro Chiese" (3).

  Non è arbitrario ipotizzare che il Santo intendesse rivolgersi, oltre che a sé stesso, anche al vescovo di Gaeta che lo invitò a predicare una missione al popolo mentre celebrava il Sinodo diocesano. Tra i mezzi consigliati il Colavita enumera: 1° la preghiera; 2° buon esempio personale, 3° residenza permanente in Diocesi: 4° Visita pastorale; 5° Sinodo diocesano; 6° Consiglio episcopale; 7° predicazione o missione al popolo; 8° porte aperte ai sacerdoti e fedeli; 9° delicatezza nei richiami di correzione. Nella conclusione il moralista richiama a sé stesso: "Se (il vescovo) vuol salvarsi, è necessario che si risolva in entrare al suo governo di abbracciare una vita non agiata, né di riposo, ma una vita di croci, di stenti e di fatiche".

  È la stessa catechesi con cui Papa Francesco rinnova l'appello che ogni Pastore della Chiesa abbia l'odore delle pecore.

1.  Ved. Vaglio, La Montagna Spaccata e il suo Santuario, Caramanica ed., Marina di Minturno (Lt), 2013, Ristampa X^ ed. pp. 139-140.

2.  Alfonso M. De Liguori, Riflessioni sulla Passione di G. Cristo, (1774), c. VI°

3.  M. Colavita, (a c.) Riflessioni utili ai vescovi (di S. Alfonso M. de' Liguori) in L'Osservatore Romano del 27/28/ apr. 2015, p. 5. Cf. anche S. Ferraro Memorie religiose e civili della Città di Gaeta, Napoli tip. Fr. Giannini 1908, pp. 222-23.

      P. Alfredo Di Landa  P.I.M.E.

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S. ALFONSO de' LIGUORI NEL SANTUARIO DI GAETA

   Figlio di un capitano della flotta borbonica, Alfonso de' Liguori (1696-1787) non una sola volta visitò Gaeta, ma anche da Fondatore della Congregazione del SS. Redentore fu presente nella città marittima per corsi di Missioni al popolo.

  Egli, che pubblicò il libretto delle Visite al SS. Sacramento e Le Glorie di Maria, fu anche autore di due lavoretti ascetici riguardanti il "Modo di conversare continuamente alla familiare con Dio" e le "Riflessioni ed affetti sulla passione di Gesù Cristo". Questi libriccini furono pubblicati nel 1753, ma già in preparazione al Giubileo indetto dal Pontefice Benedetto XIV (1750) egli si unì ai suoi Missionari predicando a Salerno, Cava dei Tirreni, Melfi, Montemarano e altre località.

  Al tempo del sovrano Ferdinando IV (1759) il de' Liguori fu incaricato di portare ordine nell'orfanatrofio delle fanciulle esposte dell'Annunziata di Gaeta che era dipendente dall'Annunziata della capitale del Regno.

  Narra il biografo don Alfonso Salvini che l'Opera gaetana era mal governata dai dirigenti e dalle maestre. Dapprima il Santo inviò alcuni Padri della Congregazione per rimediare al disordine, ma questi furono accolti con parolacce e bestemmie. Intervenne in aiuto il Fondatore dei Redentoristi per un corso di santi esercizi durante i quali l'ambiente ritornò moralmente e materialmente risanato.

  Certamente non solo quell'anno P. Alfonso si recò in pellegrinaggio alla Montagna Spaccata nella Cappella del Crocifisso, ma anche successivamente insieme con i suoi Missionari che "ritornarono ad intervalli" a predicare gli Esercizi.

  Conclude così don Salvini: "Imbevute com'erano dell'amore di G. Cristo le Missioni di Alfonso operavano del bene, perché solo chi si riveste dello Spirito di Cristo predica con frutto la Parola di Lui".

Cfr. A. SALVINI, S. Alfonso de' Liguori, Soc. San Paolo - Alba Roma Catania 1940, p.376, qui pp.201-2

      P. Alfredo Di Landa  P.I.M.E.

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Gaeta perla del Tirreno luminescente

   È di questi giorni (…giugno 2017) la notizia dei giornali che l'editrice Guanda si è assunta l'onere di ripubblicare il volume del letterato Pier Paolo Pasolini (1922-1975) dal titolo "La lunga strada di sabbia". L'inviato del quotidiano "Avvenire", Enrico Grandesco, nella pagina culturale ha posto in evidenza che di Pasolini "un talento estremamente versatile" erano stati trascurati gli scritti "di viaggio commessigli nel 1959 della rivista illustrata Successo" (1). Allineata al giornalista di Avvenire anche la collega Francesca Bellino ha ricordato sulle colonne de "Il Mattino" che il poeta Alfonso Gatto tra le sue composizioni in versi dedicate agli artisti contemporanei dai pittori in versi dedicate agli artisti contemporanei dai pittori Gentilini, Cagli, Emilio Vedova agli scrittori Moravia, Landolfi, Eugenio Montale, annoverava con stima l'amico Pasolini condividendone lo stile giornalistico "attento alle evoluzioni della società" in corso (2)

  Personalmente non ho sott'occhio i reportage on the road richiamati dal Grandesco a proposito di P.P.P. (sigla del letterato regista). Preferisco riportare quanto uno dei redattori dal mensile "Luoghi dell'infinito", Giorgio Agnosola, attribuisce alla malia di "Quel tratto della costa tirrenica" dove con le sue vele aperte nel mare illuminato splende Gaeta come perla preziosa. Gaeta è ricca di aree archeologiche, di monumento artistici di tutte le epoche, ma soprattutto di storia sacra. Il monumento simbolo della Città marinara è la bellissima cattedrale dedicata a Sant'Erasmo e Marciano, cui si aggiunge la chiesa dell'Annunziata con la Cappella dell'Immacolata e in alto la scenografica Chiesa di San Francesco. Tuttavia domina sull'estremo lembo del promontorio la triplice spaccatura del monte Orlando con i santuari del SS. Crocifisso e della Trinità (3).

1.  E. Grandesco, L'Italia in millecento, i reportage on the road di Pasolini, in Avvenire, dom. 28.V.2017, pg. 26.

2.  F. Bellino, il Gatto inedito…, Oscar Mondadori ripubblicato, in Il Mattino 28 maggio 2017, pg. 17.

3.  G. Agnosola, Reportage: la costa tirrenica dal Garigliano al Circeo; cf. D Porrazzo, Cenni storico descrittivi sul santuario del SS. Crocifisso nella Montagna Spaccata di Gaeta, manoscritto inedito pp. 27, qui p. 6-7.

      P. Alfredo Di Landa  P.I.M.E.

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Iniziativa della Dante Alighieri Enciclopedia       

   Nel suo manoscritto sul santuario del SS. Crocifisso nella Montagna Spaccata di Gaeta, da buon conoscitore delle tre cantiche della Divina Commedia, don Domenico Porrazzo (1837-1930) della Società dell'Apostolato Cattolico citava vari passi del Poema per dimostrare la fama plurisecolare di quel luogo santo "a cominciare da quel Santo Monaco che in quel Monte a cui Cassino è nella costa / portò lo nome di Colui che in terra addusse / la verità che tanto ci sublima (Parad. C. XXII), cioè S. Benedetto" (1).

  Dopo di lui i monaci benedettini fondarono il monastero della Trinità, e là si recarono S. Francesco d'Assisi, S. Bernardino da Siena, S. Filippo Neri, S. Ignazio di Loyola, S. Paolo della Croce e tanti altri.

  L'ultimo giorno di maggio nella festa della Visitazione di Maria, mi è venuto sott'occhio dalla stampa del quotidiano cattolico "Avvenire" l'iniziativa lanciata dalla Società Dante Alighieri di realizzare una Enciclopedia virtuale - attraverso lo spazio aperto sul Web - per contribuire alla formazione intellettuale, etica ed estetica di persone disposte a rendere accessibile all'infinito la cultura. Ideatori del progetto in fieri sono il prof. Andrea Riccardi, il segretario generale della Società Alessandro Masi, il produttore cinematografico Lambertini.

  L'occasione per lanciare l'iniziativa è stata la Giornata della Dante, in cui il vice-presidente Paolo Peluppo ha voluto spiegare la scelta della testata Enciclopedia accoppiata all'attributo infinita. Si comincia - nella prospettiva dei tempi infiniti - con la lettura, il commento e la visione di canti estratti dal Poema (Inferno, Purgatorio e Paradiso) col sottotitolo "In viaggio con Dante".

  Ci si augura che il viaggio non si limiti ad essere virtuale, sia pure mediante immagini di luoghi attribuibili all'Italia di oggi, ma sia una visita reale guidata dal presidente e fondatore della Sant'Egidio in compagnia degli altri componenti della società Dante Alighieri alla Montagna Spaccata di Gaeta. Non solo si potrà avere dinanzi il baratro infernale, la via per correr migliori acque, come il Purgatorio, ma si potrà risalire a riveder in gloria l'Amor che move il sole e l'altre stelle.

  La comunità dei sacerdoti del Pontificio Istituto Missioni Estere (PIME) al servizio del Santuario auspica che l'invito non diventi una forma di litigio dantesco fra Roberto Benigni e il prof. Membrini.

1.  D. Porrazzo, Cenni storici-descrittivi sul Santuario del SS. Crocifisso nella Montagna Spaccata di Gaeta, pg. 28 (manoscritto inedito conservato nell'archivio del pio luogo). Cf. Fiore L., Il Santuario della SS, Trinità. Cappella del Crocifisso, Tip. De Andreis (Lt) 1962, pg. 13.

      P. Alfredo Di Landa  P.I.M.E.

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Il mancato collegio gesuita a Gaeta       

   Sulle orme del Fondatore S. Ignazio di Loyola (1493-1556) pellegrino alla Montagna Spaccata, i gesuiti furono invitati dal Vescovo Ildefonso Lassosedegno sulla cattedra gaetana dal 1587 al 1597 a predicare i misteri quaresimali sul SS. Crocifisso ed erigere un collegio in Città secondo il metodo ignaziano. Sotto la sua guida furono trasferite in una nuova Cappella le reliquie di S. Erasmo e Marciano dietro l'insistenza dell'Università cittadina. E ai membri del Consiglio amministrativo il vescovo chiese che, per la formazione socio-culturale e religiosa degli abitanti, deliberassero l'istituzione pubblica di un collegio da affidare ai gesuiti. I giudici, in assenza del Comandante Calderas infermo, tennero ripetute sedute nell'aprile 1589 per stabilire le modalità dell'accoglienza permanente. Non si giunse a un contratto definitivo nel corso di un decennio per le scarse risorse economiche dell'Amministrazione.

  L'obiettivo non raggiunto dalla città di Gaeta fu conseguito dalla Chiesa di Napoli per l'interessamento del Teatino Antonio Sebastiani Minturno (1500-1574). Ne fa testimonianza la lettera inviata da S. Ignazio di Loyola al Minturno in data 16 agosto 1551. Finora della epistola con sommario latino: De sociis Neapolim ad inchoandum collegium (…) mittendis aveva dato notizia il can. Gaetano Ciuffi (1783-1860) di Traetto (Minturno) ma con inesattezze geografiche e di nomenclatura. Trascriviamo il testo nella forma originaria, dopo il monogramma Jhs (Jesus).

  "Magnifico signor mio nel Signore nostro. La summa gratia et amor eterno de X°. (Cristo) N. (ostro) S (ignore) sia sempre in agiuto (aiuto) et favor nostro. / Come scrivo a l'Illmo signor Ducha (Ettore Pignatelli) di Monteleone, per tutto il mese di settembre saranno in ordine li dodici che si hanno a mandare a Napoli. Et per esser già il Trento il M(aestro) Laynez e il Mtro Salmeron per mandato espresso de S. S., non si potendo per adesso nessuno de loro levare, ho pensato per uno delli sacerdoti mandar al maestro Bobadilla (Nicola Alonso) anchora che ad instantia del cardinal de Inglaterra (Reginaldo Polo) e del Cardinale Durante sta i Bressa (Brescia) occupato in cose del servitio di Dio con esso card. Durante; ma spero in Dio haverà de occuparsi in Napoli in cose non manco, anzi più grate alla divina maestà: a l'altro sacerdote, in predicare et in ogni opera pia che accadrà, spero li darà gratia il Signor d'esser' non pauco utile per il fine che si pretende. Circa altre cose, V. S.ria, per un memorial che va qui sarà advertito, et si degnerà ragguagliar allo Ill.o signor ducha, perché io mi rimetto in quella li scrivo a V. S.ria. in vero molta confidentia me dà Iddio N. S. vedendo la devozione che ha data alle SS. VV. che voglia(no) far costì un'opera di molto servitio sua. Li scolari non saranno inutili per detto effetto, perché saranno persone conosciute et probate, le quali con l'esempio, e parte de loro con lettere, potranno ajutare l'opera de X° N. S.; cui somma et infinita bontà a tutti conceda gratia abondante per conoscere sempre sua santissima volontà, et quella perfettamente adempiere. (…) Tutto il servitio di V. Sria nel Signore nostro".

  Si auspica che la figura di Mons. Antonio Sebastiani Minturno, vescovo di Ugento e di Crotone, sia debitamente ricordata non solo come umanista e poeta petrarchesco, ma anche come teologo, Padre Sinodale e interprete della Sacra Scrittura.

      P. Alfredo Di Landa  P.I.M.E.

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S. Ignazio di Loyola a Gaeta       

  È dei giorni scorsi la notizia che il successore di Sant'Ignazio di Loyola, P. Arturo Sosa Abascal, attuale Preposito generale della Compagnia di Gesù, ha istituito la Provincia gesuitica "Euro-Mediterranea" riunendo sotto la guida di un solo Superiore i confratelli d'Italia, Albania e Malta. I membri della Provincia sono sacerdoti e fratelli laici, in complesso circa quattrocento, ma alcuni di origine slava, altri italiani e maltesi. Si rinnova quanto si verificò al tempo del Fondatore che raccolse i primi compagni nativi della Spagna, della Francia e dell'Italia.

  Scopo principale della Compagnia era di raggiungere la Terrasanta per l'evangelizzazione del Sultano, l'obbedienza indiscussa al Papa, la partecipazione diretta al mistero di redenzione compiuto da Gesù crocifisso e risorto.

  Per tale ragione S. Ignazio di Loyola, salpato nel 1523 da Barcellona e diretto ai luoghi santificati dal Figlio di Dio, raggiunse il porto di Gaeta e si fermò da pellegrino presso il Santuario del SS. Crocifisso edificato a metà del secolo XV (1435-1450) su un grosso macigno staccatosi dalla parete destra e rimasto sospeso sul mare, poggiando sull'altra parete della Montagna squarciata alla morte del Signore (Mt 27,51).

  Ecco quanto scriveva P. Donato Vaglio del PIME (1916-2012), autore del volume "La Montagna Spaccata e il suo Santuario" (1), della visita del Fondatore dei gesuiti: "Del secolo XVI si ricordano due grandi santi al Santuario, Ignazio di Loyola e Filippo Neri. (…). Del primo molto poco si può dire (…) il poco che di S. Ignazio a Gaeta, ci testimoniano i suoi biografi (è detto) da P. Alfonso (De) Polanco e Dudon Paol (2). (De) Polanco racconta il primo viaggio del Fondatore e scrive: "Salpato da Barcellona nel marzo 1523 e giunto a Gaeta, Inigo continuò il viaggio a piedi per Roma" (3). Tuttavia "dato lo stretto nesso tra il Santuario e i luoghi santificati dal Verbo Incarnato, (…) è probabile che S. Ignazio, solo che ne abbia sentito parlare, non avrà mancato di visitarlo (4). L'auspicio è che anche il provinciale della Compagnia Euro-Mediterranea, P. Gianfranco Matarazzo, segua le orme del Fondatore in prossimità del 5° centenario del suo pellegrinaggio alla Montagna Spaccata di Gaeta.

1. Ved. D. Vaglio, La Montagna Spaccata e il suo Santuario, Caramanica ed. 2013.

2. Ivi, p. 134 con nota 22 in ristampa decima edizione.

3. A. (De) Polanco. Vita Ignatii Loyolae, Vol V, Instituti Historici Soc. Iesu (MHSI); cfr Philpi Endean, Ignazio di Loyola e Lutero in Civ. Catt. N. 3974 (2016) 1,140.

4. Ved. D. Vaglio, o.c. p. 135.

      P. Alfredo Di Landa  P.I.M.E.

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Miguel De Cervantes alla Montagna Spaccata       

  Sono trascorsi 470 anni dalla nascita di Miguel Cervantes, autore del conosciutissimo romanzo cavalleresco "Don Chisciotte della Mancia", e di lui è stato ricordato nello scorso 2016 il quarto centenario della morte (1547-1616).

  I suoi biografi scrivono che era un esattore delle tasse, ingegnoso gentiluomo come il protagonista del suo romanzo più celebre, credente impegnato con la penna a difendere la religiosità popolare ma anche combattente perché da soldato a 24 anni partecipò alla vittoria di Lepanto nel 1571. Questo particolare storico è importante, non solo perché il vessillo glorioso della battaglia di Lepanto si conserva nel museo diocesano di Gaeta ma anche perché serve di base a credere che lo scrittore ispanico andò pellegrino al Santuario della Montagna Spaccata e come devoto del SS. Crocifisso non omise di porre in bocca a Sancio Pansa l'invocazione alla Trinità di Gaeta! (1)

  Leggendo l'articolo scritto dal gesuita Santiago Madrigal (2) in Civiltà Cattolica, ho trovato interessante la riflessione dell'autore sul senso religioso che Cervantes intese manifestare nel "Don Chisciotte". Per me è servita come chiave di volta per spiegare l'interessamento a visitare la Cappella del SS. Crocifisso nella Montagna Spaccata. Cervantes era uno scrittore laico-credente vissuto tra il se. XVI - XVII. Sul piano religioso si collocò alla stregua della Spagna dove convivevano ispanici, mori, ebrei e cristiani.

  La religiosità che i seguaci dei credi monoteistici manifestavano comprendeva tre livelli: uno di ordine sociologico (epidermico) che faceva uso di massime estratte dalle Scritture; un altro esplicitamente di contenuto (sostanzioso) dottrinale, come gli attributi di Dio, le verità eterne, i sacramenti, il culto mediante gli atti di pietà e le pie preghiere della Via Crucis o pellegrinaggi ai luoghi santi; l'ultimo corrispondente alla religiosità riflessa di cui Cervantes come scrittore fornisce elementi sinceri e toccanti, sebbene il romanzo donchisciottesco non sia incentrato sul tema strettamente religioso. Con ragioni, dunque, l'Autore della storia del Santuario, P. Vaglio, conclude: "Il lungo periodo di pace che va dai primi decenni del sec. XVIII segue lo sviluppo massimo della devozione al SS. Crocifisso presso la Montagna Spaccata" (3). Interprete dei fattori sociali, culturali e religiosi successivi alla vittoria cristiana di Lepanto fu appunto il Cervantes.

1. Ved. D. Vaglio, La Montagna Spaccata e il suo Santuario, Caramanica ed., Marina di Minturno (Lt) 2013, ristampa 10° edizione, p. 48ss. 54: Cervantes, Don Chisciotte della Mancia, parte II (1615) c. 22; da notare che la Parte I girava dal 1605.

2. S. Madrigal S. I., Don Chisciotte, cavaliere errante e cristiano - Nel IV° centenario di Cervantes, in Civ. (La) Catt. Anno 167 (2016) q. 3990, vol.III, pp. 470-482.

3. D. Vaglio, o,c., rist. 10^ ed. 2013, pp. 46-47.

      P. Alfredo Di Landa  P.I.M.E.

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Il Santo della Montagna Spaccata, da 500 anni       

  In data 26 maggio la Chiesa celebra la memoria liturgica di S. Filippo Neri (1515-1595). Fu chiamato l'Apostolo di Roma perché dopo aver preso in cura la chiesa romana di S. Maria della Vallicella, dedicò tutta la sua vita al servizio degli ammalati e incurabili fondando la confraternita dei pellegrini e formò generazioni di giovani presso l'Oratorio di cui fu instancabile animatore con le sue trovate geniali. Egli stesso era stato ordinato Sacerdote a 36 anni nel 1551, ma già durante la prolungata veglia di preghiera precedente la Solennità di Pentecoste del 1544 per il dono dello Spirito Santo sentì dilatarsi il cuore come fornace ardente d'amore. 

  Figlio del notaio fiorentino Francesco, apprese dalla madre Lucrezia le prime pratiche di pietà che coltivò intensamente nel convento domenicano di San Marco ad imitazione del santo atleta della Fede cristiana Domenico sì che "fu repleta/… la sua mente di viva virtute" (Par. XII, 56-57). Accettò di lavorare presso uno zio a S. Germano (Cassino); e nei momenti liberi faceva ripetute visite al Santuario del SS. Crocifisso di Gaeta.

  Ancora oggi, dopo 500 anni dalla nascita e 485 anni circa del suo primo pellegrinaggio alla Montagna Spaccata, "la gente addita il luogo dove, al calar della sera, di fronte all'ingresso della chiesetta, egli riposava dal lungo cammino" (Ved. D. Vaglio, La Montagna Spaccata, Caramanica ed. , 2001 a pag. 135). La cappellina, prima dedicata a S. Anna e poi a S. Nicola, dal 1895 è detta di San Filippo Neri perché i sacerdoti ascritti al Sodalizio in suo onore eressero una edicola con il busto del Santo e apposero la targa: Qui dove le rocce apertesi piansero Cristo morente, Filippo Neri, partendo frequentemente da Cassino deliberò di rinunciare per sempre al mondo e ai suoi interessi. I sacerdoti del Sodalizio vollero ricordare così il 3° centenario del suo ritorno alla Casa del Padre - 25 maggio 1895.

  La Comunità dei Padri del Pont. Ist. Missioni Estere, che ha in cura questo bimillenario Santuario, accoglie con grande gioia i sacerdoti della Congregazione di San filippo Neri e i numerosi pellegrini che giungeranno con loro per celebrare i 500 anni della nascita del Protettore e Fondatore degli Oratori. Dalla cappellina potranno internarsi nella spaccatura della rupe, scendere per la tortuosa scala e giungere alla Cappella del SS. Crocifisso, di fronte alla cui apertura si trova l'incavatura rocciosa nota come il "Letto di San Filippo Neri". E' tradizione che su quel nudo sasso maturasse in "Pippo Buono" la vocazione al sacerdozio e all'apostolato del perdono sacramentale.

    P. Alfredo Di Landa

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Il pittore Scipione Pulzone da Gaeta nell'età postridentina

  Più giovane del letterato rinascimentale Antonio Sebastani Minturno, futuro Vescovo della Diocesi di Ugento e di Crotone (1500-1574), ma conterraneo della regione Latium adiectum comprendente la pentapoli aurunca, Formia, Fondi, Gaeta, fu il pittore Scipione Pulzone (1540-1598) soprannominato il Gaetano. La riforma voluta da Martin Lutero iniziò nel 1517 con la pubblicazione delle 95 tesi a Wittenberg. Fautori dello scisma nella Chiesa cattolica furono i protestanti ed i simpatizzanti di Giovanni Valdes, Calvino e Zwinglio. Tuttavia a dare inizio nel 1527 al "Sacco di Roma" furono i Lanzichenecchi cioè gruppi di protestanti assoldati da Carlo V° di Spagna.

  Per nove mesi essi commisero atrocità senza fine contro le arti del Rinascimento cambiando sia il pensiero dei dotti umanisti, sia degli artisti che con l'architettura, scultura e pittura avevano ricreato l'età classica. Scipione Gaetano, più del concittadino Sebastiano Conca, è stimato dagli intenditori d'arte uno dei più originali interpreti pittorico della restaurazione cattolica dopo il Concilio i Trento (1545-1563). Secondo il critico d'arte napoletano Bernardo De Dominicis (sec. XVIII), autore di "Vite dei pittori, scultori ed architetti partenopei" in tre volumi pubblicati dalla Stamperia Ricciardi nel 1742, lo stile del Pulzone non fu artificiosamente pio ma imitare dal naturale nei ritratti di persone e nei ritratti di persone e nelle tavole d più larga visione. Le opere del Pulzone sono state elencate in testi inglesi, che hanno dato le misure ed indicato i luoghi dove si trovano, mentre lo strico italiano dell'arte Federico Zeni nel 1957 scrisse un saggio sull'attività solta dal Gaetano a Roma. Sul finire del sec.XVI il Pulzone dipinse una tela ad olio raffigurante Urbano VIII° (Maffeo Barberini), anche se da alcuni studiosi la si attribuisce a Michelangelo Merisi o Caravaggio. Certamente Scipione visitò il Santuario del SS. Crocifisso alla Montagna Spaccata. S potrebbero far indagini per accertare se fra i quadri in possesso dei Benedettini figuravano dipinti del Pulzone. Sulla credibilità affacciata da Don Domenico Porrazzo (rettore della Montagna Spaccata nei primi decenni del Sec. XX°) nel manoscritto inedito, l'ipotesi sembra affermativa.

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La beatitudine della sete

  Il missionario della Carità, P. Brian Kolodiychuk, ha composto una novena in onore di santa Teresa di Calcutta (1910-1997) servendosi delle parole pronunciate da lei durante il pellegrinaggio terreno. Nel terzo giorno del novenario ha introdotto un pensiero della Fondatrice manifestato alle sue Figlie consacrate: "Ascolta, figlia, Gesù che ti dice: ho sete! Sulla croce Egli era così sofferente (che) in quel momento ha proclamato di aver sete! Le persone (sotto la Croce) pensavano che avesse una sete fisica, e Gli hanno dato dell'aceto. Ma non era quello di cui aveva sete, era assetato del nostro amore, del nostro affetto (…). La sete di Gesù sulla Croce non è immaginazione!" (cfr. Novena a S. Teresa di Calcutta, Marano S. P. (M), 2005, 2^ ed. VI^ ristampa, p. 15). Non avrei fino ad ieri immaginato che un teologo, qual è José Tolentino de Mendonça, nel corso degli EE. SS. da dettare a Papa Francesco e Curia Romana trattasse per tema l'elogio della sete in dieci puntate. Invece devo ricredermi e stimarmi un "apprendista per lo stupore" de fronte alla litania composta dal cinquantatreenne predicatore.

  Egli inizia con la Scienza della sete, per l'occasione iniziando dall'espressione tradizionale che sitit sitire (Dio arde dalla sete che ha di essere desiderato) non dalla bocca ma dal cuore. Qui si sovviene Madre Teresa: "Figlio/a fino a quando non sperimenterai dentro di te che Gesù ha sete di te, non potrai iniziare a conoscere chi Lui vuole essere per te" (ivi, p. 15). La seconda meditazione riguarda il profondo dell'animo: Mi sono accorto di essere assetato, a cui segue la costatazione: Sete di niente oppure Bere dalla propria sete. Al centro della settimana: La sete di Gesù, cui fanno seguito "Le lacrime (che) raccontano una sete" in maniera variegata secondo le forme del desiderio. Verso la fase conclusiva precede il pensiero per "Ascoltare la sete delle periferie", e finalmente l'inno a "La beatitudine della sete". I giornalisti si sono limitati all'elenco delle prediche. I Missionari della Montagna Spaccata di Gaeta possono testimoniare che il profeta Isaia per primo nell'A.T. invitò i pellegrini assetati a bere l'acqua fresca, anzi molte altre acque non riescono ad estinguere la sete spirituale. I relativi versetti della Bibbia furono incisi sulle due fontanine erette nel cortile antistante la Chiesa della SS. Trinità (sec. XVII°).

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Pellegrinaggio nella terra d'origine di S. Giovanni XXIII°

  È stato denominato un pellegrinaggio straordinario quello di Papa Giovanni XXIII°, nel sessantesimo anniversario della sua elezione come successore de Pietro e quinto decennio e mezzo della sua nascita al cielo. L'urna che contiene il corpo santificato giungerà a Bergamo, capoluogo della Diocesi, il 24 maggio e resterà esposta alla devozione dei fedeli per tre giorni. Sarà processionalmente accompagnata a Sotto il Monte, suo paese nativo, domenica 27 nella festa della SS. Trinità fino alla domenica del 10 giugno.

  Le due date sono indicative per i Padri del PIME perché il Santuario della SS, Trinità è affidato alla cura pastorale dei sacerdoti missionari formati dal Beato Paolo Manna (1872-1952) fondatore dell'Unione Missionaria del Clero e che da Superiore Generale dell'Istituto visitò la Cappella del Crocifisso con il gruppo della Madonna Desolata. La data del dieci giugno precede la memoria liturgica dell'apostolo Barnaba, discepolo e collaboratore di S. Paolo nella predicazione del vangelo ai gentili. Fin da quando era segretario del vescovo Mons. Radini il giovane sacerdote Angelo Giuseppe Rocalli (1881-1963) aderì iscrivendosi all'Unione Missionaria. Nel 1921 fu chiamato da Pio XI° a dirigere il movimento missionario con l'incarico di unificare a Roma le Opere della s. Infanzia, dell'aiuto ai sacerdoti indigenti e di S. Pietro apostolo. In seguito fu ospite del Seminario vescovile di Avesa per incontrare P. Manna e i membri diocesani dell'Unione Missionaria capeggiati da Mons. Settimio Caracciolo che aveva incoraggiato il can. Grassia a donare a Prop. Fide il palazzo marchesale dei Folgori per istituire un Seminario Meridionale Missionario. Nel 1924 Mons. Roncalli tenne la relazione ufficiale nel I° congresso del U.M.d,C. a Caserta dove arrivò in treno alle 11 a.m. Eletto Papa, prendendo il nome di Giovanni XXIII° (1959), alimentò l'ardore missionario accettando un mappamondo illuminato dai PP. Verbiti e lo fece sistemare nell'aula della biblioteca privata perché avesse sempre presente la visione del mondo religioso e"degli araldi del vangelo" (cfr. in "Papa Giovanni XXIII°, pref. card. L.F.Capovilla, p.8).

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Una sana emulazione genera santi

  Ad una giornalista che chiedeva al car. Angelo Amato se il Dicastero da lui presieduto si potesse definire "Fabbrica dei Santo", il porporato rispose che questo termine è accettabile in quanto la Congregazione romana assomiglia a un "cantiere laboratorio dove si produce merce buona" (cfr. Fam. Crist. 14 genn. M.S., 48). In passato si pensava che solo i martiri, gli eremiti del deserto, vergini consacrate potessero raggiungere la gloria degli altari. Invece tutte le categorie di persone possono raggiungere la santità perché Gesù ha detto: "Siate santi (perché) nella casa del Padre mio vi sono molti posti" (cfr. Gv 14,2). L'amore di Gesù, che è la vera luce del mondo, fa fiorire i boccioli delle virtù e rende autenticamente apostolica l'attività di ciascuno.

  Diceva Madre Teresa di Calcutta: "Dobbiamo diventare santi non perché vogliamo sentirci tali, ma per permettere a Cristo di vivere la sua vita in noi pienamente". Nella schiera dei santi canonizzati figurano due Amici dell'Oriente, Basilio (330-70 d. C.) e Gregorio nazianzeno (330-90 d. C.), che aspirarono al medesimo bene spirituale guidati da una santa emulazione. Sulla loro scia si sono messi due grandi Missionari del nostro tempo: il beato Paolo Manna (1872-1952) e l'amico Celso Costantini (1876-1958). L'uno mostrò grande zelo apostolico nell'annunciare il Vangelo in terra birmana dal 1895 al 1907 durante tre tappe interrotte per malattia, ma fondò in Italia l'Unione Missionaria del Clero per rinnovare il metodo di evangelizzazione dei non cristiani e con la stampa promosse l'unità dei battezzati. Egli è stato beatificato il 4 novembre 2001 dal Santo Padre Giovanni Paolo II°, interprete della missione di Gesù. L'altro, S. Em. Il card. Celso Costantini, prima Delegato apostolico in Cina e fondatore dell'Ordine presbiterale autoctono Descipulorum Domini a Pechino, poi Segretario a Roma di Propaganda Fide, sarà a breve beatificato. Tramite l'Agenzia Fides è stato comunicato che il 17 ottobre 2017 S. Ecc. mons. Giuseppe Pellegrini, Ordinario della Diocesi Pordenone-Concordia, ha proceduto all'apertura della fase diocesana della causa di beatificazione e canonizzazione. Novanta anni fa Mons.

  Costantino e Padre Manna si erano incontrati in Cina, richiamando l'attenzione di un altro meraviglioso missionario che era il Lazzarista P. Vincent Labre (1877-1940) buon conoscitore della situazione socio-religiosa del celeste impero, per procedere al rinnovamento del clero autoctono. Il dialogo proseguì anche dopo che il Manna rientrò in Italia e, su richiesta del Delegato Apostolico e, su richiesta del Delegato Apostolico, inviò una lettera con proteste ardite e temerarie circa l'uso della lingua cinese nella liturgia, la riforma da apportare nel metodo della evangelizzazione, in fine sul curricolo formativo dei sacerdoti nei Paesi di missione. Alla fine l'intesa sulla necessità di eliminare ogni aspetto di occidentalismo e di trarre le conseguenze per la ritardata evangelizzazione da parte della Chiesa cattolica fu univoca. Dal segretario della Congregazione di Propaganda Fide Mons. Costantini si attivò per promuovere nei missionari il dovere dell'inculturazione e del rinnovamento della Chiesa nel 1953 fu elevato Cardinale e Cancelliere della Curia romana. In precedenza all'elevazione alla porpora cardinalizia egli suggerì, forse, al Papa Pio XXII° di indirizzare una lettera all'amico Padre Manna. Ecco le espressioni della lettera pubblicata il 6 dicembre 1941: "Fin da quando iniziasti la tua alacre attività per l'estensione del Regno di Dio in Birmania (oggi Myanmar n.d. r.), e poi attraverso molteplici vie con l'apostolato della parola e della penna (…) tu hai ben meritato della Chiesa contribuendo efficacemente a formare una più illuminata coscienza missionaria". Possiamo concludere che la reciproca emulazione tra due figure delineate le ha condotte a gareggiare per la santità.

    P. Alfredo Di Landa

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Tra cupe vette Rèbora scorse il Crocifisso

  Una delle liriche di Clemente Rèbora (1885-1957), il poeta meneghino che scalava le alte vette alpine, si intitola "Sgomento" e si trova nella raccolta antologica dei "Canti anonimi". La lirica ha come inizio i seguenti versi: "Sgomento, un giorno, fra nevi, a un passo / tra cupe vette sotto un cielo basso, / scorsi Cristo in immagine di rupe".

  Il poeta, benché formatosi nella casa paterna di Viale Venezia a Milano, preferiva essere denominato il "camoscio dal monte Bianco al monte Rosa". Iniziò a verseggiare alla maniera di Guido Gozzano e Giuseppe Ungaretti, ma di ritorno dal fronte di guerra nel conflitto mondiale cui partecipò l'Italia (1915-1918), mise in cantuccio i "Frammenti lirici" come sfoghi d'intensa giovinezza e si dedicò tra molti silenzi alla composizione dei canti che sfociarono, dopo essere ordinato sacerdote a quarantaquattro anni, in quelli dell'infermità.

  Nel giugno del 2016, durante il Convegno su "Clemente Rèbora un poeta sull'Alpe", il critico letterario Roberto Cicala (1) dell'Università cattolica di Milano svelava un segreto da cui era iniziato il suo svuotamento mondano e il ritrovamento della spiritualità.

  In una delle escursioni alpine il poeta si rifugiò in una piccola cappella (1700 metri sul mare) sopra Cortevecchio. Lì conversò con il vicario del santuarietto e si sentì profetizzare al termine del colloquio: "Si faccia frate!".

  Da quel momento il cammino letterario prese uno snodo imprevisto, favorito da due episodi per il ritrovamento del berretto perduto e per la visione di Cristo sul monte Devero sopra la valle di Formazza.

  Clemente Rèborta, rifiutata l'offerta di più cattedre istituzionali, salì sull'Atles immerso come era "nel labirinto dei giorni a venire", e là smarrì il cappello che ritrovò ai piedi di un Crocifisso. Ebbe un secondo avviso per decidere del suo avvenire, e questo consisté nella visione che ebbe prima sul monte Devero e poi sul monte Calvario a Domodossola con l'immaginazione di una Croce "come ristoro / delle mie (del poeta n.d.r.) e sue pene". Se il poeta avesse avuto modo di visitare il Santuario del SS. Crocifisso nelle viscere - meglio cappella del Cristo Crocifisso - della Montagna Spaccata di Gaeta, avrebbe trovato il segno più evidente dello sgomento della terra alla morte di Cristo.

1. Ved. Roberto Cicala, Rèbora. Le vette dello spirito, in "Avvenire" del 28 giugno 2016, p. 25.

    P. Alfredo Di Landa

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LA CHIESA DELLA TRINITA' DI GAETA

  Fa parte del Santuario che da essa prende il nome. Storicamente risale al tempo della costruzione del complesso monastico, architettonicamente presenta nella facciata elementi catalani, esteticamente conserva una povertà di linee consona all'austerità degli Ordini Religiosi che l'hanno officiata nonostante alcuni abbellimenti apportati di recente al pavimento e alle due arcate laterali del Sacro Cuore e del gruppo della Pietà. 

Documento d'archivio

  L'unico documento che attesta l'appartenenza e la presenza di un rettore per il servizio del culto è del 1325 (sec. XIV d. C.) In esso si dice che l'abate Docibile, in qualità di rettore della Chiesa concede in enfiteusi una terra "pertinente al monastero" a un tale Andrea di Rocco di Itri. Nota 1

  La singolarità dell'attestato consiste nel fatto che Fra Docibile, appartenente all'ordine Benedettino, ha l'ufficio di curare spiritualmente i fedeli che frequentano le funzioni sacre indipendentemente dalla comunità del monastero di cui si tratta nelle Tavole Cassinesi che iniziano dall'anno 1071 in poi. Inoltre non è specificato quale terra sia "pertinente a quel monastero", dal momento che la struttura monastica esiste da oltre 200 anni e si suppone che una comunità di monaci attende alla preghiera a al lavoro manuale secondo il motto "Ora et labora".

  Architettonicamente il conte Onorato Gaetani dà le dimensioni indispensabili: "La Chiesa del monastero, dove si accede sulla sinistra dell'atrio salendo dolcemente per pochi passi, (è) una chiesa di poco conto, lunga 20 m., ad una navata, con l'altare maggiore in fondo e con 4 cappelle laterali, 2 a destra e due a manca. Vi è il coro sulla porta d'ingresso e a un fianco dell'altare maggiore c'è la sagrestia che mena all'interno del monastero". Nota 2

  L'autore dice che è una "chiesa di poco conto" rispetto all'arte, fornisce i dati più notevoli e sottolinea che la porta nel presbiterio dà adito alla sacrestia dove termina l'autorità dell'incaricato al culto, ossia del rettore. 

  Notizie piuttosto frammentarie sulla Chiesa si trovano nel libro di P. Donato Vaglio. Nota 3

  Egli attesta che "al tempo della permanenza in Gaeta del Papa (Pio IX) avvenne la solenne consacrazione della chiesa della Trinità" ad opera del card. Gabriele Ferretti in data 2 settembre 1849. Premette l'A. che il 28 nov. 1849 il Pontefice in compagnia del re Ferdinando II e del seguito assistette alla Messa celebrata da Padre Guardiano del monastero. Aggiunge che fu "la prima chiesa di Gaeta che il Papa volle visitare", ma non fornisce elementi riguardanti la volta della chiesa, la pala d'altare nella cona del presbiterio, la presenza del sacro gruppo della Pietà e delle altre statue di Santi come suppellettile interna. Riporta unicamente la notizia che, dopo la soppressione degli istituti religiosi con la legge del 1866 e la riduzione del complesso monastico della Montagna Spaccata a bene demaniale, l'autorità civile di Gaeta voleva "la chiusura al culto (e) la dissacrazione della chiesa SS. Trinità". Ancora nota 3

  E' stato merito del giornalista e scrittore Gaetano Andrisani (1927-2010) averci descritto minutamente le caratteristiche della chiesa SS. Trinità "nella sua struttura attuale". Egli ricorda che furono gli Alcantarini a sistemare l'edificio sacro "sulle linee dell'architettura preesistente, adattata alle esigenze di semplicità, povertà e di misticismo, caratterizzanti il rigore dei Riformati napoletani seguaci s. S. Pietro d'Alcantara". Non contento di questa affermazione generale, l'A. esamina i dettagli della facciata esterna alla volta della copertura, dell'aula capiente i fedeli e pellegrini all'abside del presbiterio delle cappelle laterali, alle nicchie frontali che fanno da quinte al restringimento dell'abside stesso.

  La facciata si presenta "lineare nel suo sviluppo frontale, ma movimentata di lesene, di incavi sovrastanti, di archi e di finestre vere e finte terminanti con cornici a stucco. L'accesso all'entrata della chiesa è formata da alcuni gradini delle scale più accentuati da un lato e mano alti dall'altro che si adattano alla forma topografica della balconata affiancata all'estremità da una torretta campanaria e da una torretta con ruota di orologio. Una trabeazione centrale divide il finestrone della parte superiore dello stemma religioso posto sull'entrata in basso". Nota 4

  L'interno della chiesa ha la copertura a volta, distinta in settori a forma di botti e di vele sotto la lamia in muratura, ma che fa risaltare maggiormente i pilastri di sostegno e gli archi delle cappelle laterali intercomunicanti. L'abbellimento della pavimentazione in marmo venato bianco e la collocazione dei due altari sottostanti al gruppo della Pietà e del trono del Sacro cuore di Gesù rispetto agli altarini tufacei delle prime due cappelle sembrano piuttosto sfarzosi e non rispondenti all'estetica benedettina e francescana. L'altare maggiore sembra piuttosto represso nell'angusto spazio del presbiterio che è ristretto nei confronti dell'aula.

  Un'ultima annotazione va fatta per la suppellettile che decora la chiesa. Ci sono come al tempo degli Alcantarini, le statue di S. Antonio, S. Francesco e la Vergine Immacolata; sono state portate via le statue di S. Giuda Taddeo, San Pasquale e S. Teresa d'Avila custodite già in stipi a vetro all'interno della facciata. Il gruppo della pietà, che non figura con i Francescani Alcantarini è stato collocato nei primi anni del '900. Anche la statua del Sacro Cuore, con la relativa devozione alla pratica dei primi venerdì del mese, è stata introdotta con i Padri pallottini e continuata per l'attuale sistemazione dai Padri del Pontificio Istituto Missioni Estere.

NOTE

1. Ved. S. Ferraro, Memorie religiose e civili della Città di Gaeta, Napoli 1903, p. 271.

2. Ved. O. Gaetani d'Aragona, Monasteri benedettini cassinesi della Città di Gaeta detti della SS. Trinità, Milano 1878, p. 19.

3. Ved. D. Vaglio, La montagna Spaccata, Caramanica ed., Marina di Minturno (Lt) 2001, pp. 58-59.

4. G. Andrisani, Il Santuario della Montagna Spaccata, in "Gazzetta di Gaeta" XX (1992).

    P. Alfredo Di Landa

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IL CROCIFISSO TRA CIELO E MARE                             

  Il giornalista Giorgio Agnisola in un reportage per il giornale cattolico Avvenire descrive l'itinerario che si snoda tra il Garigliano e il Circeo in questi termini: "Sessantacinque chilometri di luce e mare, di rive basse e sabbiose alternate a falesie (dirupi), a piccole, solitarie insenature, un mare di spiagge famose da Serapo a Sperlonga (…). Venendo da Formia, elegante cittadina commerciale, il promontorio dell'antica Gaeta lo scopri subito, proteso al mare come una nave in procinto di salpare (…). Sul Monte Orlando è il santuario della SS. Trinità, presso la Montagna Spaccata (ved. in Avvenire del 9 marzo 2012, p. 27). L'inviato speciale accennava alla leggenda del turco, ma si asteneva dal descrivere la Cappella del Crocifisso.

  Recentemente, sfogliando lo stesso giornale, mi sono imbattuto a firma di Alfredo Tradigo sul pittore statunitense William Congdon (1912-1998), specialista nel ritrarre Cristo Crocifisso. Ho appreso che dal suo pennello sono state realizzate 180 tavole sullo stesso soggetto. La notizia che mi ha colpito di più è che "Gongdon, essenzialmente pittore di paesaggio (dopo gli anni '80) iniziò a trasformare il Crocifisso in paesaggio" (A. Tradigo, Congdon un artista nel segno della Croce, in Avvenire 21-02-215, p. 20). Non riuscivo a capire il senso. Poi dal dipinto indicato n. 46 ho compreso la trasformazione: Cristo crocifisso e la Croce si identificano formando un T (nella dimensione verticale e nella linea diagonale) ed essa divide in campiture lo spazio circostante. Mi è venuto spontaneo a questo punto paragonare la raffigurazione dell'artista con la realtà delle tre fenditure che circondano la appella del Crocifisso di Gaeta. L'analogia è risultata perfetta. Il pittore di Gesù crocifisso nelle tavole dipinte dopo gli anni Ottonta fa brillare la luce dietro il Crocifisso tra collina e cielo in modo che la croce diventi solco e strada in direzione dei campi della Bassa Milanese; a Gaeta, invece, realmente attraverso le fenditure della roccia la luce piove da una striscia di cielo che sovrasta la piccola cupola della cappellina ed entra lateralmente dalla due finestre sporgenti sul mare, inondando il grande Crocifisso centrale sopra l'altare.

  Non avevano intuito, forse, il prodigioso fenomeno, l'agostiniano Fra Giorgio Salamone (sec. XVI) e don Agostino Lambugnano? Il primo nel suo poemetto sacro consiglia al visitatore di approfondire il significato di ciò che vede intorno a sé perché "le tre fenditure costituiscono tre segni di un unico prodigio" (ded. nel volume di p. Vaglio, appendice a p. 153) quale fu la spaccatura della roccia per la morte di Cristo; il secondo nell'epigramma latino in otto distici è ancora più esplicito nel dire che la Cappella del Crocifisso "si apre la strada per contemplare il campo sacro di Gerusalemme" (Hosce per anfractus Solimae ad sacra Tria vicenda / luminibus Montis sternitur via).

  Con ragione il saggista e scrittore Gaetano Andrisani (1927-2010) ha potuto affermare che la Cappella del Crocifisso costituisce il punto più suggestivo (della Montagna Spaccata) non solo perché è la meta principale di tanti pellegrinaggi, ma perché è il luogo dove si fondono le meraviglie della natura e l'urgenza interiore della preghiera: là il Cristo crocifisso nell'orizzonte che delinea la fenditura tra mare e cielo fa da richiamo a tutti i pellegrini.

    P. Alfredo Di Landa

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LE EDICOLE DELLA VIA CRUCIS                             

  Il lungo corridoio che parte dall'ingresso sulla fiancata della Chiesa della Trinità e giunge fino alla facciata della cappella quadrangolare, detta comunemente di san Filippo, sembra un sequenziario iconologico.

La porta d'ingresso

  Sulla porta d'ingresso è scolpita nel marmo l'icona dell'Annunciazione tra due bassorilievi e la scritta: Di qua si va al monte aperto nella morte di Cristo con l'indicazione dell'anno 1480.

Itinerario delle stazioni

  Dopo l'angusta porta appare il corridoio, fiancheggiato sul lato sinistro delle mura del fabbricato monastico e sul lato destro da una parete inizialmente coperta ma che a partire dalla terza edicola sacra supera di poco la cornice triangolare del singolo riquadro appena sorgente sotto il cielo aperto. Il basamento è formato da levigate firmette di pietra silicea e per un tratto diviso da una barra orizzontale che fa da passamano per l'afflusso dei gruppi di pellegrini.

  Su entrambi i lati si allineano le edicole maiolicate che rievocano il percorso di Cristo dal pretorio di Pilato al Calvario, dove fu crocifisso. In tutto sono quattordici, rettangolari nella parte inferiore, chiuse in alto da una cornice semicircolare. Ogni riquadro presenta 24 mattonelle lavorate in maiolica colorata; di esse 18 sono disposte a quadrato, mentre 6 appaiono tagliate perché hanno la funzione di cornice.

  Nello spazio sottostante campeggia a lettere maiuscole il tema della stazione e su doppia colonna sono disposte le strofe in versi del poeta Pietro Trapassi, meglio conosciuto con il cognome patronimico Metastasio (1698-1784) ricevuto dall'erudito grecista Gian Vincenzo Gravina.

  Il percorso inizia dalla prima edicola sulla destra e prosegue fino alla facciata della cappella quadrangolare.

  Su di essa si nota il grande riquadro rettangolare, sempre formato da maioliche colorate, con la raffigurazione di tutte le stazioni della Via Dolorosa nel riquadro della cornice. Nella fascia orizzontale tre riquadri da sinistra a destra: Gesù in agonia, al centro l'Ultima cena, sulla destra S. Pietro d'Alcantara con la Croce e al suo fianco un religioso Alcantarino. Nella parte più bassa, su maioliche bianche si legge la scritta centrale PASSIONE DI N. S. G. C. e lateralmente il mistero doloro di ciascuna stazione.

Sfregi su alcune maioliche

  Si sa che sentimenti di dolore compassionevole hanno accompagnato da sempre i pellegrini (o visitatori) de fronte ai misteri della passione. Talora per la religiosità popolare ha dato luogo a gesti di rabbia, specialmente considerando la quarta, la nona, l'undicesima scena del Golgota. Per riparare i danni arrecati alle maioliche di quella edicola si è dovuto far ricorso ad altri artisti diversi da Raimondo Bruno che eseguì quelle formelle tra il 1848-1849 su commissione dei Frati alcantarini. E' auspicabile che i visitatori siano più rispettosi del luogo sacro, non deteriorino le pareti tra le quali si aggirano e non imbrattino la roccia prodigiosamente resistente ad arnesi di ferro.

La Via Crucis più memorabile

  La Via Crucis più famosa eseguita lungo il corridoio del Santuario fu nel 1946, in occasione della missione popolare voluta dall'arcivescovo Dionigi Casaroli. In conseguenza delle connonate delle truppe tedesche in ritirata verso l'Italia del nord, la città di Gaeta subì la distruzione di molte case senza risparmio delle chiese. La parrocchia di B. Biagio fu distrutta, ridotta a macerie. La richiesta del parroco don Salvatore Cicerone, dietro il vivo desiderio dell'Ordinario, i Padri del PIME attesero alla predicazione degli esercizi spirituali dal 29 marzo al 7 aprile presso l'istituto dell'Annunziata. Il venerdì pomeriggio ci fu il pio esercizio della Via Crucis al Santuario, al termine fu portato fu portato in processione il gruppo della Pietà sistemato su un camion prestato dalla Tipografia militare, sostando per tutto il tempo della missione nel locali dell'Annunziata. Al momento del ritorno fu il comandante della R. Marina a concedere l'uso di un "colossale camion" per salire al Santuario.

  Dalla corrispondenza inviata da rettore della Montagna Spaccata al Superiore provinciale P. Paolo Manna apprendiamo i particolari del tragitto: "Si riesce a stento ad aprire un varco tra la folla di popolo e sistemare il gruppo statuario su un tavolo al centro della strada. Alcuni cittadini riescono a metterlo sul camion dove verticalmente c'erano i due tavoli usati come palco della predicazione. Il gruppo della Pietà a quell'altezza sembrava che rinnovasse la scena del calvario." (La notizia è stata ricavata dalla cartella contenente il fascicolo della cronaca gaetana 1945-47 e che si custodiva nell'archivio della Regione meridionale del PIME).

    P. Alfredo Di Landa

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SULLO SPACCO DEL MASSO MIRACOLATO                             

  Quando nel 1939 il poeta Montale (1896-1981) compose un carme in ricordo di Pico Farnese, rimase ammirato per le collane di nocciole pendenti dalle preti squarciate della sacra Montagna di Gaeta e si arrestò di fronte alle "preci che porta in basso". Diversamente il visitatore che dal mare guarda il santuario del Crocifisso resta stupito di fronte a "la roccia rossobruna percorsa in tutta la sua lunghezza da tre profonde fenditure", come scrisse l'autore delle Memorie religiose e civili della Città di Gaeta. Non solo poeti e storici hanno coperto l'assordante rumore del mare per dare adito alle immagini della penna; anche gli araldi del Vangelo hanno guardato quel mare inseguendo le vele gonfie del vento nel percorso diretto all'approdo.

  Uno dei primi Missionari del PIME meridionale incantato di fronte allo spettacolo della Montagna Spaccata di Gaeta fu Pietro Manghisi (1899-1953) nell'attesa di varcare i mari e raggiungere la Birmania (oggi Myanmar) per amore del Crocifisso. Studente di teologia nel Seminario regionale di Molfetta (Ba), avendo letto sul giornale Propaganda Missionaria che p. Paolo Manna per volontà di Papa benedetto XV° aveva aperto a Ducenta (Ce) un istituto per le missioni estere che bisognava dotare dell'occorrente, inviò l'offerta di lire cinque. Ricevette una cartolina di ringraziamento con la frase: "Grato per l'offerta, ma più che gradita la tua persona! Padre Manna".

  Queste parole ebbero l'effetto di un colpo di fulmine. Il giovane avvertì di essere chiamato alle missioni perché, passeggiando qualche tempo prima sul molo di Molfetta, aveva visto navigare una nave ed aveva esclamato: "Chissà dove arriverà quella nave! Forse tra la povera gente che non conosce ancora il vero Dio!". Lasciò i genitori, chiese di essere accolto nell'Istituto delle Missioni Estere di Milano e completare gli studi di teologia. Nel 1923-24 fu chiamato a Ducenta come istitutore dei ragazzi che da quell'anno passavano le vacanze alla Montagna Spaccata. Dovette seguire le camerate a Gaeta prima di essere ordinato prete nel 1925 e partire per la missione birmana di Kengtung realizzando il suo sogno. Là moriva martire il 15 febbraio 1953. Chissà quante volte durante i giorni trascorsi sullo Scoglio del Cardinale seguì con lo sguardo le navi che salpavano il Tirreno dirette verso lidi lontani!

  Anch'io ai primi di settembre 1939, undicenne apostolino stavo con i compagni sulla spiaggetta riservata ai missionari. Verso mezzogiorno si sente un boato, cassette di zinco volavano dappertutto, bagliori d'incendio avvolsero il Monte Orlando, scoppi sinistri diventavano più paurosi. Era saltata la polveriera "Carolina". Ci fu l'ordine di abbandonare i locali del Santuario. L'indomani si dovette tornare a Ducenta, con rammarico.

    P. Alfredo Di Landa

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LA PIETÀ POPOLARE ALLA MONTAGNA SPACCATA                             

  Il teologo E. Pelvi ha scritto che "la pietà popolare fa intuire e godere una vita umana da rendere la terra più vicina al cielo più dentro la terra". Presso il Santuario della ss. Trinità alla Montagna Spaccata e la cappella del Crocifisso, che sono entrambi sul lembo estremo del promontorio gaetano sospeso sul mar Tirreno, il cielo e la terra si congiungono in un abbraccio bimillenario. Il popolo, nella sua pietà spontanea, non concettualizza la fede ma la percepisce e intuisce dinanzi al sacro. In tal modo si spiega l l'accorrere in pellegrinaggio, il camminare cantando, procedere stringendo tra le mani stendardi e fasce variopinte.

  E' uno spettacolo, specialmente in Quaresima, vedere gruppi di devoti diretti verso il santuarietto del Crocifisso, facendo il pio esercizio della Via Crucis. Non soltanto il popolo, però, attende a recitare o cantare le tradizionali strofe dinanzi ai pannelli maiolicati dell'itinerario al Calvario compiuto da Cristo. Anche i Pontefici hanno praticato nel tempo, secondo la tradizione popolare, questo rito devozionale. In modo particolare lo ha fatto il Papa Giovanni M. Mastai Ferretti, (Pio IX), durante il suo esilio a Gaeta negli anni 1848 - 49. Di lui è stato tramandato che leggeva molto, ma scriveva poco. Si, il beato Pio IX leggeva le biografie dei martiri perché nella loro vita considerava la sua vita (cfr. A.Zema in "L'Osservatore Romano" del 5 febbraio 1994). Scrisse, tuttavia, sfatando l'opinione contraria, opere di intonazione apologetica e pubblicò documenti relativi a discipline amministrative più conformi alla sua propensione per le scienze concrete. Durante i mesi trascorsi a Gaeta, pur non tralasciando le sue passeggiate alla Madonna della Catena, promulgò tre encicliche (In suprema Petri sede, Quibus quantisque, Nostris et nobiscum), due Motu propri diretti ai sudditi dello Stato Pontificio con riferimento riformatore del Consiglio di Stato e della Consulta per le finanze, altrettanti Proclami del 17 dic. 1848 e del I gennaio 1849.

  Brevemente si elencano i contenuti delle encicliche. La prima, con la testata: Sulla cattedra di s. Pietro, era diretta ai Cristiani dell'Oriente ed esortava gli Ortodossi a riunirsi con la Chiesa di Roma per l'Oikoumène, anticipando il movimento ecumenico. La seconda col titolo: "Quelli delle società segrete", ossia i liberali, liberi pensatori iscritti alla Carboneria, erano additati da Pio IX come falsi cristiani perché operavano senza moderazione favorendo non il giusto mezzo cristiano, ma quello diabolico di moda. La terza con le parole iniziali: "Ai nostri sudditi fedeli a noi" scritta verso la fine del 1849, li esortava a vedere prossimo il ritorno del Pontefice dalle località d'esilio- Ho lasciato per ultima la lettera enciclica "Ubi primum" (2 febbraio 1849) in cui Papa Mastai si rivolgeva ai vescovi del mondo per conoscere se era opportuno definire come dogma l'Immacolato Concepimento di Maria. Ma della devozione di Pio IX verso la Madonna, particolarmente alla Vergine Addolorata, è consigliabile trattare a parte. Prossimamente.

    P. Alfredo Di Landa

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PESCATORI DI UOMINI AL LARGO DEL CROCIFISSO IN GAETA       

  E' sorprendente il passo del vangelo dove Marco narra la chiamata dei primi apostoli. Gesù stava passando lungo il mare della Galilea e, vedendo Simon Pietro e Andrea, gettare le reti disse: "Seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini". Più avanti vide Giacomo e Giovanni che riassettavano le reti, e disse la stessa cosa. Quelli, lasciato il loro padre Zebedeo sulla barca con gli aiutanti, lo seguirono. (Mc.1, 16-20).

  In questo anno centenario del servizio religioso che i missionari del PIME continuano a prestare nel santuario della Montagna Spaccata a Gaeta, riserviamo ai devoti del ss. Crocifisso la sorpresa di riecheggiare la chiamata di Gesù ai continuatori degli apostoli come a una pesca miracolosa di santità. Iniziamo con un accenno epistolare scritto dall'aiutante chierico, assistente di camerata degli aspiranti missionari in vacanza alla Montagna Spaccata nel 1932. Il prefetto Cesare Mencattini (1910-1941), in quell'anno studente di teologia e poi ucciso in Cina perché sacerdote cattolico, scriveva ai familiari: "A Gaeta, su uno scoglio del mare, abbiamo la nostra bella villa: di essa dò un po' di notizie, perché è un luogo incantevole (...) sulla famosa Montagna Spaccata che si divise in due alla morte di Cristo". (cfr. Una vita per la Cina (a c. di A. Lazzarotto, EMI Bologna 2011, lett.18; pp.66-67).

  E' lunga la lista dei pescatori apostolici canonizzati o beatificati iniziando da s. Bernardino da Siena (1380-1444), del quale lo storico Luca Wadding OFM ricorda che le tracce sono visibili nel monogramma inciso sulle pareti aperte della montagna. Nel secolo XVI san Filippo Neri (1515-1595) più volte raggiunse il santuario del ss. Crocifisso mentre dimorava presso lo zio a Cassino (nel Medioevo si chiamava San Germano), per meditare sulla passione di Gesù. Durante il secolo XVIII, verso il 1741, sia san Leonardo di Porto Maurizio che s. Paolo della Croce (1649-1775), da buoni pescatori nelle missioni al popolo, supplicarono il grande Crocifisso che si ripetesse la pesca miracolosa tra i peccatori. S. Alfonso Maria de' Liguori si ispirò ai sentimenti suscitatigli nelle visite alla Montagna Spaccata, scrivendo "Considerazioni ed affetti sopra la passione di Gesù Cristo" nell'anno 1761.

  Esiliato a Gaeta, il beato Pio IX (1792-1878) si recò spesso, tra il 1848-49, al santuario a celebrare Messa nella cappellina dedicatagli, ma scendendo anche nella cappella del SS.Crocifisso il venerdì santo del 6 aprile 1849 per baciare la reliquia della santa Croce.

  Tra i Beati appartenenti al PIME sono da ricordare Paolo Manna, Mario Vergara, Clemente Vismara. Il P. Manna (1872-1952) non solo accettò da Superiore Generale (1924-1934) la casa di Gaeta con l'unione del seminario dei Ss. Apostoli Pietro e Paolo di Roma al Seminario Lombardo per le Missioni Estere col nome di PIME, ma in seguito visitò il santuario "per rendersi conto dei danni subiti per la guerra" a causa dei cannoneggiamenti tedeschi e per verificare il possibile utilizzo del santuario dopo i dovuti restauri, come è registrato nella cronaca del 22 ottobre 1947 nella soppressa rivista "Venga il tuo Regno" (III gruppo, n° 12, pag.174). Il beato Mario Vergara (1910-1950), dichiarato da Papa Francesco Martire nel Myanmar, il 6 agosto 1933, chiedeva al vicario generale dell'Istituto che desiderava trascorrere un po' di giorni a Gaeta "per rinfrancarsi di spirito e di corpo", prima di raggiungere S. Ilario per il noviziato. Si trattenne al santuario della Trinità nella seconda metà del mese, finché partì per Genova, S. Ilario il giorno 31. Il Beato Clemente Vismara (1897-1988) durante l'unico rimpatrio in Italia, dalla missione di Kengtung, nell'agosto del 1957 si recò a visitare il santuario del Crocifisso e scese anche a mare per gareggiare con gli apostolini nei tuffi,. Ma poco mancò che non finisse in ospedale perché batté con il capo sul fondo sabbioso. (Vedi il Vincolo, XXIX 1958 n. 66, p.41).

    P. Alfredo Di Landa

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USI, CANTI E COSTUMI IN VISITA ALLA TRINITÀ DI GAETA       

   L'artista e scrittore di Piedimonte del Massico Nicola Borrelli (1878-1952), è stato uno dei ppiù benemeriti cultori delle tradizioni popolari. Nel suo libro sui costumi , usi e canti della gente vescina abitante entro i confini del Lazio aggiunto e della Piana del Garigliano 1 , ricorda quali erano le vesti indossate e le canzoncine che eseguivano recandosi al Santuario della Trinità o a quello della Madonna della Civita di Itri. Le donne, durante il pellegrinaggio, indossavano un abito lungo pieghettato o rigonfio sorretto da un grembiule riccamente ornato e un copricapo di varie specie terminante in una fascia inamidata con una cannacca 2 o collana lunga e adorna di monili e la "scolla", cioè il "foulard" in forma di sciarpa che si poneva a croce sul petto. Di qui, forse, deriva il termine di "pacchiane" per indicare le popolane infagottate in tale abbigliamento. Gli uomini non si vestivano in modo particolare, ma si mescolavano con le pellegrine oppure si recavano da sole in pellegrinaggio ora a San Gerardo Pellegrino nel Frusinate, ora alla Madonna della Civita, ora al santuario della Montagna spaccata di Gaeta, come attestato dal poeta dialettale Cristofaro Sparagna ( 1905-1983). Egli non solo descrisse il cielo nuvoloso di Minturno, racchiuso dalla cerchia del monte Redentore 3 , ma anche l'usanza dei suoi compaesani nel recarsi ai vari Santuari 4.

  Le scene dei pellegrini diretti a qualche santuario sono descritte dal Borrelli in modo poetico. Sinteticamente eccone una descrizione: "Uomini e donne, gli uni scalzi, i calzoni rimboccati, la camicia aperta sul petto villoso; le altre, il viso imbacuccato in grandi fazzoletti, vanno in ordine, a brevissimi passi, accompagnando con il canto di circostanza. Una prima voce, a turno, fa da guida--- (e) il coro ripeterà" . Tra i canti popolari più conosciuti riecheggiavano quelli penitenziali, quelli litanici e di scongiuro. Ad esempio, dopo l'invocazione alla Croce, la massa di gente ripeteva: "Evviva la Croce, la Croce evviva, evviva la Croce e chi la creò". Oppure, come dolce nenia: "Seta muleta, jamme a Gaeta! Che jamme a fa?/ Jamme a truvà chelle brave figlie/ che lavorano la seta./ LA seta e la bambagia/ sta ninna ce piace/non sule a me/ma pure a tte". Infine qualche canto devozionale : "Palummella bianca bianca/ Che ce puorte nta ssa lampa?/ce puorte l'uoglio santo/ pe battià lu Spiritu Santo./ Lu Spiritu Santo sta battiato/tuttu lu munnu sta alluminato;/ sta alluminata la Matalena/ ave Maria gratia plena".

  Secondo gli usi locali si tramandano le diverse leggende: per le popolazioni del Garigliano, nella domenica delle Palme c'era l'uso di consegnare il rametto d'ulivo con le parole:"Tècchete la palma e facimme pace/ sono li turchi e pure fanno pace." Al solo nominare i Turchi la gente ausonica richiama la leggenda misterica dell'affronto di Gesù risorto con la Maddalena e quella delle lacrime della Madonna. Trascrivo ciò che ha scritto il Borrelli: "La scena dell'affronto è rappresentata con pompa a Gaeta durante la processione della domenica dopo Pasqua- Alla processione prendono parte 2 statue: San Giovanni Evangelista e la Maddalena che fanno da esploratori per riconoscere se veramente sia Gesù Risorto "quegli che s'avanza", e ne recano l'annunzio alla Vergine, che viene dalla strada opposta coperta da un gran manto di velo. Allorché si è giunti a pochi metri di distanza, il velo nero è tirato ed essa comparisce vestita di bianco. L'altra leggenda riguarda il Turco della Montagna Spaccata, il cui pugno sulla roccia lasciava l'impronta, come in un secchiello da cui filtra sempre una stilla d'acqua… cioè le lacrime della Madonna. E l'autore conclude: "La mano del Turco e il secchietto della Madonna sono i petroglifi (intagli di roccia) che i religiosi del Santuario della Trinità additano ai visitatori della Montagna Spaccata" (pp.25; 65).

1 N.BORRELLI, Tradizioni aurunche, (a c. di Gaetano Tamborrino Orsini), copia anastatica, Perugia 1984, p.193.

2 Il vocabolo, etimologicamente, deriva da "canna" ossia gola. In N.Borrelli, o.c. p.82, n. 33.

3 SPARAGNA C., Canti di Minturno, ed. C.A.M., Na 1959, p.24: "Si era male tiempo, se vedevano gli cavalluni bianche che se jettavano 'ncoppa a la spiaggia e gli munti dello Redentoreerano tutti celesti co' 'na corona de nuvole careche d'acqua…".

4 Idem, p.68: "Cumpare che vai a la Madonna"; p.90: "Pellegrino, guarda glio Redentore e le colline, che camminano là fino a Gaeta"; p.94: vedi la lirica dal titolo: "Notte".

    P. Alfredo Di Landa

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LA MONTAGNA SPACCATA DI GAETA IN DANTE       

  Ricorre quest'anno 2015 d.C. il 750° anniversario della nascita del sommo poeta italiano Dante Alighieri, nato nel 1265 e morto nel 132. Il Papa Benedetto XV rese omaggio alla figura di Dante nel 1921, sedicesimo centenario della morte con l'Enciclica "In praeclara summorum copia hominum" (Nella illustre schiera dei più celebri uomini). In quel documento il Pontefice fece risaltare che i valori religiosi spingono i geni dell'umanità, come l'Alighieri, a cercare la Verità e contemplarne l'essenza insita nella coscienza di ciascuno.

  Dante, perciò, contemplando con tutta la sua anima di credente la grandezza e la bellezza e lo splendore del Veltro (Vangelo eterno) ne ha testimoniato nella Divina Commedia "Sapienza, amore e virtute" (Inf. Canto I, verso 104). L'attore Roberto Benigni con le sue letture dantesche, riuscì, qualche tempo fa, a rendere attuale lo spirito del poema sacro prendendo lo spunto dello smarrimento di Dante nella "selva oscura" degli anni giovanili, alla ricerca "nel mezzo del cammin di nostra vita" di recuperare il bene supremo, cioè Dio. Tutti sappiamo che è difficile tendere alla salvezza eterna se non si parte dall'abisso per salire gradatamente verso i misteri della redenzione e varcare cantando i cieli fino a dove risplende "la gloria di colui che tutto muove" (Par. Canto I, verso 1).

  Ora il divino poeta ci invita a seguirlo, lasciando per il momento da parte Virgilio la cui guida non poggia sul sostrato biblico e ignora che Dio aiuta a fuggire ogni male. Fin dal primo canto, Dante fa dire a Virgilio che non l'accompagnerà per la città di Dio, perché "fu ribellante alla sua legge". Ricalca però che "quell'imperator che lassù regna… in tutte parti impera (C.1,VV124;1127), anche nel luogo più basso e più oscuro e il più lontan dal ciel che tutto gira (Inf.c.IX,vv.28-29). E quando Dante è sceso nel cerchio dei violenti, sente Virgilio che dice: "L'altra fiata/ ch'io discesi quaggiù, nel basso inferno,/ questa roccia non era ancor cascata" (Inf.XII,vv 34-36).

  Non più per bocca dell'accompagnatore, ma da uno dei dannati di Malebolge conosce il motivo che gli impedisce di continuare la discesa: "Più oltre andar per questo iscoglio però che giace/ tutto spezzato al fondo l'arco sesto/… Ier, più oltre cinqu'ore che questa otta/ Mille dugento con sessanta sei/ anni compié, che qui la via fu rotta". (Inf. C.XXI,vv.112-114). 

  L'arco sesto di cui parla Dante non è un'allusione all'arco timpano della Montagna spaccata? È mia opinione che il poeta fiorentino fosse a conoscenza della pia tradizione cristiana che la triplice apertura fosse avvenuta per il terremoto causato alla morte di Gesù. Trovo conferma di tale opinione nel manoscritto del rettore del santuario don Domenico Porrazzo. Egli scrive "che la roccia sia stata un tempo tutt'uno, basta vederla. La sezione verticale dell'apertura , oltre all'identità dei caratteri fisici e geologici in ciascuna delle parti distaccate, mostra pure che tutti i punti sporgenti o rientranti hanno corrispondenza nell'altra parte. (…) La sollevazione degli strati attualmente per la loro poco inclinazione col piano dell'orizzonte, più che effetto di rapidi e bruschi movimenti tellurici, deve ritenersi effetto di pressioni laterali della crosta terrestre. A produrre la spaccatura della roccia è da accettare la costante e pia tradizione che l'attribuisce al terremoto avvenuto nella morte di N.S.Gesù Cristo" (Vedi D.Porrazzo, manoscritto, p.12).

  Ecco perché Dante cita i 1265 e un anno, per la rottura anche del sesto arco dell'Inferno. Il Beato Pontefice Paolo VI ricordando nel 1966 il 16° centenario della nascita dell'Alighieri: "Poeta dei teologi e teologo dei poeti, signore dell'altissimo canto, poiché teologo della memoria sublime, vero mistagogo nel santuario dell'arte. Ed egli stesso per rinnovare in sé il mistero dell'Incarnazione e della Redenzione si faceva leggere ogni giorno dal suo segretario particolare un canto della Divina Commedia. Pensiamo che questa ricorrenza del 750° anno della nascita di colui che si riconobbe "florentinus natione, non morbus" ma cristiano perché battezzato nel suo "bel San Giovanni", abbia una incisiva significazione per confermare la tradizione che la Montagna Spaccata è opera del Signore Crocifisso, morto e risorto per salvare l'uomo.

    P. Alfredo Di Landa

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Il vescovo emerito di Cerreto Sannita ricordato alla Montagna Spaccata       

  I debiti di riconoscenza vanno saldati anche a distanza di molti decenni. S. Ecc. Felice Leonardo, consacrato vescovo dal Pontefice Pio XII dopo l'Anno Santo 1950, divenne Ordinario di Cerreto Sannita-Telese nel 1957. Era stato membro dell'Unione Missionaria del Clero già con il suo predecessore Mons. Salvatore Del Bene, grande benefattore del Seminario Missionario di Ducenta, e lo rappresentò ai funerali del Beato P. Paolo Manna il 16 settembre 1952. Quando lo sostituì nella sede di Cerreto accolse con benevolenza gli aspiranti alle Missioni nel periodo estivo mettendo a loro disposizione gli ambienti del Seminario diocesano e il campo sportivo "Luigi Sodo", dove i ragazzi potevano disputare il torneo di pallone.

  Favorì le vocazioni giovanili accettando di tenere a battesimo il primo Gruppo Missionario dei Giovani, consentì che mons. Antonio Barbieri organizzasse turni di colonia estiva presso il Santuario della Trinità. Con il suo Vicario generale D. Francesco Tommasiello, che poi fu nominato vescovo della Diocesi di Teano, istituì dei punti di ascolto in Cerreto e nei paesi vicini, per partecipare agli "Incontri Quaresimali" chiamandovi i missionari da Ducenta (Ce).

  Padre Conciliare durante il Vaticano II (1962-65) non disertò alcuna seduta, ma al termine del Concilio ecumenico fu delegato al Lavoro per la Conferenza Episcopale Campana (C.E.C.) presso le Associazioni dei lavoratori cristiani e a tutela della compagine familiare formò i consultori di Famiglia, addossandosi anche la responsabilità di Presidente dell' I.S. R. per la formazione filosofico-teologica degli Operatori pastorali.

  Nativo di Pietramelara, in diocesi di Teano-Calvi, fu collaboratore di Mons. Matteo Sperandeo e poi al servizio della Chiesa con sette Sommi Pontefici fino a Papa Francesco. Nel marzo 2015 aveva raggiunto il secolo di vita (1915-2015), sentendo che si avvicinava il ritorno alla Casa del Padre, la sera di Domenica 12 aprile giorno anniversario della Divina Misericordia, si è spento dolcemente tra i sacerdoti don Giado e don Mimì Monda con i quali ha trascorso gli ultimi tempi a Roccamonfina ai piedi della Madonna dei Lattani.

    P. Alfredo Di Landa

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L'OBOLO DI SAN PIETRO HA ORIGINE A GAETA       

  Ogni comunità parrocchiale, ogni Ente ecclesiale fa pervenire annualmente un contributo pecuniario al Santo Padre perché disponga secondo il suo cuore a favore dei bisognosi che ricorrono a lui. Ordinariamente tale offerta si invia al Papa per la solennità liturgica dei Santi Pietro e Paolo.

Sorgono spontanee due domande:

 Quando iniziò tale consuetudine? Donde pervenne il primo contributo?

La bella pratica cominciò nel 1848, quando il Papa Pio IX, dopo l'uccisione del segretario Pellegrino Rossi, dovette abbandonare Roma e rifugiarsi a Gaeta. Durante il tempo dell'esilio Papa Mastai Ferretti si trovò in ristrettezze economiche. Fu allora che don Bosco, del quale si sta celebrando il 2° centenario della nascita, per gratitudine verso il Santo Padre che era un sostenitore dell'Oratorio per l'educazione dei ragazzi, ebbe l'intuizione di fare una colletta fra i ragazzi per inviare il ricavato al Pontefice.

La colletta fruttò 33 (trentatré) lire. Il Santo inviò quella piccola somma a Pio IX con una letterina a nome degli offerenti, come "Obolo di San Pietro". Il Papa, ricevendo l'offerta modesta in sé ma utile nel suo esilio a Gaeta, ricompensò il gesto dei ragazzi di don Bosco mandando tramite il Nunzio apostolico a Torino, il Cardinale Antonucci, un pacchetto con 730 corone del rosario. L'episodio è narrato nelle Memorie autobiografiche del Santo Fondatore dei Salesiani, edite a cura di Teresio Bosco per le Elle Di Ci, 1995, p. 180.

E' veramente provvidenziale che in questo 2015 coincidano il quinto centenario della nascita di Sa Filippo Neri, che si preparò all'apostolato dei giovani trascorrendo ore di preghiere nel Santuario della Montagna Spaccata, e il secondo centenario del Santo educatore dei ragazzi, Giovanni Bosco, che da Gaeta fece iniziare la consuetudine dell'Obolo di San Pietro. 

I Padri del Santuario accoglieranno con gioia i pellegrini che intendono onorare i due Santi.

    P. Alfredo Di Landa

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Nel Mistero della Croce       

  Nella recente ristampa del libro1 guida per la visita alla Montagna Spaccata di Gaeta, il rettore della SS. Trinità ha riportato in appendice la laude di Iacopone da Todi (1230-1306) intitolata il "Pianto della Madre". A distanza di secoli, ma non con minore intensità poetica, Don Domenico Tambolleo ha espresso "il senso religioso della vita" nella lirica dedicata alla Madre di Gesù nel mistero della Croce.

Riportiamo il testo:

Egli Gesù ora dormiva il suo sonno alfine, nel cuore della terra, poi che l'avea colto la notte e pesava il mondo su lui. E già era il sole caduto sulla giornata ferale. S'ergea, cruento trofeo, della giornata ferale, nel puro vespro la Croce. Risté la Madre, al vederla sul suo cammino, e si strinse, per la pena tutta a Giovanni.2

  Non si ferma il poeta a contemplare Maria stretta all'apostolo Giovanni perché nel mistero della Croce doveva abbracciare altri fratelli. Ecco riprende il tema:

Restava ella, la Madre: l'adombrava il Paracleto, come il Santuario e nel divino alon la comprendea tutto il mistero del Risuscitato. E i fratelli sentian che li abbracciava Ella, pel sacramento del Calvario, come eredi di lui, e li avvincea nella memoria del Maestro amato.3

  Il critico letterario Carlo Villani commenta, a proposito di tale lirica inclusa nella raccolta "Le Agapi", che tutta l'opera è pervasa da singolare bellezza (perché) il senso religioso della vita la illumina.4

NOTE

1 D. Vaglio, La Montagna Spaccata e il suo Santuario tra storia e leggenda, Caramanica editore, Ristampa 10ma ed., Marina di Minturno (Lt) 2013, p. 173.

2 D. Tambolleo, Le Agapi - L'Evangelo: quid sunt plagae istae (il cadavere santo/dischiodato dalla Croce/nell'alba sindone stette/rigido, in faccia alla Madre:/mentre il vespero incombeva/sul Golgotha,…) Ved., p. 44-48.

3 D. Tambolleo, Adonai, Cum Maria Matre Iesu, Atti d. Ap. 1,14, cit. p. 135. 

4 Ved. C. Villani, in "Convivium": Le Agapi (è) un'opera di singolare bellezza, anche se sfuggita alla critica investigatrice per l'isolamento provinciale. Il poema, diviso nelle sue cinque parti, illumina il senso religioso della vita anche dopo gli strazi della Passione e la desolazione della morte. "La poesia di Tamballeo supera tutta la nostra poesia religiosa per spontaneità di sentimento", a.c., p. 844.

    P. Alfredo Di Landa

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La Pietà della Montagna Spaccata di Gaeta       

  Il gruppo della Pietà con Gesù deposto dalla Croce e adagiato sulle ginocchia della Madre desolata è stato scultoreamente rappresentato dagli artisti. Basti pensare al genio di Michelangelo in San Pietro e al modello marmoreo di Giovanni Dupré a Siena. Non solo scultori e pittori, ma anche i poeti si sono ispirati dinanzi alla Madre dolorosa e al cruento trofeo del Crocifisso. Don Domenico Tambolleo (1884-1962), sacerdote del clero diocesano di Gaeta, poco conosciuto come Missionario in Argentina da "Volontario dell'Evangelo" e come poeta1, nei suoi libri di poesie ha trattato del Crocifisso della Desolata. Nella raccolta poetica intitolata Adonai intorno al 1930 incluse due sonetti per parafrasare il passo giovanneo (c. 19,26) e il racconto degli Atti lucani (c. 1,14).

  Il poeta Tamballeo, col titolo Mulier, cioè Donna, compose il seguente sonetto:

E nel tormento allor della mortale fiamma che gli stringeva il capo stanco, (Gesù morente) dalla Croce come attraverso una nube di sangue scorse sua Madre a' piedi della croce: (Nuovo) Adamo affisso all'albero fatale Eva scorse la' immobile al suo fianco: e l'antica sentì ira dell'angue (voce latina, serpente) ed il furor del suo morso feroce: e attraverso a Lei la turba dei viventi, i morti; al sacrificio convenuta: il popolo del suo sangue vermiglio; con Giovanni il discepolo. E i morenti occhi, a lungo, fissò alla Madre muta, e disse: - Donna, là ecco tuo figlio!2 -

  Sarà soggetto del nuovo sito la trascrizione del secondo sonetto dedicato alla Madre che abbracciava i fratelli "pel sacramento del Calvario".3

NOTE

1 Domenico Tamballeo nacque a Minturno il 7 maggio 1884. Studente di teologia nel Seminario diocesano di Gaeta scrisse un primo poemetto intitolato "Il rapsodo"per la celebrazione dell'Anno Santo 1990. A quella raccolta di versi seguirono gli inni del libro "Adonai", "Meditazioni" poetiche ispirate alla devozione della Madonna della Civita e al suo Santuario, "Le Agapi" con una appendice di epigrammi. L'opera poetica maggiore è costituita da le "Odi Minturnesi", pubblicata a Roma nel 1935, mentre col titolo latino "Excerpta" (Liriche scelte) il poeta pubblicava le migliori, Milano 1957. Cessò di vivere il 16 luglio 1962 a Santa Maria C.V. , dove si era ritirato al ritorno dall'Argentina.

2 D. Tambolleo, Adonai. E' una serie di sonetti composti per illustrare brevi testi sacri come miniature bibliche e stampati presso tip. Progresso, S.Maria C.V. 1933, pp. 135.

3 D. Tambolleo, Le Agapi, Desclée E. C. edd.,Roma 1931; idem, in Adonai, seconda quartina del sonetto: et Maria matre Iesu Act. 1,14 , p. 135.

    P. Alfredo Di Landa

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ALLA MADRE DESOLATA (1869)       

  Vedendo la foto qualcuno dirà: che c'entra il sacerdote col saio francescano con l'icona del Gruppo della Pietà venerato nella Chiesa della Trinità alla Montagna Spaccata di Gaeta? La domanda è legittima per due motivi:

1 - Padre Ezechiele Chiacchera appartiene all'Ordine dei Francescani Riformati (Alcantarini) che ebbero in cura il Santuario del Crocifisso a Gaeta.

2 - Era nativo di Minturno e guidava i pellegrini alla Madonna della Civita, ma li conduceva anche al Santuario della Montagna Spaccata per la grande devozione a Gesù Crocifisso e per la Madre dei Dolori. In onore dell'Addolorata stampò a Gaeta, presso la tipografia Saccoccio, un libretto sui dolori di Maria. Oltre alle considerazioni omiletiche incluse una sua composizione poetica, di cui si trascrivono alcune strofe che i pellegrini minturnesi recitavano in coro visitando la Chiesa della Trinità alla Montagna Spaccata:

 O Madre Dolente - noi tutti qui vedi Nel cuore della mente - Prostrati ai tuoi piedi Con teco a dividere - L'immenso dolor.

 Fedeli e devoti - Gli affetti sentiamo Pietate ne' voti - Per te nutriamo E sia dell'animo - La Fede e l'Amor.

 D'amore di Fede - E' questo il tributo Che madre richiede - Che a madre è dovuto Dai nati sul Golgota - Fra strazi nel cor.

 All'amor si rassomiglia - Il dolor che chiudi in petto; Il dolor non si consiglia - Che col cor e con l'affetto: Infinito fu l'Amor - Infinito è il tuo Dolor1.

Nel 1958, pubblicando un grosso volume sulla storia, sui monumenti, sugli uomini illustri e sulle usanze folkloristiche della popolazione di Minturno, lo scrittore e saggista P. Benedetto Fedele annotava : "Non manca di forti e profondi sentimenti questa composizione poetica. Sono 90 anni che essa è uscita dal cuore di un'illustre Concittadino, figlio di quel Padre Serafico che tanto influsso esercitò sui Laudesi che cantarono i Misteri della Passione2".

NOTE

1 EZECHIELE CHIACCHERA Maria Desolata o i Dolori della Vergine, Tipografia Saccoccio, Gaeta 1869, p. 12.

2 P. BENEDETTO FEDELE, o.f.m., Minturno Storia e Folklore (Con illustrazioni, testi musicati, quadri e disegni), C.A.M. Napoli 1958, ma le citazioni sono tratte dalla Ristampa anastatica ac. Di Arti Grafiche Caramanica, Marina di Minturno (Lt), 2004, pp. VIII-492; qui 54-55.

    P. Alfredo Di Landa

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CONTINUITA' DI UN MIRACOLO       

  Nel manoscritto di don Domenico Porrazzo, che fu rettore del monastero e del Santuario alla Montagna Spaccata di Gaeta dal 1903 al 1919, si legge una considerazione che fa riflettere. Scriveva, da buon osservatore e custode, l'Autore: "Il miracolo straordinario, visibile e direi quasi continuo di questo Pio Luogo costituisce -insieme con gli altri celebri Santuari dell'Alvernia e di Gerusalemme che la tradizione vuole aperti essi pure nella morte del Redentore- una prova innegabile del Vangelo (Mt 27,51). E poiché la grandezza dell'apertura della montagna di Gaeta (che è un calcare sedimentario o subacqueo con stratificazione concordante di origine meccanica e senza resti organici) si mostra a tutti visibile in modo veramente straordinario, induce a considerarla superiore rispetto all'Alvernia e a Gerusalemme. Possiamo asserire che in nessun altro luogo, come in questo, si prova la dolce visione della pietà immensa da cui fu presa la natura nel piangere, così come poteva, la morte del suo Autore, Redentore del mondo. Per ciò non riesce difficile spiegare la fama di questo Santuario che, mediante il culto che gli si è prestato, proietta nei secoli la sua permanente luce a guisa di raggi luminosissimi dovunque sia anima credente. E il vivo culto che gli si è prestato per il passato perdura presentemente1".

Don Perrazzo ricorre, anticipando la ricorrenza dei 750 anni della nascita del sommo Alighieri, all'aiuto della Divina Commedia per confermare la meraviglia:

 "Quel monte a cui Cassino è nella costa, fu frequentato già in su la cima….(e rende celebre) Lo nome di Colui che in terra addusse La verità che tanto ci sublima2",

perché furono i Benedettini i primi custodi del Santuario.

NOTE

1 Ved. D. PORRAZZO, Cenni storico-descrittivi sul Santuario del SS. Crocifisso nella Montagna Spaccata di Gaeta, inedito conservato nell'Archivio del Santuario, s.i.d., fogli prot. 27, qui 19 ss..

2 Dante Alighieri, LA DIVINA COMMEDIA, Paradiso c. 22, vv. 37 ss; ZECHIELE CHIACCHERA, Maria Desolata o i Dolori della Vergine, Tipografia Saccoccio, Gaeta 1869, p. 12.

    P. Alfredo Di Landa

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SEGNI PERMANENTI NELLA ROCCIA DI GAETA       

  Il conte di Castelmola, Onorato Gaetani d'Aragona, nella pubblicazione riguardante i monasteri benedettini di Gaeta del 1878 testimoniava che il Santuario dedicato al SS. Crocifisso della Montagna Spaccata "è stato sempre venerato per i suoi miracoli, non solo dalla popolazione di Gaeta e del Contado, quanto anche dai devoti di altri paesi lontani, e perciò, quasi in ogni mese giungono italiani ed esteri per visitarlo1". Come intendere il termine usato dal Gaetani?

  L'A. certamente intese accennare in primo luogo alle portentose spaccature della roccia avvenute secondo la tradizione alla morte di Cristo2. Non solo. Egli ricorda anche la tradizione popolare "d'un fatto pel quale un incredulo, che non ammetteva il miracolo della fenditura… pose la palme della mano in faccia al macigno, e la palma vi restò impressa con le cinque dita obliquamente affondato all'insù e poi ritiratola e chiuso il pugno, volle di nuovo urtare la parete suddetta lasciandovi una nuova impronta, simile ad un secchietto in cui filtra una lagrima perenne d'acqua.  Molti dicono che da allora quando una calamità deve colpire Gaeta, questa piccola fonte è arida da 2 in 3 mesi prima; e sostengono ancora d'aver ciò sperimentato in occasione delle varie invasioni coleriche, e nell'ultimo tremendo assedio del 1860-613".

  Il Gaetani è dell'avviso che si tratti di un fenomeno naturale, ma aderisce all'interpretazione popolare di attribuire un significato premonitore a quel segno. Diversamente non avrebbe accennato all'evento storico né alle circostanze della mancanza d'acqua durante l'occupazione della Città avvenuta diciotto anni innanzi. Anche dopo la pubblicazione della monografia del conte di Mola, a Formia si continuò a credere che occorreva scongiurare con una processione eventuali disgrazie cittadine. Durante la Quaresima la statua della Madonna della Noce dalla parrocchia di S. Erasmo era trasportata al Santuario del SS. Crocifisso accompagnata da una folla di devoti. La manifestazione religiosa venne impedita nel 1867, ma successivamente ripresa4.

NOTE

1 Onorato Gaetani D'Aragona, Monasteri Benedettini Cassinesi della Città di Gaeta, detti della SS. Trinità cui è annesso il Santuario del SS. Crocifisso, Tip. Sole, Milano 1878, 17.

2 Idem, o.c.p.11;13;15;17 SS. Cfr. D. Vaglio, La Montagna Spaccata e il suo Santuario tra storia e leggenda, Caramanica ed. Marina di Minturno (Lt), 201310, pp.98-101.

3 O. Gaetani D'Aragona, Monasteri Benedettini Cassinesi della Città di Gaeta, detti della SS. Trinità cui è annesso il Santuario del SS. Crocifisso, p.18 con nota.

4 D. PORRAZZO, Cenni storico-descrittivi sul santuario del SS. Crocifisso nella Montagna Spaccata di Gaeta, manoscritto dell'Archivio del Santuario, fol. 16;22;25; P. VAGLIO precisa che dai ricordi della gente si indicava la quarta domenica di quaresima: Cfr. D. VAGLIO, La Montagna Spaccata e il suo Santuario. Cit., p.59 con relativa nota.

    P. Alfredo Di Landa

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il "narratore"  di questo blog è il nostro Padre Alfredo Di Landa

missionario del PIME, di Mondragone (CE). Licenziato in Diritto Canonico e laureato in lettere. Ha insegnato nei licei statali, del suo Istituto, del Seminario di Aversa e Istituto di scienze religiose San Paolo di Aversa.

Scrittore fecondo ha licenziato alle stampe numerose pubblicazioni come: Il santuario di Cursi: tra storia, fede, arte - Antonio Sebastiani Minturno - Morigino e la sua chiesa parrocchiale - Il vescovo Fortunato De Santa allo specchio - Fanti e santi in Terra Rocce Montis Dragonis - Luciano: dissacratore o anticipatore del caso Gesu? - Il cardinal Guglielmo Sanfelice - La collegiata di S. Giovanni Battista di Mondragone.

 

per contattarlo scrivete a me:   musi.giovanni@pime.org      gli passerò il vostro messaggio   

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