PADRE GIROLAMO LAZZARONI
(24 settembre 1914 - 19 novembre 1941)

Colere: uno sperduto paesino della bergamasca, nell'incantevole Valle di Scalve, ai piedi del versante nord della Presolana. Siamo nei primi anni del 1900: le famiglie di questa zona, per poter sopravvivere, coltivano l'orto, producono un po' di fieno, durante l'inverno affittano una o due mucche, che assicurano il latte e un po' di calore nel grande gelo invernale; spesso però questo non basta e i capofamiglia sono costretti ad andare altrove, lontano, in cerca di qualche lavoro.

Anche i Lazzaroni conducono questa vita e Girolamo, fin da piccolo, aiuta a raccogliere le patate, tagliare l'erba, sistemare il fieno, mungere e portare al pascolo le pecore. Insieme ai suoi tre fratelli maggiori, deve aiutare la mamma a portare avanti la famiglia: suo padre, infatti, per lunghi periodi emigra in Australia, dove cerca di guadagnare qualcosa come minatore.

Perciò, quando Girolamo confida alla mamma il desiderio di proseguire gli studi in seminario, inevitabilmente si sente rispondere un secco "no". E' davvero una cosa impensabile: il costo del suo trasferimento a Bergamo non può essere sostenuto dal magro bilancio familiare, è meglio per lui archiviare il suo sogno. La povera famiglia Lazzaroni non può permettersi di pagare la retta e di preparargli il corredo richiesto (abituato com'è a indossare pantaloni rattoppati e zoccoli)... La madre spera che sia solo una fantasia passeggera.

Ma nel 1927, dopo il rientro definito del padre dall'Australia, Girolamo, ormai tredicenne, ripropone il suo desiderio. La presenza del papà assicura un aiuto in più alla famiglia, e i risparmi portati dall'Australia possono garantire un maggior, seppure limitato, respiro. Così, con l'attestato di terza elementare e con le poche nozioni di latino insegnategli dal parroco, Girolamo, nel novembre del 1927, lascia Colere per il seminario diocesano di Bergamo. Abituato a lunghe passeggiate in montagna, sempre all'aria aperta, inizialmente trova dura la vita del seminario. Quelle lunghe ore trascorse seduto a un banco ad ascoltare cose a lui incomprensibili... qualche volta gli sembra persino di trovarsi in prigione. Non poter cantare a squarciagola come faceva quando andava a raccogliere la legna nei boschi con i suoi fratelli, dover restare fermo, chiuso in un'aula quando il cielo è azzurro e tutto invita a correre nell'aria, con i capelli sollevati dal vento, a salire in montagna, ad arrampicarsi in vetta alla Presolana.

Di fronte alle difficoltà rappresentate dagli studi e dalla vita di gruppo, vuole lasciar perdere tutto e tornare a casa. Ma la sua vocazione non può finire come una bolla di sapone, confida nel Signore e più volte gli ritorna in mente la frase del suo parroco: «Senza sacrificio e senza fatica non si realizza nulla di buono nella vita». Con la testa tra le mani, allora, si accanisce sui libri sicuro che anche così sta realizzando, fin d'ora, il suo servizio a Dio. Intanto l'ambiente e i compagni, così lontani dalla sua cultura, cominciano a diventargli familiari: gli viene affidata la responsabilità di guidare le passeggiate in montagna, di organizzare partite di calcio e di animare le serate per vincere la nostalgia di casa. Vivace e amante degli scherzi, rivoluziona il seminario con le sue trovate. Anche gli studi proseguono, tanto che, quando un compagno non comprende qualche argomento, si rivolge a lui per averne una spiegazione chiara.

Nel frattempo, durante gli anni del liceo, matura la scelta di essere missionario e nel 1935 si trasferisce nel seminario del Pime a Genova e poi a Milano. Pochi mesi prima della sua ordinazione sacerdotale, nel 1938, gli muoiono, a breve distanza, entrambi i genitori. E' un duro colpo per lui, così affezionato alla sua famiglia, ma anche in questa difficile occasione sa affidare tutto a Dio. Alle condoglianze ha il coraggio di rispondere: «Il Signore ha loro anticipato il premio per il sacrificio che avevano già compiuto offrendomi a Lui per le missioni». Ordinato sacerdote il 24 settembre del 1938, nel duomo di Milano, celebra la sua prima messa a Colere, dove, al tramonto, i suoi amici gli fanno un'insolita sorpresa: nello sfondo della vallata brillano enormi linee luminose... una grandiosa fiaccolata raffigurante un'ostia e un calice di smisurate proporzioni!

Ha 24 anni quando, finalmente, viene a sapere la sua destinazione: insieme al confratello Valentino Corti è assegnato alla missione di Hanzhong nella provincia dello Shaanxi in Cina, la più lontana di tutte le missioni del Pime. E il 16 agosto 1939 parte da Genova per una meta che non raggiungerà mai a causa della guerra cino-giapponese. Dopo essere sbarcato a Shanghai, raggiunge Kaifeng e lì si ferma un anno con altri nove missionari per imparare il cinese e anche qui l'allegria e la voglia di scherzare non gli vengono mai meno. Per rompere la monotonia dello studio, gli studenti fanno qualche gita fuori città, visitando questo o quel centro cristiano, ma il suo tormento resta sempre l'inafferrabile idioma, benché cominci a gustarne le bellezze. Se gli capita di sentire un cinese che, appassionatamente, narra qualche cosa, lo ascolta attento ai modi di dire, più che al soggetto del racconto, preso com'è dallo stupore per la facilità con cui quello descrive ogni minimo dettaglio ed esprime ogni sfumatura del pensiero. Presto si azzarderà a predicare, farà il missionario "davvero". E' il suo più grande desiderio, come appare evidente da una lettera scritta alla sorella: «Prega molto perché io impari meglio possibile il cinese così potrò fare tanto bene qui, dove Lui mi ha voluto. Ogni giorno mi accorgo quanto sono ancora impreparato alla missione che il Signore mi vuole affidare. Non sono le belle prediche che convertono le anime, ma tutti quei sacrifici quotidiani dei quali la Provvidenza ci presenta l'occasione».

Nel giugno del 1940 termina l'anno dedicato allo studio del cinese e i giovani missionari lasciano la casa regionale di Kaifeng per raggiungere ciascuno la propria missione. Ma p. Girolamo e p. Valentino Corti, destinati al vicariato di Hanzhong (Shaanxi), non possono muoversi. Quel lungo viaggio è pericoloso anche in tempi normali; ora, a causa della guerra cino-giapponese, risulta addirittura impossibile. P. Girolamo deve attendere. Ma si sente un pesce fuor d'acqua: «Io qui sto bene e sono lontano da ogni pericolo, ma non sono al mio posto. Io desidero tanto partire per raggiungere la mia missione, lontana, segregata lassù, verso le frontiere del Tibet dove si trova ancora la vera e autentica Cina di Confucio... Continuo a sperare che si apra un passaggio per Hanzhong. Ah, se potessi andare in bicicletta!». L'entusiasmo del giovane non è affatto smorzato dalla prospettiva dei rischi da affrontare, tanto che, se fosse per lui, partirebbe per la sua missione con qualsiasi mezzo.

Purtroppo, però, deve rinunciare e, aspettando tempi migliori, resta nel vicariato di Kaifeng, dove viene assegnato alla missione di Dingcunji, di cui è appena stato nominato parroco p. Bruno Zanella. Così, con p. Bruno, finalmente lascia la città. Dopo il primo tratto in ferrovia, non si sa più con quali mezzi continuare: non ci sono più le strade, solo zone allagate da attraversare con zattere di fortuna per evitare i terreni melmosi e argillosi. Superati i trecento chilometri che lo separano da Dingcunji, p. Girolamo può scrivere: «Ho viaggiato in treno, in biciclette, a piedi, in barca, e... in carretta. Ma sono arrivato, finalmente, dove il Signore voleva che arrivassi!».

Intanto giunge da loro anche p. Edoardo Piccinini, già responsabile del distretto e destinato a Taikang, per dare ai suoi successori tutte le informazioni necessarie. Così, solo due giorni dopo l'arrivo, i tre missionari sono di nuovo in viaggio per visitare le varie comunità cristiane. P. Girolamo, pur in mezzo alla desolazione provocata dall'inondazione, dal brigantaggio e dalla guerra, gusta la felicità sognata durante i duri anni dello studio e nei momenti di preghiera. Rientrato a Dingcunji, p. Lazzaroni riceve l'incarico di catechizzare ogni giorno i ragazzi nell'ultima ora di scuola.

Girolamo si trova bene con i bambini cinesi: sono pochi gli anni che lo separano dalla sua infanzia e comprende bene cosa significa non avere scarpe adatte durante il freddo dell'inverno, o spostarsi sotto un acquazzone senza l'ombrello, o non poter cambiare un quaderno ormai tutto scritto. Sente di amare questi ragazzi, si sente capace di comprenderli e di dare la vita per loro.

Intanto la miseria aumenta: «Sono molto contento dei miei cristiani, solo mi fanno compassione per la loro miseria - scrive in una lettera. - In autunno avevano seminato un po' di frumento. Ma ora, in primavera, con lo scioglimento delle nevi, i fiumi hanno straripato recando danni immensi. Salvo qualche rara eccezione, abitano miseri tuguri oscuri e affumicati, aperti ai quattro venti, con certe notti di vento fortissimo. Il cibo è scarso e miserabile. Ora poi che i giapponesi hanno ritirato il riso, non c'è più neppure quello. Il più miserabile d'Europa è più ricco di questi cinesi».

Soffre con la sua gente e per la sua gente: «Questo è territorio di nessuno. Come se non bastasse tutto il resto, le truppe giapponesi, quelle cinesi e i briganti in grigioverde. E tutti non fanno che angariare il popolo». I briganti grigioverdi: i veri padroni del territorio. Sono di casa, nessuno cerca di eliminarli. E' più comodo ignorare il problema e fingere di non sapere che esiste. Il distretto di Dingcunji è sul confine di tre province, ciascuna delle quali scarica la responsabilità sull'altra, sostenendo che non è di propria competenza. Una massa di sbandati: disertori, mercenari, delinquenti comuni, radunati in gruppi senza regola né disciplina, spinti alla violenza dalla fame e dal malcontento. Insomma, uomini da temere e di cui aver paura. Invece, malgrado questa situazione di estrema insicurezza, i missionari restano e viaggiano qua e là nei pericoli, solidali con la loro gente. Padre Girolamo non teme le difficoltà, la fatica e i viaggi disagevoli: è forte, coraggioso, e non è tipo da subire passivamente ogni sorta di angherie. Eppure, anche i più forti, a volte, devono cedere agli avvenimenti che li sovrastano, e alle ragioni superiori della "debolezza".

Il 18 novembre, p. Lazzaroni è solo a Dingcunji. P. Zanella è andato incontro al vescovo. Tutto è pronto, nella piccola comunità. La speranza ha disegnato un arco all'entrata del villaggio.