PADRE Fausto Tentorio
(7 gennaio 1952 - 17 ottobre 2011)

Il Pime piange un altro suo missionario a Mindanao. Questa mattina, 17 ottobre 2011, nell'isola del Sud delle Filippine è stato ucciso padre Fausto Tentorio, 59 anni. Nato il 7 gennaio 1952 a Santa Maria di Rovagnate e cresciuto in Santa Maria Hoe', Lecco. Ordinato nel 1977 era partito per le Filippine l'anno seguente. Prima della missione in Arakan aveva lavorato in quella di Columbio, Sultan Kudarat, abitata da cristiani, musulmani e indigeni B'lang. La morte di padre Tentorio è un nuovo capitolo in quel volto del martirio che da tanti anni ormai contraddistingue la presenza del Pime a Mindanao. Prima di lui qui hanno donato la loro vita per il Vangelo già altri due missionari del Pime: padre Tullio Favali, ucciso nel 1985, e padre Salvatore Carzedda, ucciso nel 1992. Altri due missionari del Pime, in anni ancora più recenti, hanno subito un rapimento: padre Luciano Benedetti nel 1998 e padre Giancarlo Bossi nel 2007. Padre Tentorio stesso era già sfuggito a un agguato nel 2003: lui stesso aveva raccontato questa esperienza.

Come la morte di padre Favali, quella di padre Tentorio non è legata al fondamentalismo islamico, ma alla difesa delle popolazioni indigene di Mindanao. L'isola del Sud delle Filippine è infatti un microcosmo dei drammi che attraversano il pianeta. «Padre Fausto - racconta padre Luciano Benedetti, anche lui missionario del Pime nelle Filippine da poco rientrato in Italia - era minacciato da tempo per il lavoro che svolgeva da tempo nella difesa delle terre dei manobo. Terre che fanno gola in una zona ricca di risorese minerarie. Già otto anni fa, protettto dalle. popolazione locali, si era salvato solo stando nascosto mezza giornata in un armadio. E ancora due anni fa era stato fatto oggetto di nuove minacce».

Sapeva bene quello che rischiava padre Tullio. Ma ancora di più sapeva quanto il Vangelo lo chiamasse a stare accanto ai manobo, aiutandoli a difendere i loro diritti. Lo raccontava con chiarezza lui stesso nel 2006 in una video intervista ad Arakan nel 2006.

Che cosa spingeva, allora, padre Tentorio a restare comunque nella sua parrocchia dell'Arakan? Una risposta molto bella la si trova in questa lettera scritta pochi mesi fa da un amico che era andato a visitarlo. Un ritratto da cui emerge molto bene la quotidianità della vita donata per il Vangelo da padre Fausto, che cosa volesse dire lavorare con i manobo e da quali appetiti di chi vuole spazzarli via dalle loro terre occorresse difenderli.

Ma chi è che uccide i missionari a Mindanao? Avevamo provato a spiegarlo su Mondo e Missione qualche anno fa nel servizio speciale che su Mondo e Missione avevamo dedicato a questa regione nel 2007, subito dopo il rapimento di padre Bossi. Per raccontare una terra dove sotto il problema del fondamentalismo islamico in realtà se ne nascondono anche tanti altri.

«Di fronte a un delitto così orribile e inaccettabile possiamo solo partecipare con la preghiera e l’affetto nei confronti della famiglia e dei missionari, fratelli di quest’uomo che per la terra in cui ha operato ha dato la vita». Con queste parole ha espresso il suo cordoglio per la morte di padre Tentorio il cardinale arcivescovo di Milano, Angelo Scola. 

«Cominci da noi a portare frutto il sacrificio di padre Fuasto». Le parole pronunciate dal vicario episcopale mons. Bruno Molinari alla veglia in memoria di padre Tentorio tenutasi la sera della sua morte a Santa Maria Hoè.

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Carissimi tutti, Da tempo non ci sentiamo e non scrivo mie notizie. Pensavo di farlo per il prossimo Natale e invece mi trovo pressato a farlo in questi giorni. Anzitutto spero di trovarvi in buona salute, spirituale e corporale. Per coloro che si trovassero in particolari difficoltá o sofferenze, sappiate che le mie preghiere sono quotidiane per ognuno di voi.

Devo dirvi subito che non é una lettera facile da scrivere, e forse tra le piú difficili che mi sia capitato di scrivere a parenti e amici. Il dolore ci ha visitato e un nostro amico ci é stato tolto in modo tragico. Padre Fausto Tentorio, missionario del PIME, parroco della parrocchia di Arakan, mio parroco e compagno di missione é stato barbaramente ucciso fuori dalle porte di casa la mattina del 17 ottobre. Domani sono 3 settimane dal fatto e devo dirvi che io personalmente non ho ancora recuperato il colpo. Forse mi chiederete come mai solo ora mi sia messo a scrivere, ma credetemi se vi dico che solo oggi trovo il tempo meteriale e la volontá per farlo. Fino ad ora sono stati giorni di tensione, stress, fatiche fisiche e psicologiche, veglie, incontri, interviste, indagini, etc, di cui non avrei mai pensato di farne esperienza. Ma andiamo per ordine.

La mattina del 17 ottobre, verso le 8.20, ricevo la notizia che hanno sparato al Fausto. Io ero in casa del vescovo poiché quel giorno era in programma l’incontro di tutti I preti col vescovo, cosa che di solito avviene ogni mese. Come di consueto io esco di casa per questo incontro la domenica pomeriggio per poi tornare il lunedí pomeriggio. Il Fausto invece era abituato a uscire il lunedí mattina e tornare il martedí. Assolutamente non mi sarei mai aspettato di ricevere un messaggio del genere, infatti pensavo di vedere il Fausto come di solito entro poco tempo. Ero con il vescovo e si stava parlando quando ci siamo tutti allertati e preoccupati. Io ho chiamato subito il numero del Fausto e per 2 volte non ha risposto. La terza volta risponde una sua collaboratrice e mi conferma che gli hanno sparato, che é stato portato all’ospedale ma non mi dice di piú. Organizziamo con il vescovo di andare all’ospedale, circa 30 km da noi. Mentre ci prepariamo a partire richiamo e ricevo la conferma che il Fausto é morto. Il primo sentimento é stato di totale incredulitá. Forse non ho voluto credere, forse era troppo grossa la notizia. Siamo arrivati all’ospedale e abbiamo trovato conferma della notizia. Solo lí é iniziato il mio calvario dei perché, del chi puó essere stato, del come sia avvenuto e naturalmente quale sará ora il futuro immediato. Essendo l’unico del PIME presente ho dovuto pensare a decisioni concrete da attuare a me totalmente sconosciute. Ringraziando il Signore perché il vescovo mi ha aiutato e naturalmente sostenuto. Passata un’ora é arrivato il padre Peter Geremia e ci ha ha raggiunti in Arakan, dove era stato portato il padre Fausto. Padre Peter é stato per me un aiuto decisivo e instancabile, prendendosi cura di tenere “buoni” giornalisti e curiosi per I giorni successivi. La polizia naturalmente ha fatto la sua parte per aumentere la fatica e lo stress, ma questo era inevitabile, trattandosi di omicidio. Padre Fausto é stato ucciso con 10 colpi di pistola, mentre stava salendo in macchina, a corta distanza, usando proiettili speciali, cioe proiettili che al contatto del bersaglio di frantumano dentro, aumentando il danno e diminuendo la possibilitá di soccorso ed eventuale recupero della vittima. Solo 2 pallottole sono state ritrovate intere, Chi ha sparato era un professionista nell’usare armi da fuoco e nel sapere quali parti del corpo fossero vitali. L’omicidio é stato premeditato e preparato da tempo, facendo attenzione ai dettagli e al non lasciare indizi. Anche l’autopsia ha confermato queste teorie.

C’é un detto che dice “chi muore giace, e chi resta cerca pace”. In questa circostanza penso di aver compreso davvero cosa quelle parole vogliano esprimere. Il Fausto era morto, ma noi eravamo lí e guardalo nella sua pace, noi uomini, ora senza pace. Qui nelle Filippine c’é la tradizione di imbasamare il corpo e di vegliarlo per almeno 9 giorni prima di seppellirlo. Per il Fausto la cosa si é resa necessaria poiché abbiamo aspettato l’arrivo del fratello, cognata, nipoti e un amico. Devo dirvi che abbiamo trascorso una settimana di fuoco, pero penso che sia servita molto a tutti per assorbire il colpo e rimetterci in strada. Fin da subito é partito un comitato organizzativo davvero eccezzionale. La gente del posto si é mobilitata per organizzare le giornate e le serate, il cibo per I pasti, offrendo caffe e bevande calde di sera, e merende durante il giorno. Fin da subito il corpo é stato messo in chiesa e ogni giorno si celebrava la messa, sempre strapiena di gente, proveniente da ogni comunitá cristana e tribale. Amici e sostenitori sono giunti da molto lontano, trovando tutti accoglienza e potendo condividere la loro esperienza con la vita del Fausto. É stata una settimana piena di belle testimonianze con migliaia di persone convenute per dare il loro tributo di riconoscenza al lungo servizio del Fausto tra le popolazioni tribali e cristiane. Io stesso ho scoperto solo in questa occasione quanto fosse vasta l’azione del Fausto e come in 30 anni avesse toccato la vita di migliaia di persone.

Prima di portare la bara nella cattedrale di Kidapawan, c’é stata un’ultima veglia nella scuola media cattolica di cui il Fausto ne era il direttore. Anche lí bene preparata, molti studenti e genitori hanno condiviso la loro esperienza e hanno ringraziato per la presenza e il lavoro del Fausto dall’inizio della fondazione della scuola fino ad ora. Lunedí 24 al mattino la bara é stata accompagnata da circa 3000 persone in cattedrale, un percosro di circa 55km, fatto con gli automezzi, circa 60 camion e mezzi privati. Anche lí una bella organizzazione per dare la possibilitá di vedere il corpo e pregare.

Il mattino del 25, si é assistito ad un “convegno” di persone stimato dai 15 ai 20mila. 7 vescovi e piú di 100 preti hanno voluto testimoniare la loro solidarietá alla missione del Fausto e al sacrificio della vita nel martirio.

Questa a grandi linee, é la narrazione dei fatti fino al funerale. Essendo poi vicini al giorno dei morti é stata organizzata una messa alla tomba, che si trova nel giardino della casa del vescovo, il 2 novembre, dove si trova anche la tomba di padre Tullio Favalli, ucciso 26 anni fá.

In questa narrazione non ho accennato alle investigazioni della polizia, ma vi assicuro che ci sono state, specialmente durante tutta la prima settimana. Gli ultimi incontri gli abbiamo avuti il 31 ottobre in municipio con la presenza di circa 30 agenti delle varie categorie investigative e 50 persone del posto. Mentre il 4 novembre l’incontro si é tenuto nelle sale della parrocchia alla presenza degli avvocati. Devo dirvi che non si é concluso nulla se non la testimonianza di chi per primo ha trovato il Fausto. Di motivi ce ne sarebbero tanti, ma non si hanno indizi per nessuno in particolare. Sembra un delitto di mafia. Perché un prete? Perché il Fausto? Perché adesso? Chi é il mandante? E l’esecurore? Quali legami al lavoro del Fausto? Chi era suo nemico? A chi ha pestato I piedi? Sono centinaia le domande che tutti ci siamo fatti dal giorno della sua morte, ma penso che non sará facile rispondere se non per presunzione. Tanti possono essere I motivi e tutti legati alla missione che il Fausto ha incarnato nella sua vita fin da piú di 30 anni fá quando é arrivato nelle Filippine. Solo ora io stó scoprendo un Fausto che non conoscevo, un lavoro intenso che non immaginavo, un servizio silenzioso ma nello stesso tempo dirrompente. Colui che nella vita si schiera dalla parte dei perdenti e cerca di sollevarli dalla loro miseria, rientra tra I “beati” del vangelo, coloro che eventualmente devono pagare con la propria vita e spargere il sangue a testimonianza della veritá. Il Fausto conosceva molto bene questa pagina del vangelo e non si é mai tirato indietro. Era molto prudente ma nello stesso tempo libero da qualsiasi compromesso col potere, da qualsiasi parte venisse.

Dopo questa descrizione davvero sommaria, forse mi chiederete, … e tu? Cosa pensi? Cosa dici di te? Cosa abita nel tuo cuore adesso? Quali programmi per il futuro? Cari amici, sono ormai 3 settimane che penso e ripenso a queste e molte altre domande simili. Non sempre c’é la risposta chiara e serena per tutto, specialmente quando penso che devo in qualche modo aiutare la gente a continuare ció che era stato iniziato e deve essere portato a termine. I collaboratori del Fausto per primi sono da aiutare a ripensare forme nuove di lavoro, non piú basate sull’ultima parola del Fausto. Si é rimasti tutti un pó orfani, alcuni mi hanno detto che io sono diventato “vedovo” e francamente non hanno torto. Fin da subito ho cercato di non disperare, di continuare a “camminare”, di seguire la via tracciata. Naturalmente mi spaventa il fatto di trovarmi da solo, ma non per la vita. Só di non correre alcun pericolo e spero che anche voi non vi preoccupiate invano. Mi spaventa il fatto del grande lavoro da portare avanti che si aggiunge al mio calendario ordinario. Giá le messe della domenica ho dovuto cancellarne alcune, ovviamente programmate per due persone. Oggi per esempio il vescovo ha celebrato una messa in una comunitá molto numerosa dove di solito abbiamo la messa ogni domenica. Non só se avrà altre domeniche libere. Ho giá avuto degli incontri con I vari collaboratori del Fausto su differenti settori. Con tutti ho sempre parlato chiaramente che la mia disponibilitá é sempre aperta come pure la collaborazione che io chiedo a loro. Tante sono ancora le cose da pensare, nuove strategie, modalità, ma penso che tutto questo sia possible. Ho chiesto ai superiori di inviare un compagno di lavoro e penso che qualcosa si stia giá muovendo. Fisicamente sono da solo ma sento la vicinanza di molte persone che sono sinceramente disposte ad aiutare e a condividere. Non ho paura di rimanere quí, di continuare il mio lavoro con questa gente. Ho sempre detto che mi piace il luogo, non ho difficoltá con la gente, l’esperienza cresce ogni giorno e anche il mio cuore é abitato dal popolo filippino. Non mi ritiro, non torno indietro, non volto le spalle a questa bella missione. Il Signore continuerá a prendersi cura di me, su questo ho fiducia.

Il dolore aiuta a crescere, a diventare adulti, a maturare nelle responsabilitá. Penso che anche questa sia un’altra veritá. Nessuno si aspettava una tragedia di questo tipo, una morte cosí atroce. Ma la realtá parla in questo modo. Devo affrontarla, insieme a tutta la gente di buona volontá che fá parte di questa comunitá cristiana e tribale. Insieme possiamo e dobbiamo andare avanti anche per continuare e raccogliere i frutti di tutti quei semi piantati dal Fausto in questi anni. Spero che questa morte violenta non inasprisca I cuori, e non alimenti vendetta. Spero solo che chi ha pianificato ed eseguito questo delitto, sperimenti la stessa sofferenza che migliaia di persone hanno condiviso in questi giorni e nel tempo futuro. Possano davvero riflettere sulle proprie azioni e sui piani di violenza che abitano ancora I loro cuori, pentirsi e rinnovarsi. Spero davvero che possano ritornare alla casa del Padre come il figliol prodigo.

Cari amici, é davvero lungo questo mio scritto. Ci sarebbero davvero tantissime cose da condividere ma non voglio abusare della vostra bontá. Alla fine vi posso assicurare che io stó bene, anche se ho perso qualche chilo, (mia mamma penso sia contenta!). Non ho pero perso l’entusiasmo e la voglia di continuare. Ora piú di prima. Con una consapevolezza nuova e una esperienza spero piú matura. Mi affido sempre nella amorevoli mani del mio e nostro Signore e a quelle di Maria nostra Madre e mi lascio guidare. Da parte vostra continuate a pregare per noi, pregate per la vera pace, pregate per la vera giustizia, noi continueremo a pregare per voi e a ringraziare il Signore per la vostra presenza. Il padre Fausto dal cielo ci aiuti a essere sempre cristiani autentici e interceda per noi presso il Padre.

Un saluto affettuoso ad ognuno, e la benedizione di Dio su ciascuno di voi.

Nell’amore di Cristo, p. Giovanni

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Fausto Tentorio ha dato la vita per i manobo (Filippine), di Padre Piero Gheddo

Il 17 ottobre 2011 alle ore 8, davanti alla chiesa di Arakan padre Fausto Tentorio è assassinato con due colpi di pistola alla testa da un uomo mascherato, fuggito su una motocicletta con un complice. Con lui sono 19 i missionari del Pime uccisi nelle missioni, tre dei quali nelle Filippine. Padre Fausto, 59 anni, era da 32 anni nell’isola di Mindanao, “il Far West delle Filippine”, che negli anni 60-90 è stata invasa da immigrati dal nord del paese. Scoppia la “guerre delle terre” che coinvolge i tribali delle regioni montagnose e forestali. La Chiesa filippina ha sviluppato una «pastorale di educazione alla giustizia e alla pace», attraverso le Gkk, le piccole comunità di cui i missionari del Pime sono stati tra i fondatori e animatori più impegnati nella diocesi di Kidapawan. Dalle Gkk sono nati gli agenti di pastorale e i capi cristiani che hanno cambiato il volto della Chiesa locale con il loro impegno in difesa dell’uomo. Davano fastidio e venivano accusati di essere contigui ai guerriglieri maoisti. Ecco il martirio di padre Tullio Favali (11 aprile 1985), il simbolo della resistenza popolare non violenta al dittatore Marcos, che il 26 febbraio 1986 è sbalzato dal potere senza spargimento di sangue. Se si fosse fatta la Causa di beatificazione, Tullio sarebbe già Beato! Il terzo martire del Pime nelle Filippine è p. Salvatore Carzedda impegnato nel dialogo coin l’islam, ucciso il 20 maggio 1992 da un estremista islamico. Dal 1979 Padre Tentorio lavorava con gli indigeni "manobo". Con l’aiuto della CEI, di alcune Ong e anche di agenzie governative, aveva promosso cooperative agricole, educazione sanitaria e alfabetizzazione ed era riuscito a far riconoscere dal governo che le terre ancestrali rimaste appartengono ai tribali. Senza terre infatti, le tribù originarie dell’isola di Mindanao non possono sopravvivere. A Kidapawan il vescovo l’aveva nominato coordinatore dell’assistenza alle popolazioni Indigene. Negli ultimi tempi era anche impegnato per fermare l’industria mineraria, altro elemento di distruzione delle popolazioni indigene e del territorio. «Padre Fausto – racconta padre Luciano Benedetti, missionario del Pime nelle Filippine – era minacciato per il lavoro che svolgeva in difesa delle terre dei "manobo", che fanno gola, in una zona ricca di risorse minerarie. Già anni fa fu oggetto di serie minacce, da parte di un gruppo armato, ma fu protetto dalla popolazione locale». “Non abbiamo bisogno di mitizzare la vita di padre Fausto per dare un senso alla sua morte - ha detto il vescovo Romulo de la Cruz -. Basta ricordarlo come un bravo e fedele prete che amava la sua gente e cercava di servirla nel modo migliore, anche sapendo di mettere in pericolo la propria vita. Cercava giustizia per loro quando venivano spogliati delle proprie terre ed erano minacciati da uomini con le armi. Facendo solo questo, e anche in una maniera molto umile e tranquilla, perché padre Fausto non era affatto un incendiario, ci si può fare dei nemici, che perseguitano anche il più pacifico degli uomini». Sono andato a trovare padre Fausto ad Arakan nel 1985, viveva in una capanna dalle pareti di bambù e il tetto di lamiera. Gli dicevo: “In questa capanna ti guardano dentro e possono entrare quando vogliono”. Mi faceva vedere i bambù e i legni scheggiati nella stanza da letto dalle pallottole sparate dall’esterno. Rispondeva: “Ho dato la mia vita per Cristo e per questo popolo e sono pronto a darla di nuovo, anche se prendo tutte le misure di difesa necessarie”. In un documento inviato ai superiori Fausto scriveva: “Riconoscente a Dio per il grande dono della vocazione missionaria, sono cosciente che essa comporta la possibilità di trovarmi coinvolto in situazioni di grave rischio per la mia salute ed incolumità personale, a causa di epidemie, rapimenti, assalti e guerre, fino all’eventualità di una morte violenta. Tutto accetto con fiducia dalle mani di Dio, e offro la mia vita per Cristo e la diffusione del suo Regno”.

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"Fausto", da "Schegge dal Bengala", di Padre Franco Cagnasso

M’invade una tristezza pesante quando, durante una telefonata da Roma, vengo a sapere quasi per caso che P. Fausto Tentorio è stato ucciso. Ripenso al suo sorriso simpatico, buono, ai suoi scherzi, alla sua semplicità di vita e stile e alla fermezza con cui amava i Manobo, il popolo cui aveva scelto di dedicarsi, nella parte centrale di Mindanao (Filippine). Penso che ancora una volta la comunità del PIME è stata colpita in una persona che faceva sul serio, penso allo sgomento dei Manobo e alla paura che questo assassinio diffonde. Mi sento come soffocare dall’onda putrida di corruzione, violenza, insensatezza, odio, disumanità che travolge sempre tutto. Poi, lentamente, si fa strada un timido “grazie”. Grazie a Fausto, perché ha scelto proprio di nuotare in quest’onda conservando, anzi rendendo sempre più determinato e puro il suo cuore buono, la sua voglia di giustizia, la sua fede umile e senza pietismi, concreta. Grazie a Dio che ci manda di questi uomini, molti di più di quello che appare. Grazie alla Chiesa che, con tutte le sue contraddizioni, rimane madre di queste persone che percorrono la strada di Gesù. Non hanno tolto la vita a Fausto, l’aveva già donata lui stesso. Questo pensiero mi apre alla gioia, la gioia liberante di sapere che si può davvero vivere e morire in un altro modo, non da schiavi ubriachi ma da uomini liberi, non disperatamente attaccati ai miseri brandelli che abbiamo, ma aperti ad un Incontro di luce.

 

qui scarica lo speciale di Venga il Tuo Regno su Padre Fausto Tentorio
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qui articolo di Ravasi su Fausto Tentorio  (Avvenire del 19 luglio 2015)

 

 

Foto da quadro di Guadalaxara, pittore di Gaeta