PADRE EMILIO TERUZZI
(17 agosto 1887 - 26 novembre 1942)

 Sebbene il cielo plumbeo non prometta ancora nulla di buono, almeno ha smesso di piovere. E' da tempo, ormai, che non passa giorno senza un improvviso scroscio di pioggia. E in una simile situazione è difficile, se non impossibile, percorrere i sentieri fangosi che conducono agli sparuti villaggi dispersi lungo le coste rocciose di Cairn, nei Nuovi Territori.

P. Emilio, raccolto nei suoi pensieri, seduto su uno sperone roccioso, a picco sul mare, si lascia trasportare dall'onda lunga della tristezza. Al largo non si scorge nessuna imbarcazione. Cairn, antico mercato in riva al mare, sembra deserto. Le barche che portano gli acquirenti dai paesi vicini hanno sospeso il servizio. C'è aria di terrore.

E' il 16 novembre 1942. Non è ancora passato un anno da quando, l'8 dicembre del 1941, l'esercito giapponese ha attaccato la colonia inglese di Hong Kong e, dopo averne sconfitto i difensori, l'ha occupata. Da allora non c'è stata più pace. Se in città miseria, fame e abusi si succedono inarrestabili, sul continente la situazione è ancora più disastrosa e caotica. La vastità delle regioni occupate, infatti, non permette ai giapponesi un completo controllo del territorio, perciò, frequentemente, molte zone tornano in mano ai cinesi. Guerriglieri, briganti e comunisti, spacciandosi tutti per patrioti, approfittano della confusione per compiere scorrerie. Ogni giorno si registrano uccisioni, disordini, vendette, interi villaggi vengono distrutti.

P. Teruzzi, appena rientrato nel suo antico distretto, è frastornato. Ha tanto insistito, presso il suo vescovo, per poter tornare tra i cinesi di Cairn e non sa ancora spiegarsi bene se sia stato per coraggio o per incoscienza. Certo si è sentito in dovere di tornare. Si trovava a Hong Kong da diverso tempo per affiancare il vescovo, mons. Valtorta, nelle attività pastorali e di assistenza caritativa, ma p. Emilio era costantemente in ansia per i due sacerdoti cinesi lasciati nella sua parrocchia. Per mesi non aveva avuto loro notizie, fino a quando, nei primi giorni di settembre di quello stesso anno, aveva saputo che erano stati sequestrati e trucidati dai guerriglieri comunisti, insieme ad altre otto persone. All'inizio era stato invaso da una rabbia tremenda e da un profondo senso di ribellione, di impotenza; poi dal forte desiderio di tornare, per sostituirli e continuare il loro lavoro. Del resto chi meglio di lui, conoscendo il luogo e i suoi pericoli, poteva aiutare quella povera gente bisognosa di tutto e abbandonata a se stessa?

Il vescovo si era mostrato a lungo perplesso. Ma alla fine aveva dovuto cedere. In padre Emilio riecheggiano ancora le dure parole di mons. Valtorta: «Però non faccia pazzie. Si ricordi che va solo per studiare la situazione. Non mi è ancora venuta nessuna idea di lasciarla a Cairn. Le raccomando, anzi le comando, di essere sempre prudente e di non esporsi al pericolo della cattura». «Vedrò cosa posso fare», ricorda di aver risposto diplomaticamente, consapevole dell'elevato rischio a cui sarebbe andato incontro. Ma ora non se la sente, in nome della prudenza, di rinunciare a visitare i villaggi. Ormai fanno parte della sua vita. Ne conosce le famiglie, a una a una. Le loro vicende, i loro problemi. Tanti, che ora sono adulti, li ha visti nascere... e insieme hanno imparato a conoscersi, ad accettarsi, a stimarsi. Gli viene da sorridere. Con estrema nitidezza, benché ormai siano trascorsi parecchi anni, riaffiorano i ricordi delle fatiche e delle paure dei primi tempi di missione. Tutto era una grande incognita. Tutto era motivo di tensione. La lingua, la cultura, le persone, anche lo stesso paesaggio. Così aveva scritto a un amico, in Italia, nel lontano novembre 1914: «Trovatomi a capo del distretto, navigo in un mare di difficoltà perché ignaro della lingua, essendomi dovuto applicare allo studio di un altro dialetto rispetto a quello già studiato, che è generalmente parlato da queste parti, e inoltre perché, essendo rimasto troppo poco con il mio predecessore, non ho potuto avere tutte quelle informazioni necessarie, sia riguardo alla religione, sia riguardo alle questioni morali e finanziarie del distretto. E queste sono quelle che mi danno più fastidio. I miei cristiani, montanari o pescatori, vivono quasi tutti alla giornata con un po' di pesci e di vegetali. Sono una passività. Non sono le pecore che sostengono il pastore: è questi che deve provvedere di tutto anche loro. Il distretto affidato alle mie povere cure comprende parte della colonia chiamata "Nuovi Territori", che ha un'estensione maggiore della nostra bella Brianza. Il paesaggio è splendido, perché intersecato in mille modi dal mare e solcato dai monti. Ma per godere i bei panorami bisogna assoggettarsi a faticose salite, e il mare ha i suoi corrucci, puoi perciò immaginare come passo la vita quaggiù. Una cosa ti raccomando, ed è un' Ave Maria alla Regina del Cielo, alla Stella del mare, perché se dovessi finire in bocca ai pesci, mi conceda la grazia di non essere impreparato. Gettando una sguardo sulla cartina del mio distretto, o ammirando dalla sommità di qualche monte le tante regioni, i tanti villaggi ancora avvolti nelle tenebre di morte, mi sento una stretta al cuore, mi sento le ali ai piedi, mi sento prudere le mani: vorrei correre o lanciarmi tra quei popoli, ma... debbo dire col profeta "puer sum ego, nescio loqui" (sono un bambino, non so parlare). Tutto il cristianesimo del mio distretto è confinato in una specie di penisola. Di cristiani ne ho abbastanza, tenuto conto che questo è il più antico. Devo occuparmi di una quindicina tra chiesette e cappelle, ma la maggior parte di questi edifici minaccia la rovina, richiede provvedimenti e le acque sono basse, bassissime, per non dire che si va a secco. Quelle benedette formiche bianche non si accontentano di rovinare le chiese e le case, mangiano anche le scarpe e il borsellino del povero missionario. Poi ci sono le scuole, un altro grande essiccatore di acque finanziarie. Vorrei che tutti i ragazzi studiassero almeno le preghiere e il catechismo, ma l'istruzione non è obbligatoria quaggiù, e se ci si fa sentire un po', "Padre - rispondono - dà tu il denaro e mio figlio studierà". Ecco il mezzo più spiccio per far mettere la coda tra le gambe anche al missionario».

Si domanda ancora adesso, stupito, dove avesse trovato tutto quel coraggio che lo ha aiutato non solo a non cedere di fronte ai numerosi momenti di scoraggiamento e di delusione, ma che addirittura lo ha spinto a difendere i suoi cinesi da soprusi e ingiustizie. Più d'una volta se l'è vista brutta. Come quando, avendo insistito nel costruire una scuola su una collina rivendicata ingiustamente da un potente del luogo, si era visto istigare contro tutti gli abitanti del paese, tanto che, se non fosse intervenuta la polizia inglese (dai cinesi temuta più degli spiriti), avrebbero certamente risolto la questione facendolo a pezzi senza esitazioni. O come quando non si era dimostrato titubante nel presentarsi in un covo di briganti per trattare la liberazione di un ostaggio. Adesso ci ride sopra soddisfatto, ma che fatica fingere quella sicurezza, mista a una certa spavalderia, che avevano così colpito il capobanda, tanto da renderglielo amico!

P. Emilio sa di riuscire sempre a farsi ben volere e questa è la molla che l'ha aiutato in mille situazioni. Anche quando, rientrato in Italia per il venticinquesimo di sacerdozio nel 1937, i suoi superiori gli comunicarono che avrebbe dovuto restare in patria a prestare il suo servizio in seminario. Il breve periodo di vacanze si trasformò, quindi, in due anni di "lavoro" e benché la nostalgia della sua Cina fosse molto forte e altrettanto difficile reinserirsi nel mondo giovanile italiano, si buttò a capofitto nell'incarico ricevuto riuscendo a essere per i seminaristi non solo il loro rettore, ma anche un amico e un confidente.

Inoltre è consapevole di saper ottenere tutto ciò che vuole. Così è capitato, ad esempio, per il suo rientro ad Hong Kong nel 1938. In coscienza, però, riconosce di non essere un tipo ribelle. Ed è per questo che, nonostante la voglia irrefrenabile di recarsi subito a Cairn, aveva saputo aspettare l'autorizzazione del vescovo, accettando, provvisoriamente, una serie di incarichi in curia e a livello diocesano. Infatti aveva promosso varie attività di Azione Cattolica nella città e aveva curato la formazione di nuovi gruppi di Boy Scout (Giovani esploratori cattolici) accompagnandoli, benché fosse ormai sulla cinquantina, nei loro campi estivi o invernali. Inoltre aveva svolto la mansione di archivista. D'altra parte non era nuovo a questo tipo di lavoro: anni prima, infatti, era riuscito, utilizzando il "tempo libero", a mettere in ordine l'archivio della missione, che possedeva preziosi documenti riguardanti tutte le missioni della Cina, fin dal 1841, ricavandone una "Breve storia del Vicariato apostolico di Hong Kong".

Si liscia il lungo pizzetto ormai bianco e la sua mente si concentra nell'organizzare i prossimi itinerari. E' la voce del catechista a distrarlo dai suoi pensieri. Si è fatta sera ed è l'ora della messa nella piccola chiesa della missione. Padre Emilio si affretta a raggiungere la sacrestia.

A Roma, "Propaganda Fide" in data 2 gennaio 1943 porta a conoscenza il contenuto di un telegramma spedito da mons. Valtorta, con il quale annuncia la morte di padre Teruzzi: «ucciso, a quanto pare, da briganti cinesi nel distretto di Cairn». Le prime relazioni dell'accaduto sono molto lacunose e ignorano la data, il luogo e i particolari del delitto. Tutte si basano su un semplice rapporto scritto in latino, probabilmente di un prete cinese e datato 3 dicembre 1942, che dice: «Otto giorni fa, o anche prima, Han Ah Kung (il custode della chiesa di Cairn) ha consigliato a p. Teruzzi di non andare in giro a visitare i piccoli villaggi perché le yiu-kit-dui (squadre di guerriglieri) lo consideravano un traditore della Cina; però p. Teruzzi ha risposto di non essere un traditore, ma di curare semplicemente le anime dei cristiani e di non avere perciò nulla da temere. Quello stesso giorno si recò a visitare Taitung, Tsengtau e Wukaisa, dicendo che sarebbe rientrato dopo due giorni. Non è più tornato. Ieri sera un cristiano dell'isola, che fa commercio a Cairn disse ad Ah Kung che p. Teruzzi era stato ucciso. Il cadavere era già stato trovato e sepolto, ma dove, quando e come non lo sa». Notizie avute in seguito da testimoni aiutano a ricostruire quanto accaduto. P. Emilio è stato catturato mentre si preparava a celebrare l'Eucaristia in una casa di cristiani. Condotto in mare su una barca, lì è stato ucciso a colpi di pietra sulla testa il 26 novembre 1942.