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GIAPPONE

 

Il lavoro missionario in questo Paese richiede un grosso sforzo per l'apprendimento della lingua,  al quale si accompagna un lavoro di «conversione» intellettuale ed emotiva molto impegnativo e ininterrotto. Le difficoltà, tuttavia, non hanno mai costituito un ostacolo insormontabile sul cammino missionario, che è stato proseguito con costanza raggiungendo mete importanti nonostante qualche incidente lungo la via. La presenza e il lavoro dei missionari del PIME in Giappone sono passati attraverso tre tappe. La prima (1951-1971) è stata quella del dissodamento. La prima generazione dei missionari del Pime in Giappone ha lavorato in situazioni di grande disagio. La prefettura di Yamanashi" e quella di Saga, le due regioni loro affidate, erano tra le più disagiate del Paese, materialmente e spiritualmente; la prima, parte della diocesi di Yokohama, si trova in una zona montagnosa a un centinaio di chilometri da Tokyo; la seconda, . parte della diocesi di Fukuoka, è situata in una zona agricola dell'isola del Kyushu, a circa 1.200 chilometri daila capitale. I primi quattro missionari che, a due a due, vi hanno lavorato, hanno trovato solo due chiese nei rispettivi capoluoghi, affiancate da residenze piuttosto traballanti; le tasche dei padri erano vuote e quasi nulle erano le speranze di un sostegno economico da parte dell'Istituto che allora denari non ne aveva; il sussidio delle Pontificie opere missionarie di Roma era a mala pena sufficiente per sopravvivere. Nonostante questo, dopo solo dieci anni di presenza in Giappone, avevano già costruito sette chiese nella prefettura di Saga, una per ogni città, e quattro in quella di Yamanashi, tutte affiancate da graziósi asili che si sono rivelati efficaci strumenti di pre-evangelizzazione per i bambini e, più ancora, per le loro giovani madri.

La fede, l'entusiasmo e lo spirito di sacrificio dei missionari hanno fatto il miracolo. Ancora più penosa era la situazione spirituale. Ambedue le zone erano abitate da contadini, tendenzialmente sospettosi di ogni novità e con un'antipatia viscerale verso il cristianesimo, instillata nei loro cuori da una diffamatoria e sistematica propaganda governativa, vecchia di oltre 200 anrú. Molto probabilmente non avevano mai visto stranieri: i nostri erano i primi e gli unici che incontravano. Ma la fatica del dissodamento non fu vana: i pochi cristiani trovati nei capoluoghi delle due regioni, Kofu e Saga, aumentarono fino a circa 900 nei primi 9 anni di lavoro. La seconda tappa (1972-1984) è stata quella dello sviluppo e delle «vie nuove». Il cammino non è stato meno doloroso di quello precedente; la sofferenza, questa volta, è stata causata dai cambiamenti rapidi e massicci avvenuti sia in seno alla società giapponese, con l'urbanesimo e l'industrializzazione.

La terza tappa (1984-1998) è quella del connubio culturale. I recenti documenti della conferenza episcopale portano il vocabolo 'dappi' che significa 'cambiare pelle'