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Pronti a partire          

Tre indiani e tre italiani: sono i diaconi del Pime che verranno ordinati sacerdoti nei prossimi mesi.

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Mathew Sobin Kaniamparambil, dal Kerala, in India, dopo aver trascorso i primi anni della sua formazione nel seminario regionale, sceglie di entrare nel Pime. Approfondisce la spiritualità del nostro istituto e quindi viene mandato nel seminario di Tagaytay, nelle Filippine, dove studia teologia. Ha svolto il suo apostolato con i pescatori e nelle baraccopoli intorno a Manila. Uomo creativo, è capace di cogliere e di valorizzare la bellezza delle situazioni e delle persone incontrate lungo il cammino. Siamo certi che anche nel suo futuro missionario questo talento lo aiuterà a riconoscere il Signore che opera nei luoghi in cui sarà mandato.
Vijay Kumar Raja Chatragadda, indiano dell’Andhra Pradesh, nasce e cresce in un piccolo villaggio, e scopre la sua vocazione grazie alla presenza dei missionari del Pime presenti nella sua diocesi. Grazie alla sua sonora risata e al carattere allegro, trasmette entusiasmo a chi lo circonda, prima a Mumbai, dove svolge un anno di pastorale con i bambini di strada, e poi nelle Filippine, nelle parrocchie in cui fa apostolato. Sebbene piccolo di statura, saprà sicuramente far arrivare la Buona Novella a coloro con cui verrà in contatto.
Lourenço Braz de Oliveira, originario del Brasile, dopo aver studiato all’università, entra nel Pime nel seminario di Brusque. Tre anni dopo parte per gli Stati Uniti e a Detroit impara l’inglese. Molto dotato per le lingue, non appena arrivato nelle Filippine, si dedica al tagalog, idioma locale, per poter comunicare coi poveri delle baraccopoli dove svolge il suo ministero. Noi lo ricordiamo soprattutto per il sorriso con il quale riesce a spargere simpatia intorno a sé. Spesso lo abbiamo visto circondato da bambini in festa a cui insegna chi è Gesù, giocando, ridendo e scherzando con loro. Lourenço sarà un segno di gioia dovunque il Signore lo vorrà a seminare la Sua Parola.

 Se in seminario non ci fosse una persona come don Stefano Ferrari, beh, bisognerebbe fare di tutto per inventarla! La sua presenza, infatti, non passa inosservata, non solo per la sua mole (anche se lui pensa di essere solo “statuario” e non robusto…), ma soprattutto per il suo amore per il Signore e per la missione.
Quando, due anni fa, mi comunicò che avrebbe fatto il primo anno di diaconato in Brasile il mio sgomento è stato enorme; lo conoscevo soltanto da un anno, ma sono quei rapporti che nascono in un istante e di cui capisci subito la bellezza e l’importanza. Non solo abbiamo scoperto di avere delle “passioni” in comune, Assisi in primo luogo, ma abbiamo saputo comprenderci e accettarci nonostante la grande diversità di carattere. Questo perché alla base dei nostri discorsi e della  nostra amicizia, da subito, c’è stata la condivisione di quell’amore per la missione di cui accennavo prima.
Ora che diventa sacerdote, il solo augurio che mi sento di fargli è quello di rimanere sempre così, con quell’entusiasmo nel “fare le cose di Dio” che lo rendono veramente grande agli occhi di Colui che lo vuole per sé.

Quando sono arrivato a Monza dal seminario di Roma, non potevo non notare, tra i compagni di seminario non italiani, un indiano molto “ieratico” e dall’aspetto severo… Era John Baskeran Berchman. Mi incuteva un certo timore “reverenziale”, tanto che mi sono chiesto subito se mai sarei riuscito, un giorno, ad “avvicinarlo”. E l’occasione è arrivata quando siamo capitati nello stesso gruppo di vita. Allora le cose sono veramente cambiate. In quel momento ho capito che la mia mente era piena di pregiudizi. Ho scoperto come la ricchezza di una cultura diversa mi metteva in contatto con un mondo, oserei dire, così trascendentale che fino a quel momento non avevo ancora conosciuto.
Ora posso dire che in John ciò che vedevo non era, passatemi il termine, superbia, ma l’espressione di un mondo, l’India, che mi piace identificare con il “divino”, la capacità cioè di vedere Dio in ogni cosa.
No, John non è un angelo, ha i suoi bei difetti come tutti, ma ha la grande capacità di farti sentire a tuo agio in una dimensione di pace che pochi sanno infondere.
Al momento in cui scrivo non so ancora dove destineranno John, ma sicuramente, dovunque andrà, porterà quella pace, la Pace vera, che il Signore Gesù ha promesso a chi avrebbe creduto in Lui.

a cura di Valerio Sala

Franco Beati viene da Castiglione Olona (VA), un paese confinante con Venegono Inferiore. Nel 1993, subito dopo la terza media, entra nella comunità del seminario minore di Venegono, dove rimane per 11 anni. Dopo aver studiato teologia nel seminario di Seveso, arriva al Pime nel 2004. Franco ha sentito la vocazione missionaria fin dal primo anno di seminario minore, ascoltando le testimonianze dei missionari o missionarie che passavano di lì. La frase evangelica che lo guida è «dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13). Ed è stata proprio questa frase a sostenere il suo desiderio missionario. Franco, nell’anno di spiritualità che abbiamo fatto insieme a Roma, è sempre stato disponibile ad aiutare chi era in difficoltà. Soprattutto per noi, che facevamo un po’ fatica con l’italiano, lui era di esempio dimostrandoci che, senza la preghiera, seguire Cristo o condurre una vita missionaria è impossibile. Franco è molto simpatico e riesce a stare con tutti, nonostante le diverse nazionalità. Ha una grande voglia di andare in missione: subito dopo la promessa definitiva e l’ordinazione diaconale è partito per Lisbona per imparare il portoghese, lingua parlata in Guinea Bissau, la missione a cui è stato destinato.
a cura di Stephen Khu Du
 

Fonte:  Missionari del Pime

 

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