...Non
faccio che stare con loro...
«Non
faccio che stare con loro», confessa padre Silvano
Zoccarato, in Algeria da poco più di un anno. Una vita
semplice, la sua, che sa di Vangelo. Quello di un Dio che,
una notte, ha cercato una casa per potervi abitare. In mezzo
a noi. di padre Silvano Zoccarato
(PIME)
Il profeta Isaia presenta la pace con
l’immagine dell’agnello che gioca col lupo.
Questa immagine mi aiuta a capire
quanto sto vivendo a Touggourt in pieno deserto d’Algeria,
unico europeo e unico cristiano in mezzo a musulmani.
Celebro la messa con le Piccole
Sorelle di Gesù e con l’unico cristiano algerino studente
universitario, quando è in vacanza.
All’inizio avevo paura di tutto, ma
poi, uscito in strada per pagare una fattura, subito mi si
è avvicinato un signore per salutarmi tutto felice di
vedere ancora un missionario a Touggourt, dopo che da vari
anni i Padri Bianchi avevano lasciato la città-oasi.
E poi tanti altri per la strada si
felicitavano con me comunicandomi la nostalgia degli anni in
cui andavano a scuola dai missionari o insegnavano assieme a
loro. Certo, essi portano i segni di una società ferita da
tanti momenti difficili, dal terrorismo, da crudeltà
feroci, e spesso si guardano in giro per paura di essere
visti a colloquiare con me.
Un giorno il fornaio davanti alla mia
casa non ha più pane e vado a comprarlo altrove. Rientrato,
sento il campanello e vado alla porta. Non faccio in tempo a
guardare il volto della persona. In mano ho un lungo pane
fresco.
Mi commuovo. Nella mia vita ho sempre
dato agli altri. Ora sono io alla porta con un pane in
mano.
Alcuni giorni dopo, il gas non arriva
per lavori in corso. I vicini se ne accorgono e a
mezzogiorno in punto qualcuno suona. Mi mette tra le mani un
vassoio col cous cous, sugo di verdure e carne, pane, una
bottiglia di aranciata e una mela.
La chiesa è chiusa ed è affidata ai
musulmani per opere sociali. Riparando la cupola, la croce
è messa da parte e per un po’ di tempo non la si vede
più. I vicini se ne accorgono e si danno da fare: ora la
croce è ancora lì, l’unica croce in tutta Touggourt.
Mi domando: come mai tanta bontà? La
popolazione araba, berbera, tuareg, beduina ha in cuore una
grande fierezza per la vita dura e pericolosa nel deserto,
ma nello stesso tempo una bontà e una nobiltà squisite
verso gli ospiti. In più la religione musulmana, ben
vissuta, ha coltivato la fede in Dio, la bontà, la
solidarietà, l’accoglienza e l’aiuto ai poveri.
E non va dimenticato, dicono loro,
quanto hanno ricevuto dai missionari, quando questi potevano
insegnare nelle scuole e donarsi a tante opere sociali. In
più sono tuttora presenti le Piccole Sorelle di Gesù. Ora
io posso beneficiare di questo ambiente pieno di
riconoscenza e affetto.
Mi sembra di essere come un bambino
aiutato in tutto: non faccio che stare con loro, lasciarmi
insegnare l’arabo, salutare tutti, scherzare in mille
modi. Sono contenti di vedermi e me lo dicono. Forse perché
il mio stare con loro li aiuta a distrarsi dalle
preoccupazioni, distendersi dalle paure e dal clima di
tensione, di sospetti, di sfiducia reciproca.
Per quanto riguarda il rapporto con i
musulmani, la legge mi proibisce ogni attività intesa a
convertire. La Chiesa in Algeria è stata spogliata di
tutto: chiese, opere sociali, ecc. È lì come ospite, ma
ancora con la sua missione di “essere presente” e di “accompagnare”
gli algerini nel loro difficile cammino.
Ad alto livello non riusciamo ad
ascoltarci, a capirci, a trovare punti in comune, ma nella
semplicità della vita quotidiana, volendoci bene e
lasciandoci voler bene, si arriva presto a superare
pregiudizi, a comunicare le cose buone delle nostre
religioni e culture, arrivando alla stessa conclusione: che
preghiamo un solo Dio e siamo fratelli.
Per secoli musulmani e cristiani si
sono visti come nemici. Oggi bisogna cambiare. A Touggourt,
con i miei confratelli padre Davide e padre Emmanuele, non
facciamo altro che voler bene e lasciaci voler bene.
I grandi della terra non hanno la
fortuna di farsi piccoli e giocano alla guerra. Un giorno
saranno i piccoli a vincere, quelli che giocano alla pace.
FONTE: MISSIONARI
DEL PIME
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