"...
Noi annunciamo Cristo
crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani;
ma per coloro che sono chiamati, ... Cristo è potenza di
Dio e sapienza di Dio" (1Cor 1,23-24).
Angelus di Papa Benedetto alla vigilia del suo
viaggio apostolico in Africa (17
marzo 2009)
Cari fratelli
e sorelle!
Da martedì 17 a
lunedì 23 marzo compirò il mio primo viaggio apostolico in
Africa. Mi recherò in Camerun, nella capitale Yaoundé, per
consegnare lo "Strumento di lavoro" della Seconda
Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi,
che avrà luogo in ottobre qui in Vaticano; proseguirò poi
per Luanda, capitale dell’Angola, un Paese che, dopo la
lunga guerra interna, ha ritrovato la pace ed ora è
chiamato a ricostruirsi nella giustizia. Con questa visita,
intendo idealmente abbracciare l’intero continente
africano: le sue mille differenze e la sua profonda anima
religiosa; le sue antiche culture e il suo faticoso cammino
di sviluppo e di riconciliazione; i suoi gravi problemi, le
sue dolorose ferite e le sue enormi potenzialità e
speranze. Intendo confermare nella fede i cattolici,
incoraggiare i cristiani nell’impegno ecumenico, recare a
tutti l’annuncio di pace affidato alla Chiesa dal Signore
risorto.
Mentre
mi preparo per questo viaggio missionario, mi risuonano nell’animo
le parole dell’apostolo Paolo che la liturgia propone alla
nostra meditazione nell’odierna terza Domenica di
Quaresima: "Noi annunciamo Cristo crocifisso – scrive
l’Apostolo ai cristiani di Corinto - : scandalo per i
Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono
chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e
sapienza di Dio" (1Cor 1,23-24). Sì, cari fratelli e
sorelle! Parto per l’Africa con la consapevolezza di non
avere altro da proporre e donare a quanti incontrerò se non
Cristo e la Buona Novella della sua Croce, mistero di amore
supremo, di amore divino che vince ogni umana resistenza e
rende possibile persino il perdono e l’amore per i nemici.
Questa è la grazia del Vangelo capace di trasformare il
mondo; questa è la grazia che può rinnovare anche l’Africa,
perché genera una irresistibile forza di pace e di
riconciliazione profonda e radicale. La Chiesa non persegue
dunque obbiettivi economici, sociali e politici; la Chiesa
annuncia Cristo, certa che il Vangelo può toccare i cuori
di tutti e trasformarli, rinnovando in tal modo dal di
dentro le persona e le società.
Il 19
marzo, proprio durante la visita pastorale in Africa,
celebreremo la solennità di San Giuseppe, patrono della
Chiesa universale, e anche mio personale. San Giuseppe,
avvertito in sogno da un angelo, dovette fuggire con Maria
in Egitto, in Africa, per mettere in salvo Gesù appena
nato, che il re Erode voleva uccidere. Si adempirono così
le Scritture: Gesù ha calcato le orme degli antichi
patriarchi e, come il popolo d’Israele, è rientrato nella
Terra promessa dopo essere stato in esilio in Egitto. Alla
celeste intercessione di questo grande Santo affido il
prossimo pellegrinaggio e le popolazioni dell’Africa tutta
intera, con le sfide che le segnano e le speranze che le
animano. In particolare, penso alle vittime della fame,
delle malattie, delle ingiustizie, dei conflitti fratricidi
e di ogni forma di violenza che purtroppo continua a colpire
adulti e bambini, senza risparmiare missionari, sacerdoti,
religiosi, religiose e volontari.
Fratelli e sorelle, accompagnatemi in questo viaggio con la
vostra preghiera, invocando Maria, Madre e Regina dell’Africa.
Intervista
del Papa durante il volo verso l'Africa
P. Lombardi:
Santità, benvenuto in mezzo al gruppo dei colleghi: siamo
una settantina che ci stiamo accingendo a vivere questo
viaggio con Lei. Le facciamo i migliori auguri e speriamo di
poterLa accompagnare con il nostro servizio, in modo tale da
far partecipare anche tante altre persone a questa
avventura. Come al solito, noi Le siamo molto grati per la
conversazione che adesso ci concede; l’abbiamo prepara ta
raccogliendo, nei giorni scorsi, un certo numero di domande
da parte dei colleghi – ne ho ricevute una trentina – e
poi ne abbiamo scelte alcune che potessero presentare un
discorso un po’ completo su questo viaggio e che potessero
interessare tutti; e Le siamo molto grati per le risposte
che ci darà. La prima domanda, la pone il nostro collega
Lucio Brunelli, della televisione italiana, che si trova
qui, alla nostra destra:
Domanda: Buongiorno.
Santità, da tempo – e in particolare, dopo la Sua ultima
lettera ai Vescovi del mondo – molti giornali parlano di
‘solitudine del Papa’. Ecco: Lei che cosa ne pensa? Si
sente davvero solo? E con quali sentimenti, dopo le recenti
vicende, ora vola verso l’Africa con noi?
Papa: Per dire la
verità, devo dire che mi viene un po’ da ridere su questo
mito della mia solitudine: in nessun modo mi sento solo.
Ogni giorno ricevo nelle visite di tabella i collaboratori
più stretti, incominciando dal Segretario di Stato fino
alla Congregazione di Propaganda Fide, eccetera; vedo poi
tutti i Capi Dicastero regolarmente, ogni giorno ricevo
Vescovi in visita ad Limina – ultimamente tutti i Vescovi,
uno dopo l’altro, della Nigeria, poi i Vescovi dell’Argentina
… Abbiamo avuto due Plenarie in questi giorni, una della
Congregazione per il Culto Divino e l’altra della
Congregazione per il Clero, e poi colloqui amichevoli; una
rete di amicizia, anche i miei compagni di Messa dalla
Germania sono venuti recentemente per un giorno, per
chiacchierare con me … Allora, dunque, la solitudine non
è un problema, sono realmente circondato da amici in una
splendida collaborazione con Vescovi, con collaboratori, con
laici e sono grato per questo. In Africa vado con grande
gioia: io amo l’Africa, ho tanti amici africani già dai
tempi in cui ero professore fino a tutt’oggi; amo la gioia
della fede, questa gioiosa fede che si trova in Africa. Voi
sapete che il mandato del Signore per il successore di
Pietro è "confermare i fratelli nella fede": io
cerco di farlo. Ma sono sicuro che tornerò io stesso
confermato dai fratelli, contagiato – per così dire –
dalla loro gioiosa fede.
P. Lombardi: La
seconda domanda viene fatta da John Thavis, responsabile
della sezione romana dell’agenzia di notizie cattolica
degli Stati Uniti:
Domanda: Santità,
Lei va in viaggio in Africa mentre è in corso una crisi
economica mondiale che ha i suoi riflessi anche sui Paesi
poveri. Peraltro, l’Africa in questo momento deve
affrontare una crisi alimentare. Vorrei chiedere tre cose:
questa situazione troverà eco nel Suo viaggio? E: Lei si
rivolgerà alla comunità internazionale affinché si faccia
carico dei problemi dell’Africa? E, la terza cosa, si
parlerà di questi problemi anche nell’Enciclica che sta
preparando?
Papa: Grazie per la
domanda. Naturalmente, io non vado in Africa con un
programma politico-economico, per cui mi mancherebbe la
competenza. Vado con un programma religioso, di fede, di
morale, ma proprio questo è anche un contributo essenziale
al problema della crisi economica che viviamo in questo
momento. Tutti sappiamo che un elemento fondamentale della
crisi è proprio un deficit di etica nelle strutture
economiche; si è capito che l’etica non è una cosa ‘fuori’
dall’economia, ma ‘dentro’ e che l’economia non
funziona se non porta in sé l’elemento etico. Perciò,
parlando di Dio e parlando dei grandi valori spirituali che
costituiscono la vita cristiana, cercherò di dare un
contributo proprio anche per superare questa crisi, per
rinnovare il sistema economico dal di dentro, dove sta il
punto della vera crisi. E, naturalmente, farò appello alla
solidarietà internazionale: la Chiesa è cattolica, cioè
universale, aperta a tutte le culture, a tutti i continenti;
è presente in tutti i sistemi politici e così la
solidarietà è un principio interno, fondamentale per il
cattolicesimo. Vorrei rivolgere naturalmente un appello
innanzitutto alla solidarietà cattolica stessa,
estendendolo però anche alla solidarietà di tutti coloro
che vedono la loro responsabilità nella società umana di
oggi. Ovviamente parlerò di questo anche nell’Enciclica:
questo è un motivo del ritardo. Eravamo quasi arrivati a
pubblicarla, quando si è scatenata questa crisi e abbiamo
ripreso il testo per rispondere più adeguatamente, nell’ambito
delle nostre competenze, nell’ambito della Dottrina
sociale della Chiesa, ma con riferimento agli elementi reali
della crisi attuale. Così spero che l’Enciclica possa
anche essere un elemento, una forza per superare la
difficile situazione presente.
P. Lombardi:
Santità, la terza domanda ci viene posta dalla nostra
collega Isabelle de Gaulmyn, de "La Croix":
Domanda: Très Saint
Père, bon jour. Faccio la domanda in italiano, ma se
gentilmente può rispondere in francese … Il Consiglio
speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi ha chiesto
che la forte crescita quantitativa della Chiesa africana
diventi anche una crescita qualitativa. A volte, i
responsabili della Chiesa sono considerati come un gruppo di
ricchi e privilegiati e i loro comportamenti non sono
coerenti con l’annuncio del Vangelo. Lei inviterà la
Chiesa in Africa ad un impegno di esame di coscienza e di
purificazione delle sue strutture?
Papa: J’essa yerai,
si c’est possible, de parler en français. J’ai une
vision plus positive de l’Eglise en Afrique : c’est une
Eglise très proche des pauvres, une Eglise avec les
souffrants, avec des personnes qui ont besoin d’aide et
donc il me semble que l’Eglise est réellement une
institution qui fonctionne encore, alors que d’autres
structures ne fonctionnent plus, et avec son système d’éducation,
d’hôpitaux, d’aide, dans toutes ces situations, elle
est présente dans le monde des pauvres et des souffrants.
Naturellement, le pêché originel est présent aussi dans l’Eglise
; il n’y a pas une société parfaite et donc il y a aussi
des pêcheurs et des déficiences dans l’Eglise en Afrique,
et dans ce sens un examen de conscience, une purification
intérieure est toujours nécessaire, et je rappellerais
auss i dans ce sens la liturgie eucharistique: on commence
toujours avec une purification de la conscience, et un
nouveau commencement devant la présence du Seigneur. Et je
dirais plus qu’une purification des structures, qui est
toujours aussi nécessaire, une purification des cœurs est
nécessaire, parce que les structures sont le reflet des cœurs,
et nous faisons notre possible pour donner une nouvelle
force à la spiritualité, à la présence de Dieu dans
notre cœur, soit pour purifier les structures de l’Eglise,
soit aussi pour aider la purification des structures de la
société.
P. Lombardi: Adesso,
una domanda che viene dalla componente tedesca di questo
gruppo di giornalisti: è Christa Kramer che rappresenta il
Sankt Ulrich Verlag, che ci fa la domanda:
Domanda: Heiliger
Vater, gute Reise! Padre Lombardi mi ha detto di parlare in
italiano, così faccio la domanda in italiano. Quando Lei si
rivolge all’Europa, parla spesso di un orizzonte dal quale
Dio sembra scomparire. In Africa non è così, ma vi è una
presenza aggressiva delle sètte, vi sono le religioni
tradizionali africane. Qual è allora la specificità del
messaggio della Chiesa cattolica che Lei vuole presentare in
questo contesto?
Papa: Allora, prima
riconosciamo tutti che in Africa il problema dell’ateismo
quasi non si pone, perché la realtà di Dio è così
presente, così reale nel cuore degli africani che non
credere in Dio, vivere senza Dio non appare una tentazione.
E’ vero che ci sono anche i problemi delle sètte: non
annunciamo, noi, come fanno alcuni di loro, un Vangelo di
prosperità, ma un realismo cristiano; non annunciamo
miracoli, come alcuni fanno, ma la sobrietà della vita
cristiana. Siamo convinti che tutta questa sobrietà, questo
realismo che annuncia un Dio che si è fatto uomo, quindi un
Dio profondamente umano, un Dio che soffre, anche, con noi,
dà un senso alla nostra sofferenza per un annuncio con un
orizzonte più vasto, che ha più futuro. E sappiamo che
queste sètte non sono molto stabili nella loro consistenza:
sul momento può fare bene l’annuncio della prosperità,
di guarigioni miracolose ecc., ma dopo un po’ di tempo si
vede che la vita è difficile, che un Dio umano, un Dio che
soffre con noi è più convincente, più vero, e offre un
più grande aiuto per la vita. E’ importante, anche, che
noi abbiamo la struttura della Chiesa cattolica. Annunciamo
non un piccolo gruppo che dopo un certo tempo si isola e si
perde, ma entriamo in questa grande rete universale della
cattolicità, non solo trans-temporale, ma presente
soprattutto come una grande rete di amicizia che ci unisce e
ci aiuta anche a superare l’individualismo per giungere a
questa unità nella diversità, che è la vera promessa.
P. Lombardi: E ora,
diamo di nuovo la parola ad una voce francese: è il nostro
collega Philippe Visseyrias di France 2:
Domanda: Santità,
tra i molti mali che travagliano l’Africa, vi è anche e
in particolare quello della diffusione dell’Aids. La
posizione della Chiesa cattolica sul modo di lottare contro
di esso viene spesso considerata non realistica e non
efficace. Lei affronterà questo tema, durante il viaggio?
Très Saint Père, Vous serait-il possible de répondre en
français à cette question?
Papa: Io direi il
contrario: penso che la realtà più efficiente, più
presente sul fronte della lotta contro l’Aids sia proprio
la Chiesa cattolica, con i suoi movimenti , con le sue
diverse realtà. Penso alla Comunità di Sant’Egidio che
fa tanto, visibilmente e anche invisibilmente, per la lotta
contro l’Aids, ai Camilliani, a tutte le Suore che sono a
disposizione dei malati … Direi che non si può superare
questo problema dell’Aids solo con slogan pubblicitari. Se
non c’è l’anima, se gli africani non si aiutano, non si
può risolvere il flagello con la distribuzione di
profilattici: al contrario, il rischio è di aumentare il
problema. La soluzione può trovarsi solo in un duplice
impegno: il primo, una umanizzazione della sessualità,
cioè un rinnovo spirituale e umano che porti con sé un
nuovo modo di comportarsi l’uno con l’altro, e secondo,
una vera amicizia anche e soprattutto per le persone
sofferenti, la disponibilità, anche con sacrifici, con
rinunce personali, ad essere con i sofferenti. E questi sono
i fattori che ai utano e che portano visibili progressi.
Perciò, direi questa nostra duplice forza di rinnovare l’uomo
interiormente, di dare forza spirituale e umana per un
comportamento giusto nei confronti del proprio corpo e di
quello dell’altro, e questa capacità di soffrire con i
sofferenti, di rimanere presente nelle situazioni di prova.
Mi sembra che questa sia la giusta risposta, e la Chiesa fa
questo e così offre un contributo grandissimo ed
importante. Ringraziamo tutti coloro che lo fanno.
P. Lombardi: E ora,
un’ultima domanda che viene addirittura dal Cile, perché
noi siamo quindi molto internazionali: abbiamo anche la
corrispondente della televisione cattolica cilena con noi. E
le diamo la voce per l’ultima domanda: Maria Burgos ...
Domanda: Grazie,
padre Lombardi. Santità, quali segni di speranza vede la
Chiesa nel Continente africano? E: Lei pensa di poter
rivolgere all’Africa un messaggio di speranza?
Papa: La nostra fede
è speranza per definizione: lo dice la Sacra Scrittura. E
perciò, chi porta la fede è convinto di portare anche la
speranza. Mi sembra, nonostante tutti i problemi che
conosciamo bene, che ci siano grandi segni di speranza.
Nuovi governi, nuova disponibilità di collaborazione, lotta
contro la corruzione – un grande male che dev’essere
superato! – e anche l’apertura delle religioni
tradizionali alla fede cristiana, perché nelle religioni
tradizionali tutti conoscono Dio, l’unico Dio, ma appare
un po’ lontano. Aspettano che si avvicini. E’ nell’annuncio
del Dio fattosi Uomo che queste si riconoscono: Dio si è
realmente avvicinato. Poi, la Chiesa cattolica ha tanto in
comune: diciamo, il culto degli antenati trova la sua
risposta nella comunione dei santi, nel purgatorio. I santi
non sono solo i canonizzati, sono tutti i nostr i morti. E
così, nel Corpo di Cristo si realizza proprio anche quanto
intuiva il culto degli antenati. E così via. Così c’è
un incontro profondo che dà realmente speranza. E cresce
anche il dialogo interreligioso – ho parlato io adesso con
più della metà dei vescovi africani, e le relazioni con i
musulmani, nonostante i problemi che si possono verificare,
sono molto promettenti, essi mi hanno detto; il dialogo
cresce nel rispetto reciproco e la collaborazione nelle
comuni responsabilità etiche. E del resto anche cresce
questo senso di cattolicità che aiuta a superare il
tribalismo, uno dei grandi problemi, e ne scaturisce la
gioia di essere cristiani. Un problema delle religioni
tradizionali è la paura degli spiriti. Uno dei Vescovi
africani mi ha detto: uno è realmente convertito al
cristianesimo, è divenuto pienamente cristiano quando sa
che Cristo è realmente più for te. Non c’è più paura.
E anche questo è un fenomeno in crescita. Così, direi, con
tanti elementi e problemi che non possono mancare, crescono
le forze spirituali, economiche, umane che ci danno
speranza, e vorrei proprio mettere in luce gli elementi di
speranza.
P. Lombardi: Grazie
mille, Santità, del tempo che ci ha dato, delle cose che ci
ha detto. E’ una ottima introduzione per seguire il Suo
viaggio con molto entusiasmo. Ci daremo veramente da fare
per allargare il Suo messaggio a tutto il Continente e a
tutti i nostri lettori ed ascoltatori.
Discorso del Papa ai
rappresentanti musulmani del Camerun
YAOUNDÉ, giovedì, 19 marzo 2009
Cari
amici,
lieto dell’occasione
che mi è data di incontrare rappresentanti della comunità
musulmana in Camerun, esprimo il mio cordiale ringraziamento
al Signor Amadou Bello per le gentili parole rivoltemi in
vostro nome. Il nostro incontro è un segno eloquente del
desiderio che condividiamo con tutti gli uomini di buona
volontà – in Camerun, nell’intera Africa e in tutto il
mondo – di cercare occasioni per scambiare idee su come la
religione rechi un contributo essenziale alla nostra
comprensione della cultura e del mondo ed alla coesistenza
pacifica di tutti i membri della famiglia umana. Iniziative
in Camerun come l’Association Camerounaise pour le
Dialogue Interreligieux mostrano come tale dialogo accresca
la comprensione vicendevole e sostenga la formazione di un
ordine politico stabile e giusto.
Il Camerun è
la Patria di migliaia di cristiani e di musulmani, che
spesso vivono, lavorano e praticano la loro fede nello
stesso ambiente. I seguaci tanto dell’una quanto dell’altra
religione credono in un Dio unico e misericordioso, che nel
nell’ultimo giorno giudicherà l’umanità (cfr Lumen
gentium, 16). Insieme essi offrono testimonianza dei valori
fondamentali della famiglia, della responsabilità sociale,
dell’obbedienza alla legge di Dio e dell’amore verso i
malati e i sofferenti. Plasmando la loro vita secondo queste
virt&ugrav e; e insegnandole ai giovani, cristiani e
musulmani non solo mostrano come favoriscono il pieno
sviluppo della persona umana, ma anche come stringono legami
di solidarietà con i loro vicini e promuovono il bene
comune.
Amici, io
credo che oggi un compito particolarmente urgente della
religione è di rendere manifesto il vasto potenziale della
ragione umana, che è essa stessa un dono di Dio ed è
elevata mediante la rivelazione e la fede. Credere in Dio,
lungi dal pregiudicare la nostra capacità di comprendere
noi stessi e il mondo, la dilata. Lungi dal metterci contro
il mondo, ci impegna per esso. Siamo chiamati ad aiutare gli
altri nello scoprire le tracce discrete e la presenza
misteriosa di Dio nel mondo, che Egli ha creato in modo
meraviglioso e sostiene con il suo ineffabile amore che
abbraccia tutto. Anche se la sua gloria infinita non può
mai essere direttamente afferrata in questa vita dalla
nostra mente finita, possiamo tutt avia raccoglierne barlumi
nella bellezza che ci circonda. Se gli uomini e le donne
consentono all’ordine magnifico del mondo e allo splendore
della dignità umana di illuminare la loro mente, essi
possono scoprire che ciò che è "ragionevole" va
ben oltre ciò che la matematica può calcolare, la logica
può dedurre e gli esperimenti scientifici possono
dimostrare; il "ragionevole" include anche la
bontà e l’intrinseca attrattiva di un vivere onesto e
secondo l’etica, manifestato a noi mediante lo stesso
linguaggio della creazione.
Questa
visione ci induce a cercare tutto ciò che è retto e
giusto, ad uscire dall’ambito ristretto del nostro
interesse egoistico e ad agire per il bene degli altri. In
questo modo una religione genuina allarga l’orizzonte
della comprensione umana e sta alla base di ogni autentica
cultura umana. Essa rifiuta tutte le forme di violenza e di
totalitarismo: non solo per principi di fede, ma anche in
base alla retta ragione. In realtà, religione e ragione si
sostengono a vicenda, dal momento che la religione è
purificata e strutturata dalla ragione e il pieno potenziale
della ragione viene liberato mediante la rivelazione e la
fede.
Per questo vi
incoraggio, cari amici musulmani, a penetrare la società
con i valori che emergono da questa prospettiva ed
accrescono la cultura umana, così come insieme lavoriamo
per edificare una civiltà dell’amore. Che l’entusiastica
cooperazione tra musulmani, cattolici ed altri cristiani in
Camerun sia per le altre nazioni africane un faro luminoso
sul potenziale enorme di un impegno interreligioso per la
pace, la giustizia e il bene comune!
Con questi
sentimenti esprimo ancora una volta la mia gratitudine per
questa promettente opportunità di incontrarvi durante la
mia visita in Camerun. Ringrazio Dio onnipotente p er le
benedizioni che Egli ha concesso a voi e ai vostri
concittadini e prego affinché i legami che uniscono
cristiani e musulmani nella loro profonda venerazione dell’unico
Dio continuino a rafforzarsi così che essi diventino un
riflesso più chiaro della saggezza dell’Onnipotente che
illumina i cuori dell’intera umanità.
CELEBRAZIONE
EUCARISTICA Stadio
Amadou Ahidjo di Yaoundé.
Giovedì, 19 marzo 2009
OMELIA
DEL PAPA
Cari Fratelli
nell’Episcopato, Cari fratelli e sorelle,
sia lodato Gesù
Cristo che ci riunisce oggi in questo stadio, per farci
penetrare più profondamente nella sua vita! Gesù Cristo ci
raduna in questo giorno in cui la Chiesa, qui in Camerun
come su tutta la terra, celebra la festa di san Giuseppe,
sposo della Vergine Maria. Inizio coll’augurare un’ottima
festa a tutti coloro che, come me, hanno ricevuto la grazia
di portare questo bel nome, e chiedo a san Giuseppe di
accordare loro una protezione speciale guidandoli verso il
Signore Gesù Cristo tutti i giorni della loro vita. Saluto
anche le parrocchie, le scuole e i collegi, le istituzioni
che portano il nome di san Giuseppe. Ringrazio Mons. Tonyé
Bakot, Arcivescovo di Yaoundé, per le sue gentili parole e
rivolgo un saluto caloroso ai rappresentanti delle
Conferenze Episcopali d’Africa venuti a Yaoundé in
occasione della pubblicazione dell’Instrumentum laboris
della Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo
dei Vescovi.
Come possiamo
entrare nella grazia specifica di questo giorno? Fra poco, a
conclusione della Messa, la liturgia ci svelerà il punto
culminane della nostra meditazione, quando ci farà dire:
«Con questo nutrimento ricevuto al tuo altare, Signore, hai
saziato la tua famiglia, gioiosa di festeggiare san
Giuseppe; custodiscila sempre sotto la tua protezione e
veglia sui doni che le hai fatto». Voi vedete, noi
domandiamo al Signore di custodire sempre la Chiesa sotto la
sua costante protezione – ed Egli lo fa! – esattamente
come Giuseppe ha protetto la sua famiglia e ha vegliato sui
primi anni di Gesù bambino.
Il Vangelo ce lo ha
appena ricordato. L’Angelo gli aveva detto: «Non temere
di prendere con te Maria, tua sposa» (Mt 1,20), ed è
esattamente quello che ha fatto: «Egli fece come gli aveva
ordinato l’angelo del Signore» (Mt 1,24). Perché san
Matteo ha tenuto ad annotare questa fedeltà alle parole
ricevute dal messaggero di Dio, se non per invitarci ad
imitare questa fedeltà piena di amore?
La prima lettura che
abbiamo appena ascoltato non parla esplicitamente di san
Giuseppe, ma ci dice molte cose su di lui. Il profeta Natan
va a dire a Davide su ordine del Signore stesso: «Io
susciterò un tuo discendente dopo di te» (2 Sam 7,12).
Davide deve accettare di morire senza vedere la
realizzazione di questa promessa, che si tradurrà in atto
«quando i suoi giorni saranno compiuti» ed egli dormirà
«con i suoi padri». Così vediamo che uno dei desideri
più cari dell’uomo, quello di essere testimone della
fecondità della sua azione, non è sempre esaudito da Dio.
Penso a quelli tra di voi che sono padri e madri di
famiglia: essi hanno molto legittimamente il desiderio di
dare il meglio di loro stessi ai lori figli e li vogliono
vedere pervenire ad una vera riuscita. Tuttavia, non bisogna
ingannarsi circa questa riuscita: quello che Dio domanda a
Davide è di darGli fiducia. Davide stesso non vedrà il suo
successore, colui che avrà un trono «stabile per sempre»
(2 Sam 7,16), perché questo successore annunciato sotto il
velo della profezia è Gesù. Davide si fida di Dio.
Ugualmente, Giuseppe dà fiducia a Dio quando ascolta il suo
messaggero, il suo Angelo, dirgli: «Giuseppe, figlio di
Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa.
Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo
Spirito Santo» (Mt 1,20). Giuseppe è, nella storia, l’uomo
che ha dato a Dio la più grande prova di fiducia, anche
davanti ad un annuncio così stupefacente.
E voi, cari padri e
madri di famiglia che mi ascoltate, avete fiducia in Dio che
fa di voi i padri e le madri dei suoi figli di adozione?
Accettate che Egli possa contare su di voi per trasmettere
ai vostri figli i valori umani e spirituali che avete
ricevuto e che li faranno vivere nell’amore e nel rispetto
del suo santo Nome? In questo nostro tempo, in cui tante
persone senza scrupoli cercano di imporre il regno del
denaro disprezzando i più indigenti, voi dovete essere
molto attenti. L’Africa in generale, ed il Camerun in
particolare, sono in pericolo se non riconoscono il Vero
Autore della Vita! Fratelli e sorelle del Camerun e dell’Africa,
voi che avete ricevuto da Dio tante qualità umane, abbiate
cura delle vostre anime! Non lasciatevi affascinare da false
glorie e da falsi ideali. Credete, si, continuate a credere
che Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, è il solo ad amarvi
come voi vi aspettate, che è il solo a potervi soddisfare,
a poter dare stabilità alle vostre vite. Cristo è l’unico
cammino di Vita.
Solo Dio poteva dare
a Giuseppe la forza di far credito all’angelo. Solo Dio vi
darà, cari fratelli e sorelle che siete sposati, la forza
di educare la vostra famiglia come Egli vuole.
DomandateGlielo! Dio ama che gli si domandi quello che egli
vuole donare. DomandateGli la grazia di un amore vero e
sempre più fedele, ad immagine del Suo amore. Come dice
magnificamente il Salmo: il suo «amore è edificato per
sempre, [la sua] fedeltà è più stabile dei cieli» (Sal
88, 3).
Come in altri
continenti, oggi la famiglia conosce effettivamente, nel
vostro Paese e nel resto dell’Africa, un periodo difficile
che la sua fedeltà a Dio l’aiuterà a superare. Alcuni
valori della vita tradizionale sono stati sconvolti. I
rapporti tra le generazioni si sono modificati in una
maniera tale da non favorire più come prima la trasmissione
della conoscenze antiche e della saggezza ereditata dagli
antenati. Troppo spesso si assiste ad un esodo rurale
paragonabile a quello che numerosi altri periodi umani hanno
conosciuto. La qualità dei legami familiari ne risulta
profondamente intaccata. Sradicati e resi più fragili, i
membri delle giovani generazioni, spesso –ahimè! - senza
un vero lavoro, cercano rimedi al loro male di vivere
rifugiandosi in paradisi effimeri e artificiali importati di
cui si sa che non arrivano mai ad assicurare all’uomo una
felicità profonda e duratura. A volte anche l’uomo
africano è costretto a fuggire fuori da se stesso, e ad
abbandonare tutto ciò che costituiva la sua ricchezza
interiore. Messo a confronto col fenomeno di una
urbanizzazione galoppante, egli abbandona la sua terra,
fisicamente e moralmente, non come Abramo per rispondere
alla chiamata del Signore, ma per una sorta di esilio
interiore che lo allontana dal suo stesso essere, dai suoi
fratelli e sorelle di sangue e da Dio stesso.
Vi è dunque una
fatalità, una evoluzione inevitabile? Certo che no! Più
che mai dobbiamo «sperare contro ogni speranza» (Rm 4,18).
Voglio rendere omaggio qui con ammirazione e riconoscenza al
notevole lavoro realizzato da innumerevoli associazioni che
incoraggiano la vita di fede e la pratica della carità. Ne
siano calorosamente ringraziate! Trovino nella Parola di Dio
un ritorno di forza per portare felicemente a termine tutti
i loro progetti al servizio di uno sviluppo integrale della
persona umana in Africa, e in particolare in Camerun.
La prima priorità
consisterà nel ridare senso all’accoglienza della vita
come dono di Dio. Per la Sacra Scrittura come per la
migliore saggezza del vostro continente, l’arrivo di un
bambino è una grazia, una benedizione di Dio. L’umanità
è oggi invitata a modificare il suo sguardo: in effetti,
ogni essere umano, anche il più piccolo e povero, è creato
«ad immagine e somiglianza di Dio» (Gn 1,27). Egli deve
vivere! La morte non deve prevalere sulla vita! La morte non
avrà mai l’ultima parola!
Figli e figlie d’Africa,
non abbiate paura di credere, di sperare e di amare, non
abbiate paura di dire che Gesù è la Via, la Verità e la
Vita, che soltanto da lui possiamo essere salvati. San Paolo
è l’autore ispirato che lo Spirito Santo ha donato alla
Chiesa per essere il «maestro dei pagani» (1Tm 2,7),
quando ci dice che Abramo «credette, saldo nella speranza
contro ogni speranza, e così divenne padre di molti popoli,
come gli era stato detto: Così sarà la tua discendenza» (Rm
4,18).
«Saldo nella
speranza contro ogni speranza»: non è una magnifica
definizione del cristiano? L’Africa è chiamata alla
speranza attraverso voi e in voi! Col Cristo Gesù, che ha
calpestato il suolo africano, l’Africa può diventare il
continente della speranza. Noi tutti siamo membri dei popoli
che Dio ha dato come discendenza ad Abramo. Ciascuno e
ciascuna di noi è pensato, voluto e amato da Dio. Ciascuno
e ciascuna di noi ha il suo ruolo da giocare nel piano di
Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo. Se lo scoraggiamento vi
invade, pensate alla fede di Giuseppe; se l’inquietudine
vi prende, pensate alla speranza di Giuseppe, discendente di
Abramo che sperava contro ogni speranza; se vi prende l’avversione
o l’odio, pensate all’amore di Giuseppe, che fu il primo
uomo a scoprire il volto umano di Dio nella persona del
bambino concepito dallo Spirito santo nel seno della Vergine
Maria. Benediciamo Cristo per essersi fatto così vicino a
noi e rendiamoGli grazie di averci dato Giuseppe come
esempio e modello dell’amore verso di Lui.
Cari fratelli e
sorelle, ve lo dico di nuovo di tutto cuore: come Giuseppe,
non temete di prendere Maria con voi, cioè non temete di
amare la Chiesa. Maria, Madre della Chiesa, vi insegnerà a
seguire i suoi Pastori, ad amare i vostri Vescovi, i vostri
preti, i vostri diaconi e i vostri catechisti, e a seguire
ciò che vi insegnano e a pregare secondo le loro
intenzioni. Voi che siete sposati, guardate l’amore di
Giuseppe per Maria e per Gesù; voi che vi preparate al
matrimonio, rispettate la vostra o il vostro futuro coniuge
come fece Giuseppe; voi che vi siete consacrati a Dio nel
celibato, riflettete sull’insegnamento della Chiesa nostra
Madre: «La verginità e il celibato per il Regno di Dio non
solo non contraddicono alla dignità del matrimonio, ma la
presuppongono e la confermano. Il matrimonio e la verginità
sono i due modi di esprimere e di vivere l’unico mistero
dell’Alleanza di Dio col suo popolo» (Redemptoris custos,
20).
Vorrei ancora
rivolgere una esortazione particolare ai padri di famiglia,
poiché san Giuseppe è il loro modello. San Giuseppe rivela
il mistero della paternità di Dio su Cristo e su ciascuno
di noi. E’ lui che può loro insegnare il segreto della
loro stessa paternità, egli che ha vegliato sul Figlio dell’Uomo.
Anche ogni padre riceve da Dio i suoi figli creati ad
immagine e somiglianza di Lui. San Giuseppe è stato lo
sposo di Maria. Anche ogni padre di famiglia si vede
confidare il mistero della donna attraverso la sua propria
sposa. Come San Giuseppe, cari padri di famiglia, rispettate
e amate la vostra sposa, e guidate i vostri bambini, con
amore e con la vostra presenza accorta, verso Dio dove essi
devono essere (cfr Lc 2,49).
Infine, a tutti i
giovani che sono qui, io rivolgo parole di amicizia e di
incoraggiamento: davanti alle difficoltà della vita,
mantenete il coraggio! La vostra esistenza ha un prezzo
infinito agli occhi di Dio. Lasciatevi prendere da Cristo,
accettate di donarGli il vostro amore e, perché no, voi
stessi nel sacerdozio o nella vita consacrata! È il più
alto servizio. Ai bambini che non hanno più un padre o che
vivono abbandonati nella miseria della strada, a coloro che
sono separati violentemente dai loro genitori, maltrattati e
abusati, e arruolati a forza in gruppi militari che
imperversano in alcuni Paesi, vorrei dire: Dio vi ama, non
vi dimentica e san Giuseppe vi protegge! Invocatelo con
fiducia.
Dio vi benedica e vi
custodisca tutti! Vi dia la grazia di avanzare verso di Lui
con fedeltà. Doni alle vostre vite la stabilità per
raccogliere il frutto che Egli si aspetta da voi! Vi renda
testimoni del suo amore, qui, in Camerun, e fino alle
estremità della terra! Io Lo prego con fervore di farvi
gustare la gioia di appartenerGli, ora e per i secoli dei
secoli. Amen.
Discorso di Papa Benedetto all'arrivo
in Angola
Aeroporto internazionale
"4 de Fevereiro"
di Luanda. Venerdì, 20 marzo 2009
Eccellentissimo Signor Presidente della Repubblica,
Illustrissime Autorità civili e militari, Venerati Fratelli
nell’Episcopato, Cari amici angolani!
Con vivi sentimenti di deferenza e amicizia, metto piede
sul suolo di questa nobile e giovane Nazione nell’ambito
di una visita pastorale che, nel mio spirito, ha per
orizzonte il Continente africano, anche se i miei passi ho
dovuto circoscriverli a Yaoundé e Luanda. Sappiano tutti
però che, nel mio cuore e nella mia preghiera, ho presenti
l’Africa in generale e il popolo di Angola in particolare,
al quale desidero offrire un cordiale incoraggiamento a
proseguire sulla via della pacificazione e della
ricostruzione del Paese e delle istituzioni.
Signor Presidente, inizio con il ringraziare per l’amabile
invito che Ella mi ha fatto di visitare l’Angola e per le
cordiali espressioni di benvenuto appena rivoltemi. Voglia
gradire i miei deferenti saluti e i migliori auguri, che
estendo alle altre Autorità qui gentilmente convenute ad
accogliermi. Saluto tutta la Chiesa cattolica in Angola
nella persona dei suoi Vescovi qui presenti, e ringrazio
tutti gli amici angolani dell’affettuosa accoglienza che
mi hanno riservato. A quanti mi seguono mediante la radio e
la televisione, giunga pure l’espressione della mia
amicizia, con la certezza della benevolenza del Cielo sopra
la comune missione che c’è stata affidata: quella d’edificare
insieme una società più libera, più pacifica e più
solidale.
Come non ricordare quell’illustre Visitatore che
benedisse l’Angola nel mese di giugno 1992: il mio amato
Predecessore Giovanni Paolo II?
Instancabile missionario di Gesù Cristo fino agli
estremi confini della terra, egli ha indicato la via verso
Dio, invitando tutti gli uomini di buona volontà ad
ascoltare la propria coscienza rettamente formata e ad
edificare una società di giustizia, di pace e di
solidarietà, nella carità e nel perdono vicendevole.
Quanto a me, vi ricordo che provengo da un Paese dove la
pace e la fraternità sono care ai cuori di tutti i suoi
abitanti, in particolare di quanti – come me – hanno
conosciuto la guerra e la divisione tra fratelli
appartenenti alla stessa Nazione a causa di ideologie
devastanti e disumane, le quali, sotto la falsa apparenza di
sogni e illusioni, facevano pesare sopra gli uomini il giogo
dell’oppressione. Potete dunque capire quanto io sia
sensibile al dialogo fra gli uomini come mezzo per superare
ogni forma di conflitto e di tensione e per fare di ogni
Nazione – e quindi anche della vostra Patria – una casa
di pace e di fraternità. In vista di tale scopo, dovete
prendere dal vostro patrimonio spirituale e culturale i
valori migliori, di cui l’Angola è portatrice, e farvi
gli uni incontro agli altri senza paura, accettando di
condividere le personali ricchezze spirituali e materiali a
beneficio di tutti.
Come non pensare qui alle popolazioni della provincia di
Kunene flagellate da piogge torrenziali e alluvioni, che
hanno provocato numerosi morti e hanno lasciato tante
famiglie prive di alloggio per la distruzione delle loro
case? A quelle popolazioni provate desidero far giungere in
questo momento l’assicurazione della mia solidarietà,
insieme con un particolare incoraggiamento alla fiducia per
ricominciare con l’aiuto di tutti.
Cari amici angolani, il vostro territorio è ricco; la
vostra Nazione è forte. Utilizzate queste vostre
prerogative per favorire la pace e l’intesa fra i popoli,
su una base di lealtà e di uguaglianza che promuovano per l’Africa
quel futuro pacifico e solidale al quale tutti anelano e
hanno diritto. A tale scopo vi prego: Non arrendetevi alla
legge del più forte! Perché Dio ha concesso agli esseri
umani di volare, al di sopra delle loro tendenze naturali,
con le ali della ragione e della fede. Se vi fate sollevare
da queste ali, non vi sarà difficile riconoscere nell’altro
un fratello, che è nato con gli stessi diritti umani
fondamentali. Purtroppo dentro i vostri confini angolani ci
sono ancora tanti poveri che rivendicano il rispetto dei
loro diritti. Non si può dimenticare la moltitudine di
angolani che vivono al di sotto della linea di povertà
assoluta. Non deludete le loro aspettative!
Si tratta di un’opera immane, che richiede una più
grande partecipazione civica da parte di tutti. È
necessario coinvolgere in essa l’intera società civile
angolana; questa però ha bisogno di presentarsi all’appuntamento
più forte e articolata, sia tra le forze che la compongono
come anche nel dialogo con il Governo. Per dare vita ad una
società veramente sollecita del bene comune, sono necessari
valori da tutti condivisi. Sono convinto che l’Angola li
potrà trovare anche oggi nel Vangelo di Gesù Cristo, come
accadde tempo addietro con un vostro illustre antenato, Dom
Afonso I Mbemba-a-Nzinga; per opera sua, cinquecento anni fa
è sorto in Mbanza Congo un regno cristiano che sopravvisse
fino al XVIII secolo. Dalle sue ceneri poté poi sorgere, a
cavallo dei secoli XIX e XX, una Chiesa rinnovata che non ha
cessato di crescere fino ai nostri giorni; ne sia
ringraziato Dio! Ecco il motivo immediato che mi ha portato
in Angola: ritrovarmi con una delle più antiche comunità
cattoliche dell’Africa sub-equatoriale, per confermarla
nella sua fede in Gesù risorto ed associarmi alle suppliche
dei suoi figli e figlie affinché il tempo della pace, nella
giustizia e nella fraternità, non conosca tramonto in
Angola, consentendole di adempiere alla missione che Dio le
ha affidato in favore del suo popolo e nel concerto delle
Nazioni. Dio benedica l’Angola!
CELEBRAZIONE
EUCARISTICA CON I VESCOVI, I SACERDOTI, I RELIGIOSI E LE
RELIGIOSE, I MOVIMENTI ECCLESIALI E I CATECHISTI DELL’ANGOLA
E SÃO TOMÉ
Chiesa São Paolo di Luanda Sabato, 21 marzo 2009
OMELIA DEL SANTO
PADRE BENEDETTO XVI
Carissimi fratelli e
sorelle, Amati lavoratori della vigna del Signore!
Come abbiamo
sentito, i figli d’Israele si dicevano l’un l’altro:
«Affrettiamoci a conoscere il Signore». Essi si
rincuoravano con queste parole, mentre si vedevano sommersi
dalle tribolazioni. Queste erano cadute su di loro –
spiega il profeta – perché vivevano nell’ignoranza di
Dio; il loro cuore era povero d’amore. E il solo medico in
grado di guarirlo era il Signore. Anzi, è stato proprio
Lui, come buon medico, ad aprire la ferita, affinché la
piaga guarisse. E il popolo si decide: «Venite, ritorniamo
al Signore: Egli ci ha straziato ed Egli ci guarirà» (Os
6, 1). In questo modo hanno potuto incrociarsi la miseria
umana e la Misericordia divina, la quale null’altro
desidera se non accogliere i miseri.
Lo vediamo
nella pagina del Vangelo proclamata: «Due uomini salirono
al tempio a pregare»; di là, uno «tornò a casa sua
giustificato, a differenza dell’altro» (Lc 18, 10.14).
Quest’ultimo aveva esposto tutti i suoi meriti davanti a
Dio, quasi facendo di Lui un suo debitore. In fondo, egli
non sentiva il bisogno di Dio, anche se Lo ringraziava per
avergli concesso di essere così perfetto e «non come
questo pubblicano». Eppure sarà proprio il pubblicano a
scendere a casa sua giustificato. Consapevole dei suoi
peccati, che lo fanno rimanere a testa bassa – in realtà
però egli è tutto proteso verso il Cielo –, egli aspetta
ogni cosa dal Signore: «O Dio, abbi pietà di me
peccatore» (Lc 18, 13). Egli bussa alla porta della
Misericordia, la quale si apre e lo giustifica, «perché
– conclude Gesù – chi si esalta sarà umiliato e chi si
umilia sarà esaltato» (Lc 18, 14).
Di questo Dio,
ricco di Misericordia, ci parla per esperienza personale san
Paolo, patrono della città di Luanda e di questa stupenda
chiesa, edificata quasi cinquant’anni fa. Ho voluto
sottolineare il bimillenario della nascita di san Paolo con
il Giubileo paolino in corso, allo scopo di imparare da lui
a conoscere meglio Gesù Cristo. Ecco la testimonianza che
egli ci ha lasciato: «Questa parola è sicura e degna di
essere da tutti accolta: Cristo Gesù è venuto nel mondo
per salvare i peccatori e di questi il primo sono io. Ma
appunto per questo io ho ottenuto misericordia, perché
Gesù Cristo ha voluto dimostrare in me, per primo, tutta la
sua magnanimità, affinché «fossi di esempio a quelli che
avrebbero creduto in Lui per avere la vita eterna» (1 Tm 1,
15-16). E, con il passare dei secoli, il numero dei
raggiunti dalla grazia non ha cessato di aumentare. Tu ed io
siamo di loro. Rendiamo grazie a Dio perché ci ha chiamati
ad entrare in questa processione dei tempi per farci
avanzare verso il futuro. Seguendo coloro che hanno seguito
Gesù, con loro seguiamo lo stesso Cristo e così entriamo
nella Luce.
Cari fratelli
e sorelle, provo una grande gioia nel trovarmi oggi in mezzo
a voi, miei compagni di giornata nella vigna del Signore; di
questa vi occupate con cura quotidiana preparando il vino
della Misericordia divina e versandolo poi sulle ferite del
vostro popolo così tribolato. Mons. Gabriel Mbilingi si è
fatto interprete delle vostre speranze e fatiche nelle
gentili parole di benvenuto che mi ha rivolto. Con animo
grato e pieno di speranza, vi saluto tutti – donne e
uomini dediti alla causa di Gesù Cristo – che qui vi
trovate e quanti ne rappresentate: Vescovi, presbiteri,
consacrate e consacrati, seminaristi, catechisti, leaders
dei più diversi Movimenti e Associazioni di questa amata
Chiesa di Dio. Desidero ricordare inoltre le religiose
contemplative, presenza invisibile ma estremamente feconda
per i passi di tutti noi. Mi sia permessa infine una parola
particolare di saluto ai Salesiani e ai fedeli di questa
parrocchia di san Paolo che ci accolgono nella loro chiesa,
senza esitare per questo a cederci il posto che abitualmente
spetta ad essi nell’assemblea liturgica. Ho saputo che si
trovano radunati nel campo adiacente e spero, al termine di
quest’Eucaristia, di poterli vedere e benedire, ma fin d’ora
dico loro: «Grazie tante! Dio susciti in mezzo a voi e per
mezzo vostro tanti apostoli nella scia del vostro Patrono».
Fondamentale
nella vita di Paolo è stato il suo incontro con Gesù,
quando camminava per la strada verso Damasco: Cristo gli
appare come luce abbagliante, gli parla, lo conquista. L’apostolo
ha visto Gesù risorto, ossia l’uomo nella sua statura
perfetta. Quindi si verifica in lui un’inversione di
prospettiva, ed egli giunge a vedere ogni cosa a partire da
questa statura finale dell’uomo in Gesù: ciò che prima
gli sembrava essenziale e fondamentale, adesso per lui non
vale più della «spazzatura»; non è più «guadagno» ma
perdita, perché ora conta soltanto la vita in Cristo (cfr
Fl 3, 7-8). Non si tratta di semplice maturazione dell’«io»
di Paolo, ma di morte a se stesso e di risurrezione in
Cristo: è morta in lui una forma di esistenza; una forma
nuova è nata in lui con Gesù risorto.
Miei fratelli
e amici, «affrettiamoci a conoscere il Signore» risorto!
Come sapete, Gesù, uomo perfetto, è anche il nostro vero
Dio. In Lui, Dio è diventato visibile ai nostri occhi, per
farci partecipi della sua vita divina. In questo modo, viene
inaugurata con Lui una nuova dimensione dell’essere, della
vita, nella quale viene integrata anche la materia e
mediante la quale sorge un mondo nuovo. Ma questo salto di
qualità della storia universale che Gesù ha compiuto al
nostro posto e per noi, in concreto come raggiunge l’essere
umano, permeando la sua vita e trascinandola verso l’Alto?
Raggiunge ciascuno di noi attraverso la fede e il Battesimo.
Infatti, questo sacramento è morte e risurrezione,
trasformazione in una vita nuova, a tal punto che la persona
battezzata può affermare con Paolo: «Non sono più io che
vivo, ma Cristo vive in me» (Gl 2, 20). Vivo io, ma già
non più io. In certo modo, mi viene tolto il mio io, e
viene integrato in un Io più grande; ho ancora il mio io,
ma trasformato e aperto agli altri mediante il mio
inserimento nell’Altro: in Cristo, acquisto il mio nuovo
spazio di vita. Che cosa è dunque avvenuto di noi? Risponde
Paolo: Voi siete diventati uno in Cristo Gesù (cfr Gl 3,
28).
E, mediante
questo nostro essere cristificato per opera e grazia dello
Spirito di Dio, pian piano si va completando la gestazione
del Corpo di Cristo lungo la storia. In questo momento, mi
piace andare col pensiero indietro di cinquecento anni,
ossia agli anni 1506 e seguenti, quando in queste terre,
allora visitate dai portoghesi, venne costituito il primo
regno cristiano sub-sahariano, grazie alla fede e alla
determinazione del re Dom Afonso I Mbemba-a-Nzinga, che
regnò dal menzionato anno 1506 fino al 1543, anno in cui
morì; il regno rimase ufficialmente cattolico dal secolo
XVI fino al XVIII, con un proprio ambasciatore in Roma.
Vedete come due etnie tanto diverse – quella banta e
quella lusiade – hanno potuto trovare nella religione
cristiana una piattaforma d’intesa, e si sono impegnate
poi perché quest’intesa durasse a lungo e le divergenze
– ce ne sono state, e di gravi – non separassero i due
regni! Di fatto, il Battesimo fa sì che tutti i credenti
siano uno in Cristo.
Oggi spetta a
voi, fratelli e sorelle, sulla scia di quegli eroici e santi
messaggeri di Dio, offrire Cristo risorto ai vostri
concittadini. Tanti di loro vivono nella paura degli
spiriti, dei poteri nefasti da cui si credono minacciati;
disorientati, arrivano al punto di condannare bambini della
strada e anche i più anziani, perché – dicono – sono
stregoni. Chi può recarsi da loro ad annunziare che Cristo
ha vinto la morte e tutti quegli oscuri poteri (cfr Ef 1,
19-23; 6, 10-12)? Qualcuno obietta: «Perché non li
lasciamo in pace? Essi hanno la loro verità; e noi, la
nostra. Cerchiamo di convivere pacificamente, lasciando
ognuno com’è, perché realizzi nel modo migliore la
propria autenticità». Ma, se noi siamo convinti e abbiamo
fatto l’esperienza che, senza Cristo, la vita è
incompleta, le manca una realtà – anzi la realtà
fondamentale –, dobbiamo essere convinti anche del fatto
che non facciamo ingiustizia a nessuno se gli presentiamo
Cristo e gli diamo la possibilità di trovare, in questo
modo, anche la sua vera autenticità, la gioia di avere
trovato la vita. Anzi, dobbiamo farlo, è un obbligo nostro
offrire a tutti questa possibilità di raggiungere la vita
eterna.
Venerati e
amati fratelli e sorelle, diciamo loro come il popolo
israelita: «Venite, ritorniamo al Signore: Egli ci ha
straziato ed Egli ci guarirà». Aiutiamo la miseria umana
ad incontrarsi con la Misericordia divina. Il Signore fa di
noi i suoi amici, Egli si affida a noi, ci consegna il suo
Corpo nell’Eucaristia, ci affida la sua Chiesa. E allora
dobbiamo essere davvero suoi amici, avere un solo sentire
con Lui, volere ciò che Egli vuole e non volere ciò che
Egli non vuole. Gesù stesso ha detto: «Voi siete miei
amici, se farete ciò che Io vi comando» (Gv 15, 14). Sia
questo il nostro impegno comune: fare, tutti insieme, la sua
santa volontà: «Andate in tutto il mondo e predicate il
Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16, 15). Abbracciamo la sua
volontà, come ha fatto san Paolo: «Predicare il Vangelo (…)
è un dovere per me: guai a me se non annuncio il Vangelo!»
(1 Cr 9, 16).
INCONTRO CON I GIOVANI, DISCORSO DI PAPA BENEDETTO
Stadio
dos Coqueiros - Luanda Sabato, 21 marzo 2009
Carissimi amici!
Siete venuti in gran numero, in rappresentanza di molti
altri spiritualmente a voi uniti, per incontrare il
Successore di Pietro e, insieme a me, proclamare davanti a
tutti la gioia di credere in Gesù Cristo e rinnovare l’impegno
di essere suoi fedeli discepoli in questo nostro tempo. Un
identico incontro ha avuto luogo in questa stessa città, in
data 7 giugno 1992, con l’amato Papa Giovanni Paolo II.
Con lineamenti un po’ diversi, ma con lo stesso amore nel
cuore, ecco davanti a voi l’attuale Successore di Pietro,
che vi abbraccia tutti in Gesù Cristo, che “è lo stesso
ieri, oggi e per sempre” (Eb 13,8).
Prima di tutto, voglio ringraziarvi per questa festa che
voi mi fate, per questa festa che voi siete, per la vostra
presenza e la vostra gioia. Rivolgo un saluto affettuoso ai
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio e ai
vostri animatori. Di cuore ringrazio e saluto quanti hanno
preparato quest’Incontro e, in particolare, la Commissione
episcopale per la Gioventù e le Vocazioni con il suo
Presidente, Mons. Kanda Almeida, che ringrazio per le
cordiali parole di benvenuto rivoltemi. Saluto tutti i
giovani, cattolici e non cattolici, alla ricerca di una
risposta per i loro problemi, alcuni dei quali sicuramente
riferiti dai vostri Rappresentanti, le cui parole ho
ascoltato con gratitudine. L’abbraccio che ho scambiato
con loro vale naturalmente per tutti voi.
Incontrare i giovani fa bene a tutti! Essi hanno a volte
tante difficoltà, ma portano con sé tanta speranza, tanto
entusiasmo, tanta voglia di ricominciare. Giovani amici, voi
custodite in voi stessi la dinamica del futuro. Vi invito a
guardarlo con gli occhi dell’apostolo Giovanni: «Vidi poi
un nuovo cielo e una nuova terra (…) e anche la città
santa, la nuova Gerusalemme scendere dal cielo, da Dio,
pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora
una voce potente che usciva dal trono: “Ecco la dimora di
Dio con gli uomini”» (Ap 21, 1-3). Carissimi amici, Dio
fa la differenza. A cominciare dalla serena intimità fra
Dio e la coppia umana nel giardino dell’Eden, passando
alla gloria divina che irradiava dalla Tenda della Riunione
in mezzo al popolo d’Israele durante la traversata del
deserto, fino all’incarnazione del Figlio di Dio che si è
indissolubilmente unito all’uomo in Gesù Cristo. Questo
stesso Gesù riprende la traversata del deserto umano
passando attraverso la morte e arriva alla risurrezione,
trascinando con sé verso Dio l’intera umanità. Ora Gesù
non si trova più confinato in un luogo e in un tempo
determinato, ma il suo Spirito, lo Spirito Santo, emana da
Lui e entra nei nostri cuori, unendoci così con Gesù
stesso e con Lui al Padre – con il Dio uno e trino.
Sì, miei cari amici! Dio fa la differenza… Di più!
Dio ci fa differenti, ci fa nuovi. Tale è la promessa che
Egli stesso ci fa: «Ecco io faccio nuove tutte le cose» (Ap
21, 5). Ed è vero! Ce lo dice l’apostolo san Paolo: «Se
uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie
sono passate, ecco ne sono nate di nuove. Tutto questo però
viene da Dio, che ci ha riconciliati con se mediante
Cristo» (2 Cr 5, 17-18). Essendo salito al Cielo ed essendo
entrato nell’eternità, Gesù Cristo è diventato Signore
di tutti i tempi. Perciò, può farsi nostro compagno nel
presente, portando il libro dei nostri giorni nella sua
mano: in essa sostiene fermamente il passato, con le
sorgenti e le fondamenta del nostro essere; in essa
custodisce gelosamente il futuro, lasciandoci intravedere l’alba
più bella di tutta la nostra vita che da lui irradia, ossia
la risurrezione in Dio. Il futuro dell’umanità nuova è
Dio; proprio un iniziale anticipo di ciò è la sua Chiesa.
Quando ne avrete la possibilità, leggetene con attenzione
la storia: potrete rendervi conto che la Chiesa, nello
scorrere degli anni, non invecchia; anzi diventa sempre più
giovane, perché cammina incontro al Signore, avvicinandosi
ogni giorno di più alla sola e vera sorgente da dove
scaturisce la gioventù, la rigenerazione, la forza della
vita.
Amici che mi ascoltate, il futuro è Dio. Come abbiamo
ascoltato poc’anzi, Egli «tergerà ogni lacrima dai loro
occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento,
né affanno, perché le cose di prima sono passate» (Ap 21,
4). Nel frattempo, vedo qui presenti alcuni delle migliaia
di giovani angolani mutilati in conseguenza della guerra e
delle mine, penso alle innumerevoli lacrime che tanti di voi
hanno versato per la perdita dei familiari, e non è
difficile immaginare le nubi grigie che coprono ancora il
cielo dei vostri sogni migliori… Leggo nel vostro cuore un
dubbio, che voi rivolgete a me: «Questo è ciò che
abbiamo. Quello che tu ci dici non si vede! La promessa ha
la garanzia divina – e noi vi crediamo –, ma Dio quando
si alzerà per rinnovare ogni cosa?». La risposta di Gesù
è la stessa che Egli ha dato ai suoi discepoli: «Non sia
turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede
anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti.
Se no, vi avrei mai detto: Vado a prepararvi un posto?» (Gv
14, 1-2). Ma voi, carissimi giovani, insistete: «D’accordo!
Ma quando accadrà questo?» Ad una domanda simile fatta
dagli apostoli, Gesù rispose: «Non spetta a voi conoscere
i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua
scelta, ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su
di voi e mi sarete testimoni (…) fino agli estremi confini
della terra» (At 1, 7-8). Guardate che Gesù non ci lascia
senza risposta; ci dice chiaramente una cosa: il
rinnovamento inizia dentro; riceverete una forza dall’Alto.
La forza dinamica del futuro si trova dentro di voi.
Si trova dentro… ma come? Come la vita è dentro un
seme: così ha spiegato Gesù, in un’ora critica del suo
ministero. Era iniziato – il suo ministero - con grande
entusiasmo, poiché la gente vedeva i malati guariti, i
demoni cacciati, il Vangelo annunziato; ma, per il resto, il
mondo andava avanti come prima: i romani dominavano ancora;
la vita era difficile nel susseguirsi dei giorni, nonostante
ci fossero quei segni, quelle belle parole. E l’entusiasmo
si era andato spegnendo, fino al punto che parecchi
discepoli avevano abbandonato il Maestro (cfr Gv 6, 66), che
predicava ma non cambiava il mondo. E tutti si domandavano:
In fondo che valore ha questo messaggio? Cosa ci porta
questo Profeta di Dio? Allora Gesù parlò di un seminatore
che semina nel campo del mondo, e spiegò poi che il seme è
la sua Parola (cfr Mc 4, 3-20), sono le guarigioni operate:
davvero poca cosa se paragonate con le enormi carenze e “macas”
[difficoltà] della realtà di ogni giorno. Eppure nel seme
è presente il futuro, perché il seme porta dentro di sé
il pane di domani, la vita di domani. Il seme sembra quasi
niente, ma è la presenza del futuro, è promessa presente
già oggi; quando cade in terra buona fruttifica trenta,
sessanta ed anche cento volte tanto.
Amici miei, voi siete un seme gettato da Dio nella terra;
esso porta nel cuore una forza dell’Alto, la forza dello
Spirito Santo. Tuttavia per passare dalla promessa di vita
al frutto, la sola via possibile è offrire la vita per
amore, è morire per amore. Lo ha detto lo stesso Gesù:
«Se il seme caduto in terra non muore, rimane solo; se
invece muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita, la
perde e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà
per la vita eterna» (cfr Gv 12, 24-25). Così ha parlato
Gesù, e così ha fatto: la sua crocifissione sembra il
fallimento totale, ma non lo è! Gesù, animato dalla forza
di «uno Spirito eterno, offrì se stesso senza macchia a
Dio» (Eb 9, 14). E in questo modo, caduto cioè in terra,
Egli ha potuto dar frutto in ogni tempo e lungo tutti i
tempi. E in mezzo a voi si trova il nuovo Pane, il Pane
della vita futura, la Santissima Eucaristia che ci alimenta
e fa sbocciare la vita trinitaria nel cuore degli uomini.
Giovani amici, sementi dotate della forza del medesimo
Spirito eterno, sbocciate al calore dell’Eucaristia, nella
quale si realizza il testamento del Signore: Lui si dona a
noi e noi rispondiamo donandoci agli altri per amore suo.
Questa è la via della vita; ma sarà possibile percorrerla
alla sola condizione di un dialogo costante con il Signore e
di un dialogo vero tra voi. La cultura sociale dominante non
vi aiuta a vivere la Parola di Gesù e neppure il dono di
voi stessi a cui Egli vi invita secondo il disegno del
Padre. Carissimi amici, la forza si trova dentro di voi,
come era in Gesù che diceva: «Il Padre che è in me compie
le sue opere. (…) Anche chi crede in me, compirà le opere
che io compio e ne fará di più grandi, perché io vado al
Padre» (Gv 14, 10.12). Perciò non abbiate paura di
prendere decisioni definitive. Generosità non vi manca –
lo so! Ma di fronte al rischio di impegnarsi per tutta la
vita, sia nel matrimonio che in una vita di speciale
consacrazione, provate paura: «Il mondo vive in continuo
movimento e la vita è piena di possibilità. Potrò io
disporre in questo momento della mia vita intera ignorando
gli imprevisti che essa mi riserva? Non sarà che io, con
una decisione definitiva, mi gioco la mia libertà e mi lego
con le mie stesse mani?». Tali sono i dubbi che vi
assalgono e l’attuale cultura individualistica e edonista
li esaspera. Ma quando il giovane non si decide, corre il
rischio di restare un eterno bambino!
Io vi dico: Coraggio! Osate decisioni definitive, perché
in verità queste sono le sole che non distruggono la
libertà, ma ne creano la giusta direzione, consentendo di
andare avanti e di raggiungere qualcosa di grande nella
vita. Non c’è dubbio che la vita ha valore soltanto se
avete il coraggio dell’avventura, la fiducia che il
Signore non vi lascerà mai soli. Gioventù angolana, libera
dentro di te lo Spirito Santo, la forza dall’Alto! Con
fiducia in questa forza, come Gesù, rischia questo salto
per così dire nel definitivo e, con ciò, offri una
possibilità alla vita! Così verranno a crearsi tra voi
delle isole, delle oasi e poi grandi superfici di cultura
cristiana, in cui diventerà visibile quella «città santa
che scende dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna
per il suo sposo». Questa è la vita che merita di essere
vissuta e che di cuore vi auguro. Viva la gioventù di
Angola!
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Preghiera
di Papa Benedetto alla Vergine Protettrice
dell'Africa
“Santa
Maria, Madre di Dio, Protettrice dell’Africa, tu
hai dato al mondo la vera Luce, Gesù Cristo. Con la
tua obbedienza al Padre e per mezzo della grazia
dello Spirito Santo ci hai dato la fonte della
nostra riconciliazione e della nostra giustizia,
Gesù Cristo, nostra pace e nostra gioia.
Madre
di tenerezza e di saggezza, mostraci Gesù, il
Figlio tuo e Figlio di Dio, sostieni il nostro
cammino di conversione affinché Gesù faccia
brillare su di noi la sua Gloria in tutti i luoghi
della nostra vita personale, familiare e sociale.
Madre
piena di Misericordia e di Giustizia, con la tua
docilità allo Spirito Consolatore, ottieni per noi
la grazia di essere testimoni del Signore Risorto,
affinché diventiamo sempre più sale della terra e
luce del mondo.
Madre
del Perpetuo Soccorso, alla tua intercessione
materna affidiamo la preparazione e i frutti del
Secondo Sinodo per l’Africa. Regina della Pace,
prega per noi! Nostra Signora d’Africa, prega per
noi!”
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