Chi siamo    Comunità Italia Merid.    Missioni del Pime   Martiri del Pime   Adozioni e progetti   Riviste   Links

 

                  

 

 

    

    "... in Gesù, persona e missione 
       
   tendono a coincidere..."

         (il segreto della vocazione sacerdotale)

Lettera di Papa Benedetto ai sacerdoti
   in occasione dell'
anno sacerdotale

                           
(19 giugno 2009... 11 giugno 2010)

 

 

(...) Cari fratelli nel Sacerdozio, chiediamo al Signore Gesù la grazia di poter apprendere anche noi il metodo pastorale di san Giovanni Maria Vianney! 

  Ciò che per prima cosa dobbiamo imparare è la sua totale identificazione col proprio ministero. 

  In Gesù, Persona e Missione tendono a coincidere: tutta la sua azione salvifica era ed è espressione del suo “Io filiale” che, da tutta l’eternità, sta davanti al Padre in atteggiamento di amorosa sottomissione alla sua volontà. 

  Con umile ma vera analogia, anche il sacerdote deve anelare a questa identificazione. 

  Non si tratta certo di dimenticare che l’efficacia sostanziale del ministero resta indipendente dalla santità del ministro; ma non si può neppure trascurare la straordinaria fruttuosità generata dall’incontro tra la santità oggettiva del ministero e quella soggettiva del ministro. 

  Il Curato d’Ars iniziò subito quest’umile e paziente lavoro di armonizzazione tra la sua vita di ministro e la santità del ministero a lui affidato (...)

                         qui la lettera del Papa     

 

Omelia di Papa Benedetto, d'inizio dell'anno sacerdotale

(...) Il cuore di Dio freme di compassione! Nell'odierna solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, la Chiesa offre alla nostra contemplazione questo mistero, il mistero del cuore di un Dio che si commuove e riversa tutto il suo amore sull'umanità. Un amore misterioso, che nei testi del Nuovo Testamento ci viene rivelato come incommensurabile passione di Dio per l'uomo. Egli non si arrende dinanzi all'ingratitudine e nemmeno davanti al rifiuto del popolo che si è scelto; anzi, con infinita misericordia, invia nel mondo l'Unigenito suo Figlio perché prenda su di sé il destino dell'amore distrutto; perché, sconfiggendo il potere del male e della morte, possa restituire dignità di figli agli esseri umani resi schiavi dal peccato. Tutto questo a caro prezzo: il Figlio Unigenito del Padre si immola sulla croce: "Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine" (cfr Gv 13,1). Simbolo di tale amore che va oltre la morte è il suo fianco squarciato da una lancia. A tale riguardo, il testimone oculare, l'apostolo Giovanni, afferma: "Uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue ed acqua" (cfr Gv 19,34). (...)   

Cari fratelli e sorelle, fermiamoci insieme a contemplare il Cuore trafitto del Crocifisso. Abbiamo ascoltato ancora una volta, poco fa, nella breve lettura tratta dalla Lettera di san Paolo agli Efesini, che "Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatti rivivere con Cristo... Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù" (Ef 2,4-6). Essere in Cristo Gesù è già sedere nei Cieli. Nel Cuore di Gesù è espresso il nucleo essenziale del cristianesimo; in Cristo ci è stata rivelata e donata tutta la novità rivoluzionaria del Vangelo: l'Amore che ci salva e ci fa vivere già nell'eternità di Dio. Scrive l'evangelista Giovanni: "Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna" (3,1 6). Il suo Cuore divino chiama allora il nostro cuore; ci invita ad uscire da noi stessi, ad abbandonare le nostre sicurezze umane per fidarci di Lui e, seguendo il suo esempio, a fare di noi stessi un dono di amore senza riserve.(...)

Lasciarsi conquistare pienamente da Cristo! Questa è stata la meta di tutto il ministero del Santo Curato d'Ars, che invocheremo particolarmente durante l'Anno Sacerdotale; questo sia anche l'obiettivo principale di ognuno di noi. Per essere ministri al servizio del Vangelo, è certamente utile e necessario lo studio con una accurata e permanente formazione pastorale, ma è ancor più necessaria quella "scienza dell'amore" che si apprende solo nel "cuore a cuore" con Cristo. E' Lui infatti a chiamarci per spezzare il pane del suo amore, per rimettere i peccati e per guidare il gregge in nome suo. Proprio per questo non dobbiamo mai allontanarci dalla sorgente dell'Amore che è il suo Cuore trafitto sulla croce.

Solo così saremo in grado di cooperare efficacemente al misterioso "disegno del Padre" che consiste nel "fare di Cristo il cuore del mondo"! (...)

                      qui l'omelia del Papa 

 

E nella sua omelia, nella solennità dei Santi
   Pietro e Paolo, Apostoli:

(...) Circa il compito del sacerdote? Innanzitutto, egli comprende il ministero sacerdotale totalmente a partire da Cristo. Chiama Cristo il "pastore e custode delle … anime" (2,25). Dove la traduzione italiana parla di "custode", il testo greco ha la parola epíscopos (vescovo). Un po’ più avanti, Cristo viene qualificato come il Pastore supremo: archipoímen (5,4). Sorprende che Pietro chiami Cristo stesso vescovo – vescovo delle anime. Che cosa intende dire con ciò? Nella parola greca è contenuto il verbo "vedere"; per questo è stata tradotta con "custode" ossia "sorvegliante". Ma certamente non s’intende una sorveglianza esterna, come s’addice forse ad una guardia carceraria. S’intende piuttosto un vedere dall’alto – un vedere a partire dall’elevatezza di Dio. Un vedere nella prospettiva di Dio è un vedere dell’amore che vuole servire l’altro, vuole aiutarlo a diventare veramente se stesso. Cristo è il "vescovo delle anime", ci dice Pietro. Ciò significa: Egli ci vede nella prospettiva di Dio. Guardando a partire da Dio, si ha una visione d’insieme, si vedono i pericoli come anche le speranze e le possibilità. Nella prospettiva di Dio si vede l’essenza, si vede l’uomo interiore. Se Cristo è il vescovo delle anime, l’obiettivo è quello di evitare che l’anima nell’uomo s’immiserisca, è di far sì che l’uomo non perda la sua essenza, la capacità per la verità e per l’amore. Far sì che egli venga a conoscere Dio; che non si smarrisca in vicoli ciechi; che non si perda nell’isolamento, ma rimanga aperto per l’insieme. Gesù, il "vescovo delle anime", è il prototipo di ogni ministero episcopale e sacerdotale. Essere vescovo, essere sacerdote significa in questa prospettiva: assumere la posizione di Cristo. Pensare, vedere ed agire a partire dalla sua posizione elevata. A partire da Lui essere a disposizione degli uomini, affinché trovino la vita.

Così la parola "vescovo" s’avvicina molto al termine "pastore", anzi, i due concetti diventano interscambiabili. È compito del pastore pascolare e custodire il gregge e condurlo ai pascoli giusti. Pascolare il gregge vuol dire aver cura che le pecore trovino il nutrimento giusto, sia saziata la loro fame e spenta la loro sete. Fuori di metafora, questo significa: la parola di Dio è il nutrimento di cui l’uomo ha bisogno. Rendere sempre di nuovo presente la parola di Dio e dare così nutrimento agli uomini è il compito del retto Pastore. Ed egli deve anche saper resistere ai nemici, ai lupi. Deve precedere, indicare la via, conservare l’unità del gregge. Pietro, nel suo discorso ai presbiteri, evidenzia ancora una cosa molto importante. Non basta parlare. I Pastori devono farsi "modelli del gregge" (5,3). La parola di Dio viene portata dal passato nel presente, quando è vissuta. È meraviglioso vedere come nei santi la parola di Dio diventi una parola rivolta al nostro tempo. In figure come Francesco e poi di nuovo come Padre Pio e molti altri, Cristo è diventato veramente contemporaneo della loro generazione, è uscito dal passato ed entrato nel presente. Questo significa essere pastore – modello del gregge: vivere la Parola ora, nella grande comunità della santa Chiesa.

Molto brevemente vorrei ancora richiamare l’attenzione su due altre affermazioni della Prima Lettera di san Pietro, che riguardano in modo speciale noi, in questo nostro tempo. C’è innanzitutto la frase oggi nuovamente scoperta, in base alla quale i teologi medievali compresero il loro compito: "Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi" (3,15). La fede cristiana è speranza. Apre la via verso il futuro. Ed è una speranza che possiede ragionevolezza; una speranza la cui ragione possiamo e dobbiamo esporre. La fede proviene dalla Ragione eterna che è entrata nel nostro mondo e ci ha mostrato il vero Dio. Va al di là della capacità propria della nostra ragione, così come l’amore vede più della semplice intelligenza. Ma la fede parla alla ragione e nel confronto dialettico può tener testa alla ragione. Non la contraddice, ma va di pari passo con essa e, al contempo, conduce al di là di essa – introduce nella Ragione più grande di Dio. Come Pastori del nostro tempo abbiamo il compito di comprendere noi per primi la ragione della fede. Il compito di non lasciarla rimanere semplicemente una tradizione, ma di riconoscerla come risposta alle nostre domande. (...)

                      qui l'omelia del Papa 

 

Di seguito il discorso di Papa Benedetto all'udienza di mercoledì 5 agosto

Nell'odierna catechesi vorrei ripercorrere brevemente l'esistenza del Santo Curato d'Ars sottolineandone alcuni tratti, che possono essere di esempio anche per i sacerdoti di questa nostra epoca, certamente diversa da quella in cui egli visse, ma segnata, per molti versi, dalle stesse sfide fondamentali umane e spirituali. Proprio ieri si sono compiuti 150 anni dalla sua nascita al Cielo: erano infatti le due del mattino del 4 agosto 1859, quando san Giovanni Battista Maria Vianney, terminato il corso della sua esistenza terrena, andò incontro al Padre celeste per ricevere in eredità il regno preparato fin dalla creazione del mondo per coloro che fedelmente seguono i suoi insegnamenti (cfr. Mt 25, 34). 

Quale grande festa deve esserci stata in Paradiso all'ingresso di un così zelante pastore! Quale accoglienza deve avergli riservata la moltitudine dei figli riconciliati con il Padre, per mezzo dalla sua opera di parroco e confessore! Ho voluto prendere spunto da questo anniversario per indire l'Anno Sacerdotale, che, com'è noto, ha per tema Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote. Dipende dalla santità la credibilità della testimonianza e, in definitiva, l'efficacia stessa della missione di ogni sacerdote. 

Giovanni Maria Vianney nacque nel piccolo borgo di Dardilly l'8 maggio del 1786, da una famiglia contadina, povera di beni materiali, ma ricca di umanità e di fede. Battezzato, com'era buon uso all'epoca, lo stesso giorno della nascita, consacrò gli anni della fanciullezza e dell'adolescenza ai lavori nei campi e al pascolo degli animali, tanto che, all'età di diciassette anni, era ancora analfabeta. Conosceva però a memoria le preghiere insegnategli dalla pia madre e si nutriva del senso religioso che si respirava in casa. 

I biografi narrano che, fin dalla prima giovinezza, egli cercò di conformarsi alla divina volontà anche nelle mansioni più umili. Nutriva in animo il desiderio di divenire sacerdote, ma non gli fu facile assecondarlo. Giunse infatti all'Ordinazione presbiterale dopo non poche traversìe ed incomprensioni, grazie all'aiuto di sapienti sacerdoti, che non si fermarono a considerare i suoi limiti umani, ma seppero guardare oltre, intuendo l'orizzonte di santità che si profilava in quel giovane veramente singolare. 

Così, il 23 giugno 1815, fu ordinato diacono e, il 13 agosto seguente, sacerdote. Finalmente all'età di 29 anni, dopo molte incertezze, non pochi insuccessi e tante lacrime, poté salire l'altare del Signore e realizzare il sogno della sua vita. Il Santo Curato d'Ars manifestò sempre un'altissima considerazione del dono ricevuto. Affermava: "Oh! Che cosa grande è il Sacerdozio! Non lo si capirà bene che in Cielo... se lo si comprendesse sulla terra, si morirebbe, non di spavento ma di amore!" (Abbé Monnin, Esprit du Curé d'Ars, p. 113). Inoltre, da fanciullo aveva confidato alla madre: "Se fossi prete, vorrei conquistare molte anime" (Abbé Monnin, Procès de l'ordinaire, p. 1064). E così fu. 

Nel servizio pastorale, tanto semplice quanto straordinariamente fecondo, questo anonimo parroco di uno sperduto villaggio del sud della Francia riuscì talmente ad immedesimarsi col proprio ministero, da divenire, anche in maniera visibilmente ed universalmente riconoscibile, alter Christus, immagine del Buon Pastore, che, a differenza del mercenario, dà la vita per le proprie pecore (cfr. Gv 10, 11). 

(...) "A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi" (cfr. Gv 20, 23). 

San Giovanni Maria Vianney si distinse pertanto come ottimo e instancabile confessore e maestro spirituale. Passando "con un solo movimento interiore, dall'altare al confessionale", dove trascorreva gran parte della giornata, cercava in ogni modo, con la predicazione e con il consiglio persuasivo, di far riscoprire ai parrocchiani il significato e la bellezza della penitenza sacramentale, mostrandola come un'esigenza intima della Presenza eucaristica (cfr. Lettera ai sacerdoti per l'Anno Sacerdotale). 

(...) Fu "innamorato" di Cristo, e il vero segreto del suo successo pastorale è stato l'amore che nutriva per il Mistero eucaristico annunciato, celebrato e vissuto, che è divenuto amore per il gregge di Cristo, i cristiani e per tutte le persone che cercano Dio. La sua testimonianza ci ricorda, cari fratelli e sorelle, che per ciascun battezzato, e ancor più per il sacerdote, l'Eucaristia "non è semplicemente un evento con due protagonisti, un dialogo tra Dio e me. La Comunione eucaristica tende ad una trasformazione totale della propria vita. Con forza spalanca l'intero io dell'uomo e crea un nuovo noi" (Joseph Ratzinger, La Comunione nella Chiesa, p. 80). Lungi allora dal ridurre la figura di san Giovanni Maria Vianney a un esempio, sia pure ammirevole, della spiritualità devozionale ottocentesca, è necessario al contrario cogliere la forza profetica che contrassegna la sua personalità umana e sacerdotale di altissima attualità. 

Nella Francia post-rivoluzionaria che sperimentava una sorta di "dittatura del razionalismo" volta a cancellare la presenza stessa dei sacerdoti e della Chiesa nella società, egli visse, prima - negli anni della giovinezza - un'eroica clandestinità percorrendo chilometri nella notte per partecipare alla Santa Messa. Poi - da sacerdote - si contraddistinse per una singolare e feconda creatività pastorale, atta a mostrare che il razionalismo, allora imperante, era in realtà distante dal soddisfare gli autentici bisogni dell'uomo e quindi, in definitiva, non vivibile. 

Cari fratelli e sorelle, a 150 anni dalla morte del Santo Curato d'Ars, le sfide della società odierna non sono meno impegnative, anzi forse, si sono fatte più complesse. Se allora c'era la "dittatura del razionalismo", all'epoca attuale si registra in molti ambienti una sorta di "dittatura del relativismo". 

Entrambe appaiono risposte inadeguate alla giusta domanda dell'uomo di usare a pieno della propria ragione come elemento distintivo e costitutivo della propria identità. Il razionalismo fu inadeguato perché non tenne conto dei limiti umani e pretese di elevare la sola ragione a misura di tutte le cose, trasformandola in una dea; il relativismo contemporaneo mortifica la ragione, perché di fatto arriva ad affermare che l'essere umano non può conoscere nulla con certezza al di là del campo scientifico positivo. Oggi però, come allora, l'uomo "mendicante di significato e compimento" va alla continua ricerca di risposte esaustive alle domande di fondo che non cessa di porsi. 

(...) Preghiamo perché, per intercessione di san Giovanni Maria Vianney, Iddio faccia dono alla sua Chiesa di santi sacerdoti, e perché cresca nei fedeli il desiderio di sostenere e coadiuvare il loro ministero. Affidiamo questa intenzione a Maria, che proprio oggi invochiamo come Madonna della Neve.

             qui l'udienza del Papa 

 

alla veglia di preghiera con i sacerdoti, a conclusione dell'anno sacerdotale (10 giugno 2010)

(...) ha parlato di quanto è preziosa la vocazione del prete che vive la sua vita unito a Cristo; quanto è banale una “teologia arrogante” che non si basa sulla fede, un clericalismo fuori del mondo, una vita da prete vissuta come un impiegato “a ore”; l’importanza di aiutare i giovani a discernere la loro chiamata e perfino l’importanza per i sacerdoti di avere momenti di riposo. Il centro di tutta la veglia è stato proprio il grande silenzio sceso sulla piazza all’adorazione eucaristica, in cui il papa e i 17 mila si sono inginocchiati per interminabili minuti davanti all’ostensorio scintillante, proseguita con la preghiera del papa per l’Anno sacerdotale. La veglia è iniziata verso le 20 (...)

Un sacerdote slovacco, missionario in Russia, gli ha posto la domanda sul senso del celibato ecclesiastico, preso così di mira nel mondo contemporaneo. Il papa ha messo in luce anzitutto che il celibato ha al centro il dono di tutta la propria vita a Cristo. Nella celebrazione eucaristica (“Questo è il mio corpo…”), “Cristo ci permette di usare il suo io, ci attira a sé e ci unisce a Lui. Così il nostro io si unisce al suo e realizza la permanenza del suo unico sacerdozio. E attirando noi, è presente attraverso di noi nel mondo”.

Per il mondo “dove Dio non centra” – ha aggiunto – “il celibato è un grande scandalo”. Egli ha fatto notare che questo stesso mondo che critica il celibato è anche quello dove non si ha il coraggio di sposarsi, perché si diviene incapaci di decisioni definitive, perché si vuole rimanere autonomi, liberi da vincoli. La decisione del celibato, perciò, la “consegna della propria vita all’io di Cristo” è il sì definitivo, “che conferma il sì definitivo del matrimonio”. Senza il celibato – e di conseguenza senza il matrimonio – “scompare tutta la nostra cultura”. (...)

             scarica qui la la trascrizione integrale del "dialogo"

             qui l'articolo di AsiaNews sulla veglia

 

e all'omelia della S.Messa conclusiva (11 giugno 2010)

(...) “Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla”: in questo primo versetto si esprimono gioia e gratitudine per il fatto che Dio è presente e si occupa dell’uomo. La lettura tratta dal libro di Ezechiele comincia con lo stesso tema: “Io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura” (Ezechiele 34, 11). Dio si prende personalmente cura di me, di noi, dell’umanità. Non sono lasciato solo, smarrito nell’universo ed in una società davanti a cui si rimane sempre più disorientati. Egli si prende cura di me. Non è un Dio lontano, per il quale la mia vita conterebbe troppo poco. Le religioni del mondo, per quanto possiamo vedere, hanno sempre saputo che, in ultima analisi, c’è un Dio solo. Ma tale Dio era lontano. Apparentemente egli abbandonava il mondo ad altre potenze e forze, ad altre divinità. Con queste bisognava trovare un accordo. Il Dio unico era buono, ma tuttavia lontano. Non costituiva un pericolo, ma neppure offriva un aiuto. Così non era necessario occuparsi di lui. Egli non dominava. Stranamente, questo pensiero è riemerso nell’Illuminismo. Si comprendeva ancora che il mondo presuppone un Creatore. Questo Dio, però, aveva costruito il mondo e poi si era evidentemente ritirato da esso. Ora il mondo aveva un suo insieme di leggi secondo cui si sviluppava e in cui Dio non interveniva, non poteva intervenire. Dio era solo un’origine remota. Molti forse non desideravano neppure che Dio si prendesse cura di loro. Non volevano essere disturbati da Dio. Ma laddove la premura e l’amore di Dio vengono percepiti come disturbo, lì l’essere umano è stravolto. È bello e consolante sapere che c’è una persona che mi vuol bene e si prende cura di me. Ma è molto più decisivo che esista quel Dio che mi conosce, mi ama e si preoccupa di me.

“Io conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me” (Giovanni 10, 14), dice la Chiesa prima del Vangelo con una parola del Signore. Dio mi conosce, si preoccupa di me. Questo pensiero dovrebbe renderci veramente gioiosi. Lasciamo che esso penetri profondamente nel nostro intimo. Allora comprendiamo anche che cosa significhi: Dio vuole che noi come sacerdoti, in un piccolo punto della storia, condividiamo le sue preoccupazioni per gli uomini. Come sacerdoti, vogliamo essere persone che, in comunione con la sua premura per gli uomini, ci prendiamo cura di loro, rendiamo a loro sperimentabile nel concreto questa premura di Dio. E, riguardo all’ambito a lui affidato, il sacerdote, insieme col Signore, dovrebbe poter dire: “Io conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me”. “Conoscere”, nel significato della Sacra Scrittura, non è mai soltanto un sapere esteriore così come si conosce il numero telefonico di una persona. “Conoscere” significa essere interiormente vicino all’altro. Volergli bene. Noi dovremmo cercare di “conoscere” gli uomini da parte di Dio e in vista di Dio; dovremmo cercare di camminare con loro sulla via dell’amicizia con Dio.

Ritorniamo al nostro salmo. Lì si dice: “Mi guida per il giusto cammino a motivo del suo nome. Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza” (23 [22], 3s). Il pastore indica la strada giusta a coloro che gli sono affidati. Egli precede e li guida. Diciamolo in maniera diversa: il Signore ci mostra come si realizza in modo giusto l’essere uomini. Egli ci insegna l’arte di essere persona. Che cosa devo fare per non precipitare, per non sperperare la mia vita nella mancanza di senso? È, appunto, questa la domanda che ogni uomo deve porsi e che vale in ogni periodo della vita. E quanto buio esiste intorno a tale domanda nel nostro tempo! Sempre di nuovo ci viene in mente la parola di Gesù, il quale aveva compassione per gli uomini, perché erano come pecore senza pastore. Signore, abbi pietà anche di noi! Indicaci la strada! Dal Vangelo sappiamo questo: egli stesso è la via. Vivere con Cristo, seguire lui, questo significa trovare la via giusta, affinché la nostra vita acquisti senso ed affinché un giorno possiamo dire: “Sì, vivere è stata una cosa buona”. Il popolo d’Israele era ed è grato a Dio, perché egli nei comandamenti ha indicato la via della vita. Il grande salmo 119 (118) è un’unica espressione di gioia per questo fatto: noi non brancoliamo nel buio; Dio ci ha mostrato qual è la via, come possiamo camminare nel modo giusto. Ciò che i comandamenti dicono è stato sintetizzato nella vita di Gesù ed è divenuto un modello vivo. Così capiamo che queste direttive di Dio non sono catene, ma sono la via che egli ci indica. Possiamo essere lieti per esse e gioire perché in Cristo stanno davanti a noi come realtà vissuta. Egli stesso ci ha resi lieti. Nel camminare insieme con Cristo facciamo l’esperienza della gioia della Rivelazione, e come sacerdoti dobbiamo comunicare alla gente la gioia per il fatto che ci è stata indicata la via giusta.

C’è poi la parola concernente la “valle oscura” attraverso la quale il Signore guida l’uomo. La via di ciascuno di noi ci condurrà un giorno nella valle oscura della morte in cui nessuno può accompagnarci. Ed egli sarà lì. Cristo stesso è disceso nella notte oscura della morte. Anche lì egli non ci abbandona. Anche lì ci guida. “Se scendo negli inferi, eccoti”, dice il salmo 139 (138). Sì, tu sei presente anche nell’ultimo travaglio, e così il nostro salmo responsoriale può dire: pure lì, nella valle oscura, non temo alcun male. Parlando della valle oscura possiamo, però, pensare anche alle valli oscure della tentazione, dello scoraggiamento, della prova, che ogni persona umana deve attraversare. Anche in queste valli tenebrose della vita egli è là. Sì, Signore, nelle oscurità della tentazione, nelle ore dell’oscuramento in cui tutte le luci sembrano spegnersi, mostrami che tu sei là. Aiuta noi sacerdoti, affinché possiamo essere accanto alle persone a noi affidate in tali notti oscure. Affinché possiamo mostrare loro la tua luce.

“Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza”: il pastore ha bisogno del bastone contro le bestie selvatiche che vogliono irrompere tra il gregge; contro i briganti che cercano il loro bottino. Accanto al bastone c’è il vincastro che dona sostegno ed aiuta ad attraversare passaggi difficili. Ambedue le cose rientrano anche nel ministero della Chiesa, nel ministero del sacerdote. Anche la Chiesa deve usare il bastone del pastore, il bastone col quale protegge la fede contro i falsificatori, contro gli orientamenti che sono, in realtà, disorientamenti. Proprio l’uso del bastone può essere un servizio di amore. Oggi vediamo che non si tratta di amore, quando si tollerano comportamenti indegni della vita sacerdotale. Come pure non si tratta di amore se si lascia proliferare l’eresia, il travisamento e il disfacimento della fede, come se noi autonomamente inventassimo la fede. Come se non fosse più dono di Dio, la perla preziosa che non ci lasciamo strappare via. Al tempo stesso, però, il bastone deve sempre di nuovo diventare il vincastro del pastore, vincastro che aiuti gli uomini a poter camminare su sentieri difficili e a seguire il Signore.

Alla fine del salmo si parla della mensa preparata, dell’olio con cui viene unto il capo, del calice traboccante, del poter abitare presso il Signore. Nel salmo questo esprime innanzitutto la prospettiva della gioia per la festa di essere con Dio nel tempio, di essere ospitati e serviti da lui stesso, di poter abitare presso di lui. Per noi che preghiamo questo salmo con Cristo e col suo corpo che è la Chiesa, questa prospettiva di speranza ha acquistato un’ampiezza ed una profondità ancora più grandi. Vediamo in queste parole, per così dire, un’anticipazione profetica del mistero dell’eucaristia in cui Dio stesso ci ospita offrendo se stesso a noi come cibo, come quel pane e quel vino squisito (...)

               qui il blog dell'Anno Sacerdotale 

 

 

 
 

PREGHIERA PER L’ANNO SACERDOTALE

Signore Gesù,

Tu hai voluto donare alla Chiesa, attraverso San Giovanni Maria Vianney, un’immagine viva di Te, ed una personificazione della Tua carità pastorale.

Aiutaci, in sua compagnia ed assistiti dal suo esempio, a vivere bene quest’Anno Sacerdotale.

Fa che possiamo imparare dal Santo Curato d’Ars il modo di trovare la nostra gioia restando a lungo in adorazione davanti al Santissimo Sacramento; come la Tua Parola che ci guida sia semplice e quotidiana; con quale tenerezza il Tuo Amore accolga i peccatori pentiti; quanto sia consolante l’abbandono fiducioso alla Tua Santissima Madre Immacolata; quanto sia necessario lottare con vigilanza contro il Maligno.

Fa, o Signore Gesù, che i nostri giovani possano apprendere dall’esempio del Santo Curato d’Ars, quanto sia necessario, umile e glorioso il ministero sacerdotale che Tu vuoi affidare a quelli che si aprono alla Tua chiamata.

Fa che nelle nostre comunità – come ad Ars a quel tempo – ugualmente si realizzino quelle meraviglie di grazia che Tu compi quando un sacerdote sa “mettere l’amore nella sua parrocchia”.

Fa che le nostre famiglie cristiane si sentano parte della Chiesa – dove possono sempre ritrovare i Tuoi ministri – e sappiano rendere le loro case belle come una chiesa.

Fa che la carità dei nostri Pastori nutra ed infiammi la carità di tutti i fedeli, affinché tutte le vocazioni e tutti i carismi donati dal Tuo Santo Spirito possano essere accolti e valorizzati.

Ma soprattutto, o Signore Gesù, concedici l’ardore e la verità del cuore perché noi possiamo rivolgerci al Tuo Padre Celeste, facendo nostre le stesse parole che San Giovanni Maria Vianney utilizzava quando si rivolgeva a Lui:

            “Vi amo mio Dio, e il mio unico desiderio è di amrVi fino all’ultimo respiro della mia vita.

            Vi amo, o Dio infinitamente amabile, e desidero ardentemente di morire amandovi, piuttosto che vivere un solo istante senza amarVi.  

            Vi amo Signore, e la sola grazia che Vi chiedo è di amarVi in eterno.

            Mio Dio, se la mia lingua non può ripetere sempre che io Vi amo, desidero che il mio cuore Ve lo ripeta ad ogni mio respiro.

            Vi amo, o mio Divin Salvatore, perché siete stato crocifisso per me;

            e perché Voi mi tenete crocifisso quaggiù per Voi.

            Mio Dio, fatemi la grazia di morire nel amandoVi e sentendo che io Vi amo”          

                       AMEN