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 Rende difficile per gli altri farsi avanti...

  di Don Pierangelo Sequeri

 

Ha ragione Pietro Citati quando osserva, su Repubblica di ieri (10.07.2010), che "non è necessario arroccarsi in difesa, e costruire mura, torri, fortificazioni, contro i barbari che si raccolgono davanti alle porte delle chiese". 

In effetti, davanti alle porte delle chiese, i "barbari" lasciano più che altro lattine, cartacce, plastiche e altri residui di bivacco. Insomma, non proprio codici greci, o siriaci. 

La questione cruciale, e anomala, per il cattolicesimo odierno, viene piuttosto da un nuovo tipo di intellettuale, che dai barbari. 

È un tipo assuefatto al gergo cristiano, magari anche colto, che del cristianesimo sa pochissimo. È vero, non è un intellettuale necessariamente scristianizzato. 

È piuttosto cristianamente assemblato: dove non sa, o non capisce, crea. Esercita la sua seduzione anche fra i credenti, ormai, e non è faccenda da poco. I suoi padri, del resto, hanno frequentato per secoli l'Università che il cristianesimo ha inventato (sottraendo la teologia alla tentazione di chiudersi nei chiostri). 

Ora, però, il cristianesimo lo vorrebbe di nuovo faccenda per monaci copisti e liturgisti, che custodiscono il nome della rosa e non si impicciano. 

Con questo intellettuale, ragionare, è spesso difficile. Più che con gli antichi barbari (coi quali abbiamo creato tesori di arte e di cultura). La sua occupazione del sagrato rende difficile per gli altri, che vogliono veramente sapere e ragionare, farsi avanti. Dobbiamo effettivamente farci venire in mente qualcosa di creativo, per uscire dallo stallo. 

Bene ha fatto Ravasi a cogliere la suggestione di Benedetto XVI. Dobbiamo riaprire il sagrato e allargare il cerchio. Il fervore della cooperazione intellettuale della fede - il grande umanesimo dei secoli che gli sciocchi chiamano ancora bui! - era stato davvero un bene comune. Per la cultura e anche per il cristianesimo. Le religioni troppo esoteriche, e troppo visionarie, che si parlano da sole, generano incubi. 

Citati ha ragione, di nuovo, quando ci ricorda i molti giovani che, sorprendentemente, "leggono i Vangeli, li meditano, capiscono come ogni parola pronunciata da Cristo sia ancora viva", e scoprono "i Padri della Chiesa greci, latini, o siriaci". Ne ho incontrati molti anch'io, in tutta Europa e oltre. 

È necessario ricordare, però, anche la loro passione per la bellissima avventura del pensiero cristiano, e dei suoi fecondissimi legami con l'umanesimo della civiltà e delle lettere. 

La classe intellettuale che ha diritto (o semplicemente potere) di parola, nell'Occidente, non apprezza altrettanto il loro impegno: quello del cuore e, senza scissione, quello della mente. 

Lo dico pacatamente e francamente. Il pressante invito al cristianesimo perché ritorni a copiare e meditare i suoi codici è una mortificazione ingiusta, per queste nuove generazioni. Non fa onore alla bellezza della nostra storia comune. 

Per quale motivo, insomma, mettere conflitto fra questi ragazzi, che lavorano il nuovo campo, e il magistero ecclesiale dell'umanesimo cristiano, che ha tracciato il solco per tutti? 

Da dove credete che vengano, quei ragazzi? Dobbiamo testimoniare con stile asciutto ed elegante sprezzatura lo 'scandalo' del cristianesimo. Certo, non c'è discussione, su questo. Ma non per questo penseremo di fuggire, eremiti di un glorioso passato, verso l'isola che non c'è più. Il mondo abitato da uomini, dove sta Dio, adesso è questo. 

Fortunatamente, non vedo nessun pessimismo e nessuna timidezza - su questo - nel magistero e nel tratto di Benedetto XVI. 

Invece di fare campagne sulla psicologia e sulla sociologia degli umori cattolici, non sarebbe meglio che tutti gli intellettuali sostenessero una nuova passione della fede per l'intelligenza dell'umano, che è di tutti? Ne va dell'Occidente, ormai. 

Quanto a noi, continueremo a studiare e meditare i codici, naturalmente. Ma di certo, non lasceremo archiviare Dio.

 

Fonte: Avvenire