Padre Vergara il ribelle martire
il Postulatore Generale
Il buongiorno si vede dal mattino: un detto che
ben si adatta alla biografia di padre Mario Vergara, missionario del
Pime, martire, che quest'anno sarà proclamato beato. Sarà il terzo
sacerdote dell'Istituto, tra quelli che hanno operato in Birmania (oggi
Myanmar), ad essere beatificato, dopo i padri Paolo Manna (1872-1952,
beatificato nel 2001) e Clemente Vismara (1897-1988, beatificato nel
2011). E non basta: in... lista d'attesa (per ora) ci sono i Servi di
Dio Felice Tantardini (1898-1991) e Alfredo Cremonesi, martire
(1902-1953).
Nato il 18 novembre 1910 a Frattamaggiore
(provincia di Napoli e diocesi di Aversa), Vergara manifesta fin da
fanciullo fede viva e un'attenzione speciale ai poveri e infelici.
Seminarista ad Aversa e a Posillipo, di carattere vivace e per qualche
superiore un po' "ribelle", si appassiona per le missioni in
Estremo Oriente e chiede di entrare nel Pime. Un compagno di seminario
gli domanda perché voglia andare così lontano, giacché anche in
Italia si può fare tanto bene. Lui risponde: «Perché là c'è la
speranza di morire martire».
Dopo varie traversie dovute a problemi di salute
e alla contrarietà dei familiari, riesce a coronare il suo sogno: è
ordinato sacerdote il 26 agosto 1934 e a settembre parte per Toungoo,
Birmania, dove è accolto dal Vicario apostolico, il vescovo monsignor
Sagrada. Si applica subito con impegno allo studio dell'inglese e delle
lingue locali.
Nel 1936 è inviato nel distretto montuoso di
Citaciò, tra i Cariani della tribù dei Sokù, una delle più povere e
primitive. Ivi dispiega, con l'aiuto di catechisti da lui formati e
affrontando disagi d'ogni genere, un'attività instancabile in favore
delle popolazioni dei villaggi: formazione umana e cristiana,
amministrazione dei sacramenti, cura degli orfani e dei malati. Lo
scoppio della Seconda guerra mondiale interrompe bruscamente il lavoro
apostolico.
Nel 1941 Vergara è internato, con tutti i
missionari italiani - considerati nemici dagli inglesi - nei campi di
concentramento indiani. Sarà rilasciato solo dopo quattro anni
snervanti. È fortemente indebolito, rischia la vita dopo l'asportazione
di un rene. Tornato in Birmania, si offre generosamente al vescovo di
Toungoo, monsignor Lanfranconi, per l'apertura di un nuovo distretto tra
i Cariani rossi a est di Loikaw, verso il fiume Salween. Privo di mezzi,
osteggiato dai protestanti battisti, studia la lingua locale, si
sobbarca ogni genere di sacrifici, coprendo lunghe distanze a piedi,
amando e curando tutti i Cariani: cattolici, catecumeni, pagani.
Dal 1948 è coadiuvato da un giovane
confratello, padre Pietro Galastri, che lo aiuta nella costruzione degli
edifici utili alla missione: scuola, chiesa, orfanotrofio e dispensario.
Con l'indipendenza dall'Inghilterra (1948), scoppia la guerra civile tra
governativi e ribelli cariani. Padre Vergara prende le difese degli
oppressi, attirandosi l'odio dei ribelli. Presto la situazione
precipita.
Il 24 maggio 1950 è arrestato dai ribelli e il
giorno seguente è trucidato insieme al maestro catechista Isidoro; i
loro corpi sono gettati nel fiume Salween. Qualche tempo dopo anche
padre Galastri subisce la stessa sorte.
C'è un motivo speciale di esultanza per la
Chiesa del Myanmar: Isidoro Ngei Ko Lat (1918-1950) sarà il primo beato
birmano. Purtroppo il rito di beatificazione non si potrà celebrare in
Myanmar, per motivi legati alla situazione politica. Sarà celebrato ad
Aversa, sede della diocesi da cui proveniva padre Vergara.
|