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THAILANDIA

 

Oggi la Chiesa in Thailandia conta dieci diocesi e un cardinale, l'arcivescovo della capitale KrungThep (Bangkok). La missione, in Thailandia, segue due grandi direttrici: da una parte cura il contatto con il mondo thailandese buddhista, che esige un approccio molto lungo, rispettoso e delicato, per liberare il cuore thailandese dalle paure e dai dubbi che ancora sussistono. Bisogna tessere un dialogo sereno con la gcnte perché impari a vedere il Vangelo come Parola di Dio e libera offerta di salvezza e comunione e non come un mezzo di conquista da parte dei paesi occidentali. È necessario che la Chiesa diventi, ogni giorno, sempre più "thailandese" per essere comprensibile e accettata come una presenza amica e non straniera. Dall'altra, soprattutto attraverso l'opera dei missionari, la Chiesa lavora tra le minoranze tribali del Nord, le cosiddette tribù dei monti. Sono gruppi umani ancora seminomadi, in parte non ancora registrati all'anagrafe, quindi senza documenti personali né documenti di proprietà delle terre. In genere non sono scolarizzati e non conoscono la lingua thai, ma solo i propri dialetti. Stanno attraversando una fase di grande cambiamento culturale, perché devono inserirsi nel mondo moderno e nella società thailandese, più sviluppata dal punto di vista socio-economico. In questa situazione, anche la loro religiosità tradizionale subisce forti pressioni: il culto degli spiriti, legato al ritmo delle stagioni e del lavoro nei campi, sembra essere ormai inadeguato a sostenere ed arricchire di senso questo cambiamento sconvolgente, perciò molti sono in ricerca d'un modo diverso di vivere ed esprimere il bisogno religioso. Questa ricerca li apre al1'annuncio del Vangelo. I motivi che spingono queste tribù a cercare il contatto con i missionari sono diversi e vanno dal desiderio di avere tra loro qualcuno che condivida la loro situazione e possa aiutarli a soddisfare i bisogni materiali, al desiderio di trovare chi possa rappresentare un punto di riferimento per i giovani (i quali sono spesso più istruiti dei genitori, chc perciò si sentono impreparati ad educarli ad una vita diversa dalla propria).
Non ultimo avvertono anche il bisogno di qualcuno che sia in grado di interpretare e riformulare il loro sentimento religioso e che insegni un modo nuovo di rapportarsi con Dio. Infatti già nella loro antica tradizione esistono i concetti biblici di creazione, peccato e attesa di redenzione. In genere perciò sono naturalmente aperti al soprannaturale e desiderosi di liberarsi dall'influenza degli "spiriti" che si frappongono tra gli uomini e Dio. Ma a volte il bisogno materiale sembra prevalere, fino a far dubitare della sincerità dei tribali per quanto riguarda la ricerca religiosa. Occorre però riconoscere che potrebbero procurarsi gli aiuti economici anche in altro modo, perciò, quando si rivolgono al missionario, esprimono già, magari inconsapevolmente, una scelta e una ricerca anche di qualcosa di più . E questo di più di cui sentono il bisogno è l'amore di Dio che si comunica anche attraverso la presenza disinteressata e amica di chi vive loro accanto e ne condivide la vita e i problemi, ma non "per lavoro" né "per dovere", bensì "per amore". Dentro i gesti della condivisione e del servizio quotidiano, nelle sue varie manifestazioni, si realizza l'annuncio del Vangelo che diventa vita concreta. Alcune delle priorità di noi missionari sono chiare: migliorare la condizione di vita nei villaggi, aiutare tutti coloro, soprattutto i giovani, che desiderano un'istruzione e spingere i più dotati a proseguire gli studi per potersi qualificare professionalmente, fornendo così un contributo essenziale al miglioramento di tutta la comunità. Dentro questo cammino di crescita culturale e umana, si cerca di promuovere con particolare cura la crescita nella fede di tutti e specialmente dei cosiddetti "catechisti", coloro che al villaggio aiutano gli altri a pregare e a riflettere sulla Parola di Dio in assenza del missionario.

 


 

CAMBOGIA

 

Nel villaggio di Kompong Ko, prima dell'arrivo dei Khmer Rossi, esisteva una numerosa comunità cristiana ben organizzata, una chiesa, un dispensario, una scuola. Vi. erano trattori. per lavorare i campi, una lunga diga e canali per 1'irrigazione delle risaie. Oggi rimane qualche metro di cemento, resto delle fondamenta della scuola. La comunità cristiana è stata deportata e decimata. Quanto accaduto lì fu il segno di quanto sarebbe capitato nel giro di poco tempo a tutte le altre comunità cristiane del Paese.

In questi. anni, a Kompong Roteh, a dieci minuti da Kompong Thom, si è aperta una missione. Lì lavora un'équipe di due suore e tre missionari, tra cui un missionario del Pime, un sacerdote colombiano e 1'unico prete cambogiano vivente. L'attenzione pastorale è principalmente rivolta alla ricostruzione della comunità, nel riscoprire il gusto di stare assieme e di sentirci ancora amati da Dio, anche se il ricordo della recente storia, con i suoi strascichi di. violenza, diffidenza, alcoolismo e povertà, porta a pensare 1'opposto. Nella missione abbiamo iniziato ad ospitare ragazzi e ragazze che, provenendo da villaggi lontani o da situazioni di povertà estrema, studiano nelle scuole superiori o desiderano imparare a leggere e scrivere. Alcuni di loro sono cristiani, altri buddisti. L'obiettivo è di dare loro una formazione umana centrata su valori comuni, mentre per alcuni tra i cristiani l'obiettivo è quello di preparare i futuri leader delle comunità.

Tra le varie attività tipiche di ogni missione, sono da segnalare gli incontri periodici con gli anziani, che provenendo dai vari villaggi si ritrovano per qualche giorno nella missione, per pregare, raccontare, divertirsi. Sono tutti sopravvissuti ai lavori forzati di Pol Pot, molti ne portano i segni nel fisico, ma sono i testimoni per le giovani generazioni di una fede che si è incarnata nella cultura ed è entrata nella trama della vita quotidiana.

Da quando nella Pasqua del 1990 si è di nuovo potuto celebrare la prima messa in pubblico molto è cambiato, si ha l'impressione di una Chiesa che sta risorgendo, che diventa capace di essere segno di quella vita nuova promessa da Cristo, una vita che si esprime in una trama di relazioni, di rispetto per 1'umanità, di capacità di creare speranza, pace, giustizia tra la gente con cui quotidianamente si vive.

Attraverso New Humantty il PIME ha scommesso sull'importanza della testimonianza cristiana nel campo della cultura specialmente in un Paese come la Cambogia dove la distruzione di ogni forma di cultura accademica e di testimonianze scritte è stato un progetto pensato e attuato nei circa quattro anni di genocidio di Pol Pot e dei suoi Khmer Rossi. Nel 1995, su richiesta del ministero per l'Educazione, ci siamo impegnati con un contratto quinquennale nella ricostruzione del Dipartimento di Sociologia presso l'Università Reale dello Stato. Si è presentata in seguito anche la necessità di contribuire alla preparazione accademica dei professori di filosofia e di allestire una Biblioteca del dipartimento che interessa, oltre a filosofia e sociologia, anche storia.

Siamo partiti grazie all'aiuto di alcune università italiane e di professori italiani provenienti da diverse istituzioni accademiche, per poi rivolgerci anche ad università, cattoliche e non, di Paesi asiatici per motivi di vicinanza culturale e di possibili ulteriori rapporti di reciprocità tra la nostra università di Phnom Penh e le altre istituzioni universitarie asiatiche. È un progetto interessante per l'evangelizzazione della Chiesa, preoccupata di annunciare la pienezza dell'umanità in Gesù Cristo nell'integralità delle componenti umane.