|
SOLENNE TRASLAZIONE DEL BEATO P. PAOLO MANNA
di Sandra Cervone
Un'atmosfera
particolarissima quella che, in tantissimi, abbiamo respirato il 14 settembre
scorso (2005), nel piazzale del Seminario del PIME di Trentola Ducenta. L'atmosfera
dell'universalità della Chiesa, della bellezza del sentirsi comunità, della
forza della testimonianza, la riconoscenza per il dono della fede. A presiedere
la celebrazione eucaristica per la traslazione delle spoglie del beato Paolo
Manna dal piccolo cimitero alla cappella a lui dedicata, c'era il cardinale Crescenzio
Sepe, prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli,
contornato da Vescovi (Mario Milano di Aversa, Orazio Soricelli di Amalfi-Cava
dei Tirreni, Francesco Marino di Avellino, Antonio Forte emerito di Avellino,
Pietro Farina di Alife-Caiazzo), sacerdoti, diaconi e un foltissimo numero di
fedeli giunti da ogni dove. "Andate in tutto il mondo e predicate il
Vangelo ad ogni creatura" recitava la scritta in rosso sullo sfondo
del palco allestito per l'occasione e dove, oltre all'altare, è stata
sistemata l'urna con le spoglie dell'apostolo della miss ione "ad
gentes" e dell'unità dei cristiani. La coincidenza con la festa
liturgica dell'esaltazione della santa Croce ha reso ancor più solenne e
significativa questa giornata memorabile, coniugando fede, commozione,
gratitudine ed occasione di verifica e di rinnovato impegno
cristiano e missionario. "Venerare le spoglie del beato Manna in
questo luogo che porta ancora i segni della sua presenza – ha detto il Vescovo
di Aversa Mario Milano – significa lasciarsi infiammare il cuore di
rinnovata missionarietà, prendendo coscienza delle esigenze del mondo in cui
viviamo. Che il fuoco di Pentecoste – ha concluso – arda nei cuori di
tutti quelli che sono impegnati nella Chiesa". Giustamente definito
"un'anima di fuoco", infatti, il beato Paolo Manna,
"stratega dell'evangelizzazione", beatificato da Papa Giovanni Paolo
II il 4 novembre 2001, ha sempre sollecitato tutti i
credenti ad un impegno missionario concreto e responsabile : "tutta la
Chiesa per tutto il mondo" era il suo motto che anticipò la
visione ecclesiologica del concilio Vaticano II. "La croce, segno
obbrobrioso per l'antichità romana è diventato simbolo di vittoria e di vita – ha
sottolineato il cardinale Sepe nell'omelia – è il simbolo della nostra
fede e dell'identità cristiana, del Dio nel quale crediamo e da cui riceviamo
la salvezza. Ed è in questa realtà profonda che il nostro beato ha fondato
tutta la sua teologia, la pastorale e la mistica missionaria. Solo il
missionario che sa portare la croce a tutte le genti sarà portatore di
salvezza". Il missionario, insomma, non è un "funzionario del
sacro" o un filantropo o un sociologo che va nel mondo per portare
aiuto e risolvere problemi dei popoli in miseria: egli è invece il portatore
della croce di Cristo, il testimone di quest'Amore infinito che si è annullato
perchè dal suo profondo inabissamento noi avessimo la
salvezza. "Quando la Provvidenza costrinse il beato Manna a
tornare dalla Birmania, gli diede la grazia di intuire che tutta la
Chiesa è, per sua natura, missionaria per cui non può
chiudersi in se stessa, nel suo guscio, ma deve andare, sentirsi chiamata
a portare il fuoco del Vangelo a tutte le genti". Andare, quindi,
immedesimarsi, assumere la responsabilità dell'evangelizzazione. Su
sei miliardi di persone, del resto, almeno 4 non conoscono ancora Cristo ed
attendono la "buona notizia". Dopo aver invitato tutti a prendere
coscienza della necessità di essere missionari per la nuova evangelizzazione,
il cardinale ha ricordato gli anni in cui, da seminarista, ha potuto incontrare
di persona il beato Manna proprio lì, nel Seminario di Ducenta, e parlare con
lui, sfogarsi, rivelargli la sua intenzione di entrare nel PIME. Poi l'invito
finale per tutti i presenti a "portare una candela e ad accenderla al
fuoco del Beato, perchè la nostra vita sia autenticamente cristiana" e
dunque missionaria. Nella preghiera dei fedeli l'assemblea, riunita
intorno alle spoglie di padre Paolo Manna, è stata nuovamente sollecitata a
"prendere il concreto impegno di non vergognarsi mai di essere discepoli
del Crocifisso" e ad aprire le comunità all'ardore e all'impegno
missionario per diventare segno e strumento di riconciliazione per l'umanità
intera. Mentre il coro della Cappella Musicale Lauretana del duomo di
Aversa, diretta da mons. Francesco Grammatico ed accompagnata all'organo dal M°
Luigi Orabona, ha eseguito il canto di offertorio, i fedeli hanno potuto
meditare ed affidare le proprie intenzioni e la propria stessa vita al Padre,
unitamente ai doni portati in processione all'altare. Altro momento
particolarmente commovente, perchè impregnato di quella spiritualità palpabile,
segno di vera sintonia ed unione fraterna attorno all'unica vera fonte di
salvezza, è stato il canto del "Padre Nostro" che ha preceduto lo
scambio della pace e che è coinciso con il calare della
sera. "Gustate e vedete quanto è buono il Signore – diceva il canto
di comunione intonato dalla schola cantorum – beato l'uomo che in lui si rifugia".
E davvero ci si sentiva bisognosi di quel rifugio, di quell'essere famiglia
attorno alla mensa dell'unico Padre, confortati dalla presenza visibile di
Cristo nel Pane consacrato e dell'urna con le spoglie di un fratello maggiore
nella fede che ci indicava la via della salvezza. Anche il superiore generale
del PIME, padre Gian Battista Zanchi, nel rivolgere il saluto finale, ha
ricordato che "solo in Cristo l'umanità sconvolta da ingiustizie, nuove
povertà e conflitti culturali e religiosi, potrà trovare la via della
salvezza" ed ha invitato singoli e comunità a lasciarsi conquistare dal
fuoco della missione, per aprirsi alle genti e guardare al beato Manna come ad
un modello da onorare per la forza che caratterizzò il suo
ministero".
qui
scheda FIDES sulla "traslazione" del Beato
|